Da bambino-bomba in Afghanistan ad educatore di minori a Busto Arsizio, la storia di Walimohammad

Il suo destino era quello di diventare un bambino kamikaze ma una nonna coraggiosa e la sua forza di volontà l'hanno portato fino a Busto dove lavora in una comunità per minori e si è laureato

Generico 17 Jun 2024

La storia di Walimohammad Atai è quella di un martire mancato, a salvarlo è stato un viaggio della speranza dall’Afghanistan all’Italia compiuto da minorenne. Oggi ha 27 anni e vive in una casa di Busto Arsizio insieme alla moglie che è riuscita a far arrivare in Italia solo l’anno scorso dopo averla sposata al telefono: «Quando ho visto quel peschereccio distrutto a Crotone e tutti quei morti mi sono chiesto perchè non si vogliono creare corridoi umanitari. C’è tanta gente che paga anche 20 mila dollari per scappare da persecuzioni e guerre ma per l’occidente sono tutti da respingere. Per molti di noi la scelta è tra morte certa e poche possibilità di sopravvivere. Ho scelto la seconda opzione».

Da un villaggio del sud dell’Afghanistan a Magnago

In Italia è riuscito a ricostruirsi una vita dopo anni passati a peregrinare tra Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e Italia. Oggi fa l’educatore in una comunità per minori di Magnago dove aiuta sia bambini italiani che minori stranieri non accompagnati. Lo scorso 20 febbraio ha conseguito la laurea specialistica in relazioni internazionali all’Università di Pavia e ha realizzato il sogno di acquistare una casa dove crescere la propria famiglia.

La fuga dalla madre che lo voleva martire

A 8 anni sua madre lo aveva mandato, dal villaggio in cui viveva nel sud dell’Afghanistan, in Waziristan, regione del Pakistan nota per le madrasse, scuole coraniche nelle quali venivano addestrati come robot per diventare bambini kamikaze: «A mia madre fu fatto il lavaggio del cervello dopo la morte dei suoi fratelli che avevano combattuto contro i sovietici. Aveva letto quei testi violenti che vennero fatti girare in tutto il Paese con la complicità degli americani e si era convinta che il martirio di suo figlio avrebbe aperto le porte del paradiso a tutta la famiglia. Mi mandò in una di queste madrasse dove la guerra e la violenza veniva insegnata a partire dall’alfabeto». Racconta di aver visto drogare i bambini per annullarne il pensiero critico, psicologi e psicoterapeutici occidentali che aiutavano i religiosi ad inculcare nei bambini la violenza e il martirio: «Io mi salvai perchè avevo uno zio mujahiddin che aveva bisogno di me nei campi di oppio che coltivava. Era molto rispettato alla madrassa e così mi lasciarono andare da lui».

L’incontro con la nonna che gli apre gli occhi

Alla fine della stagione del raccolto ebbe l’incontro che gli cambiò e salvò la vita, era il 2011: «Conobbi mia nonna, che era ebrea, la quale mi raccontò di come fu ucciso mio padre con la complicità di mia madre, era malvisto perchè colto e non allineato al pensiero talebano. Da quel momento iniziai a staccarmi da mia madre e mi opposi, in quanto unico maschio della famiglia, anche al matrimonio combinato che aveva organizzato per mia sorella che aveva solo 13 anni con un uomo di 35». Infine tentò anche di aprire una scuola nel suo villaggio, grazie all’aiuto del governo afghano, ma nel giro di pochi giorni divenne il bersaglio dei talebani della zona che lo costrinsero a scappare.

La fuga in Iran

Dall’Afghanistan riesce ad entrare in Iran nascondendosi tra le ruote di un camion ma nel giro di poco tempo finisce in carcere in quanto sospettato di essere una spia americana: «Lo pensarono perchè parlavo inglese grazie agli insegnamenti di mia nonna. Loro non capivano la mia lingua e io non conoscevo il persiano. Per sette mesi fui torturato affinchè confessassi ma io non lo feci. Ad un certo punto chiesi ad uno dei miei torturatori di insegnarmi il persiano e lui lo fece, instaurammo un rapporto di fiducia e alla fine venni rilasciato con la promessa che abbandonassi l’Iran al più presto».

walimohammad atai

Il viaggio verso l’Europa sotto i camion

Da qui inizia un nuovo viaggio che lo porterà in Turchia dove lavorò per due anni come uno schiavo per un’azienda che produceva magliette per l’occidente: «Rimasi per ripagare il debito del viaggio che mi avevano procurato». Dalla Turchia riuscì ad entrare in Grecia attraversando il fiume Evros e poi riuscì ad arrivare fino a Patrasso dove partivano i traghetti per l’Italia: «Per diversi mesi tentai di nascondermi sotto qualche camion. Un primo tentativo riuscì ma si accorsero di me sul traghetto e mi riportarono indietro, la seconda volta riuscii a scendere a Lecce dopo 23 ore attaccato alle assi delle ruote del rimorchio». Da Lecce è passato a Foggia dove iniziò a fare da traduttore, per caso, per la Polizia di Stato tra le baracche dei lavoratori agricoli stranieri: «Al sud sono stato sfruttato moltissimo e sono scappato prima a Piacenza e poi a Zavattarello (Pv)».

La nuova vita di Walimohammad in Lombardia

Qui, finalmente, la vita di Walimohammed cambia davvero: «Ho dormito in un parco, ho fatto il traslocatore, mangiavo alla Caritas e poi ho iniziato a lavorare come mediatore culturale per una cooperativa di Bergamo». Grazie a questa opportunità il ragazzo consegue la laurea triennale e qualche giorno fa la specialistica in relazioni internazionali, nonostante alcuni episodi preoccupanti di intolleranza. Nonostante questo è andato avanti e ha anche scritto due libri “Il martire mancato – Come sono uscito dall’inferno del fanatismo” e “Ho rifiutato il paradiso per non uccidere”. Ha anche fondato l’associazione FAWN (Free Afghan Women Now) per i diritti delle donne afgane.

Qui è possibile acquistare i suoi libri

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 28 Febbraio 2023
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