Giovani e lavoro, perché non diventi un ossimoro

La relazione tra giovani e mondo del lavoro è fondamentale per le sfide del futuro

Generico 20 Feb 2023

Il mondo del lavoro contemporaneo è un ambiente molto complesso in cui i giovani faticano a trovare un posto dove esprimersi e molte organizzazioni non riescono a capirli e coinvolgerli. Una situazione che richiama la necessità di aprire un dialogo efficace tra giovani e contesto lavorativo, un aspetto importante per affrontare le sfide del presente e del futuro.

Gli Inuit dicono che in ogni persona si svolge una grande battaglia tra due lupi: un lupo buono e un lupo cattivo. Quale lupo vincerà? E dicono che sarà il lupo a cui dai da mangiare. È fondamentale non mischiare il pessimismo dilagante con lo zucchero delle buone notizie. Basarsi sui fatti, anche quelli noiosi dei miglioramenti che non creano traffico internet, è una strategia e un principio che ci può aiutare. Il mondo è pessimo, ma sta anche migliorando, e può fare molto meglio. Proviamo a far luce sui bisogni delle nuove generazioni, sulla loro visione della realtà e su come le aziende e le organizzazioni possano diventare davvero attrattive nei loro confronti, utilizzando un prisma di prospettive. Come dice la campagna FastWeb: “Il futuro non è qualcosa di lontano costruito da altri è un seme racchiuso in ognuno di noi. E sai cosa? Oggi è il giorno perfetto per cominciare a lavorarci su. Tu hai qualcosa, un’idea, una capacità, una passione, trova il tuo potenziale, coltivano portalo a un altro livello e non accettare limiti. Qualunque sia il tuo futuro, possiamo scoprirlo insieme. Tu sei futuro”.

Il pessimista cosmico. Il mondo è capovolto. I giovani non ci sono più, molti diventano adulti subito. A 18 anni hanno già fatto e visto tutto. Altri rimangono bambini, a casa dei genitori. I figli nascono da genitori già vecchi. I vecchi sono sempre più giovani e sono sempre di più. Vanno in pensione e iniziano una vita che dura più a lungo del tempo in cui hanno lavorato. A 70 iniziano a praticare gli sport più estremi. All’anagrafe si è registrati con un sesso che poi cambia, come la moda. Va e viene, soprattutto se ne fa poco, in carne e ossa. La generazione dei boomers ha fatto la gavetta, ma non la guerra. La Z non conosce l’inflazione e rischia l’ultima guerra mondiale. A Sanremo la premessa era l’ugola da record, adesso è un optional. Il sogno era lavorare in banca, adesso “piuttosto la fame”. Si poteva dire casalinga e spazzino, ora ti denunciano in mondovisione. Andare al ristorante era una festa, oggi è il povero che ti porta il ristorante a casa tutte le sere. Le opportunità sono castrate dalle normative che non aiutano nessuno a fare esperienze. Abbiamo sedato le energie primordiali con la bulimia delle calorie e del riscaldamento globale, l’eutanasia di Dio e delle ideologie, l’invasione del materialismo narcisista di massa, mascherato il controllo sociale coi social, allungato la vita senza sapere chi siamo. Il delirio di onnipotenza dopato dalla divinità tecnologica ci è sfuggito di mano. In Italia i salari reali negli ultimi 30 sono rimasti piatti come in Spagna e Grecia. Invece, in Germania e negli Stati Uniti, insieme a molti paesi del centro e Nord Europa, che ci hanno raggiunto e superato, la loro crescita è stata significativa. Quando arriveranno i dati del 2022, a causa del picco d’inflazione, saranno negativi. Abbiamo in Italia il 25% di NEET, uno dei tassi più alti al mondo, cioè una forza lavoro inespressa enorme e il costo reale del lavoro più basso, tra i paesi di dimensioni e tasso di sviluppo comparabili al nostro. Siamo la culla della creatività micro-imprenditoriale da generazioni in molti settori, anche avanzati, ma la produttività è stagnante, risultato del combinato disposto di mancanza di riforme fondamentali e sistemiche, pochi investimenti in ricerca e innovazione nei settori strategici, di una visione miope dell’impresa pubblica e privata.

L’ottimista oltranzista. Per i giovani non esiste più la carriera tradizionale. Ogni percorso è un “road trip” che prende forma e direzione strada facendo, cogliendo le opportunità, con la bussola della propria vera identità. I giovani non si arrendono; studiano tanto e non hanno paura dell’intelligenza artificiale; fanno i volontari e condividono il pane e l’olio fatti a km zero; diventano vegetariani e girano il mondo con lo sharing di blablacar per inquinare di meno; fanno l’amore in tutte le lingue e con sguardi di autenticità; non hanno paura delle loro fragilità e non ne fanno necessariamente un post; hanno capito da tempo che da noi “grandi” non si possono aspettare un aiuto, anzi che ne abbiamo bisogno più di loro, imprigionati nei nostri reticoli mentali. A leggere le ricerche sono normalmente umani. Vogliono una vita in equilibrio in cui il lavoro è una parte importante, ma solo una parte. Vogliono essere rispettati nella loro unicità, aiutati a scoprire quello di cui sono capaci, che ancora non sanno di avere dentro. Vogliono aziende sane, dove i capi sanno fare il loro lavoro e anche farsi da parte. Vogliono un mondo pulito, con persone pulite. Cosa c’è di strano? Siamo noi che facciamo fatica ad accettare che abbiamo giocato sporco. Liberiamo le poltrone, andiamocene in crociera, illudendoci di essere viaggiatori. Avanti il nuovo.

Il realista. Sapere quello che serve nel mercato del lavoro può evitarci di passare i nostri anni migliori a studiare o fare esperienze in campi che hanno pochi sbocchi. Il Direttorato generale occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione Europea ha pubblicato un mese fa l’analisi annuale sui lavori con eccesso di domanda e di offerta, mirando a identificare le carenze di competenze emerse durante la pandemia e in che modo la digitalizzazione e la transizione verde incidono ulteriormente su tali carenze. La conclusione è che la pandemia non ha creato nuovi fattori di carenza di competenze, ma ha accelerato carenze di manodopera già esistenti indotte da questi fattori, nell’ordine: digitalizzazione, invecchiamento della popolazione, squilibri nell’istruzione, transizione verde. Le tre categorie che mancano maggiormente sono le professionalità per assistenza sanitaria, informatiche e tecnico-ingegneristiche. Chi sta scegliendo il percorso di studi o di riqualificazione consideri che c’è un gran bisogno di infermieri e operatori sanitari, programmatori e sviluppatori, idraulici, muratori, elettricisti, saldatori, camionisti e ingegneri. Ma oltre all’allineamento alle esigenze del mercato delle scelte formative, bisogna anche adeguare la qualità delle condizioni di lavoro. Ad esempio nel settore sanitario le condizioni di lavoro sono problematiche a causa di orari prolungati, straordinari, carico di lavoro elevato, stress lavoro correlato e salari inadeguati. Le categorie che invece abbondano sono le professionalità amministrative ed elementari. Chi è o sta considerando di lavorare come commesso, segretario, tassista, cassiere, parrucchiere, sarto, ha e avrà una gran competizione. Inoltre, sono a rischio disoccupazione alcune professionalità umanistiche come i giornalisti (sigh) e i sociologi. L’automazione è cieca e non distingue un call center da una redazione. È interessante notare che permangono forti restrizioni allo scambio di competenze, dimostrate dal fatto che molte professionalità carenti nella maggior parte dei paesi, sono in realtà in surplus in alcuni altri. I cuochi ungheresi e i dottori greci servirebbero in Belgio e in Inghilterra, gli ingegneri portoghesi alla Germania, i tecnici slovacchi all’Italia. Inoltre, la distribuzione di genere prospetta impatti negativi per le donne, che tendono ad essere sottorappresentate nei lavori tecnici e sovra rappresentate in quelli amministrativi, nonostante una sostanziale parità di competenze acquisite. Favorire la mobilità nazionale e internazionale, l’inclusione di genere, la piena occupabilità di tutti, richiede politiche educative, sociali ed economiche urgenti. Servono imprese capaci di attrarre e ritenere le persone di talento, dando loro la possibilità di sviluppare tutto il loro potenziale.

Il social network. LinkedIn ha pubblicato il report 2023 sui lavori in crescita indicando le 25 professioni in ascesa in Italia da gennaio 2018 a luglio 2022. Si confermano a forte trazione alcuni ruoli tradizionali ed evergreen come i vari ruoli commerciali (sviluppo clienti, partnership, acquisti, brand). Ma la fanno da padrone le professionalità legate al mega trend di trasformazione digitale in tutte le salse (dall’ingegneria dei dati, alla sicurezza informativa e cloud, al coding). Infine, trovano spazio anche alcune professioni legate alla salute e alla sostenibilità ambientale. Sintesi da twittare: “Ogni professione e ruolo che non abbia una componente digitale è in qualche misura incompleta e incompiuta”.

Il demografo. Alessandro Rosina scrive sul Sole 24 Ore: “E’ necessario rafforzare la capacità di creare nuova ricchezza e generare benessere, intervenendo sulla generazione chiave, quella oggi attorno ai 20-24 anni. Dal suo percorso formativo e professionale e dalle scelte di vita che realizzerà (o meno) dipenderà gran parte della capacità di sviluppo economico e della sostenibilità sociale fino a metà di questo secolo, quando gli squilibri demografici andranno maggiormente ad accentuarsi (in termini di rapporto tra anziani e popolazione in età attiva). In questo cruciale tratto della storia del nostro paese gli attuali ventenni vivranno la fase centrale della loro vita produttiva e riproduttiva. Tutto ciò che non funzionerà nel loro corso di vita (quali limiti di partenza od ostacoli nella piena valorizzazione del proprio capitale umano), si sentirà in modo diretto e accentuato come debolezza e fragilità del paese. In termini quantitativi portano una riduzione di circa un terzo di potenziale forza lavoro rispetto a chi è attualmente nel pieno dell’età attiva. Senza un forte piano di investimento del paese che, a partire dalle risorse di Next Generation Eu, vada a rafforzare la qualità della loro formazione, la qualità dei servizi delle politiche attive, la qualità del lavoro, la qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, il destino è quello di una generazione perdente in un’Italia in irreversibile declino. Assegnarle, al contrario, un ruolo da protagonista – facendo in modo che sia ben preparata e ben inclusa nei processi di sviluppo del paese, sia sul versante maschile che femminile – oltre a migliorare la condizione di chi oggi è giovane, consente all’economia e al sistema di welfare di rimanere solidi nella delicata fase di traghettamento verso una società più matura (con popolazione anziana prevalente rispetto a quella in età da lavoro). Andare in questa direzione riduce anche la perdita di talenti verso l’estero e rende più attrattiva l’Italia all’immigrazione di qualità”.

Il sociologo. Francesco Morace, presidente di Future Concept Lab, intervistato da Alessandro Paciello, sostiene che “Abbiamo superato lo stato della modernità liquida definita da Bauman e siamo passati direttamente a quello gassoso, passando dai bisogni ai desideri e da questi ai capricci, cioè alla religione del sé. La liquidità, che era l’allentamento dei legami con le comunità di riferimento, evapora a uno stato gassoso, nel quale ciascuno galleggia come una mongolfiera sempre pronta a sgonfiarsi e a precipitare”. Ma aggiunge che sono emersi anche segnali inaspettati di creatività visionaria soprattutto da parte delle ultime generazioni che cercano di progettare la vita in una diversa prospettiva. Ci sono gli inebetiti tra i nativi digitali ma anche molti che usano in modo smart gli strumenti e diventando protagonisti come “consum-autori”. In realtà i giovani riescono a sviluppare materiali, esperienze, intelligenze, che sfuggono completamente alla visione tecnocratica e centralizzata del sistema dominante. Secondo Morace, ritornerà centrale il tema del talento e dell’unicità del valore aggiunto umano dotato di intenzioni, valori ed emozioni, cose che una qualsiasi forma di intelligenza artificiale non potrà mai avere. Anche sul fenomeno del Quiet Quitting, bisogna essere precisi: “Vuol dire faccio l’essenziale, non perdo tempo, perché il mio tempo è molto prezioso e non lo vendo al mio datore di lavoro”. Sono cambiate le priorità esistenziali, conta la passione, il coinvolgimento, la visione personale della vita, il rapporto coi luoghi. Vogliono viaggiare e stare ovunque. Sono la generazione Erasmus e sono abituati a farlo. Sono una generazione cresciuta con intorno a sé e un grado di libertà prima inimmaginabile. Abituati all’incertezza da dopo gli attentati alle torri gemelle, sanno che il futuro non è prevedibile, affrontano la vita con la filosofia del “Mi organizzo oggi e ho gli strumenti per farlo”. Chiedono di rimettere in discussione i modelli di leadership e vogliono vero coinvolgimento basato sulla fiducia.
Dato che le tecnologie digitali hanno fuso il tempo di lavoro e quello privato, vogliono anche mettere una barriera tra sé e l’occupazione, preferendo la mentalità del lavoro a progetto, sia nelle organizzazioni sia nella vita privata. Per le imprese non è facile perché c’è anche chi ne approfitta. Ma per la maggioranza è cambiato il paradigma del rapporto strutturale col tempo, i luoghi e con la vita nella sua totalità.

La psicologa. Anna Ancona, presidente dell’ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna: “A volte un giovane con difficoltà fa uso di sostanze illegali, o anche legali (medicinali), per cercare di affrontare e superare le sue difficoltà; dentro di sé vive da tempo un senso di insoddisfazione, poiché non riesce ad ottenere successo nelle mete che si era prefisso, oppure per noia, poiché non può impegnarsi in qualcosa che lo entusiasma, oppure ancora frustrazione per delusioni subite o perché si sente inadeguato nei confronti dei modelli sociali imposti, oppure per solitudine, insicurezza, non ha occasioni di esprimere il malessere in famiglia, o perché i genitori sono indifferenti ai suoi umori interiori, o sono impotenti, o ci sono già altri problemi per i quali un giovane non vuole dare ulteriori preoccupazioni. La situazione di precariato lavorativo, combinato al caro affitti, mina lo stato psicologico dei giovani che non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di “adolescenza sospesa”. Servono nuovi luoghi culturali, creativi, giovani, attrattivi, a rappresentanza storica, contemporanei e identitari! Una zona specifica che dia la possibilità di varietà, con strutture iconiche e con nomi iconici. Servono modelli da seguire e perciò servono luoghi che li creino, servono ambienti dove un giovane possa trasformare le frustrazioni in qualcosa di soddisfacente ed appagante, in opere creative straordinarie e rivoluzionarie, che dia potere a questi giovani”.

L’analista dei trend: oggi la conciliazione vita-lavoro vale più del massaggio gratis in azienda. Sono cambiati i valori e le preferenze delle persone. Flessibilità e sostenibilità, ambientale, economica e di impatto sociale, sono elementi molto più in alto nella lista delle priorità di vita e scelte professionali delle persone. Lo testimoniano i dati del rapporto 2022 del Welfare Index PMI per il 2022. Le aree che in questi sette anni hanno conosciuto lo sviluppo più rapido sono Conciliazione vita – lavoro, segno evidente di un cambiamento organizzativo e culturale nella gestione delle aziende, e quelle più rilevanti per la gestione dei rischi che minacciano le famiglie: Salute e assistenza, Previdenza e protezione. Dallo scoppio dell’emergenza Covid a oggi, il 38% delle PMI hanno adottato e ampliato il lavoro a distanza, rispetto a solo l’8% che lo praticava già in precedenza, e spesso solo per ragione di esigenze familiari specifiche. Oltre allo smart working, le iniziative più diffuse in questo ambito sono la flessibilità oraria aggiuntiva a quella contrattuale (nel 35% delle aziende), i permessi aggiuntivi per i genitori (16%), l’integrazione del congedo di maternità / paternità (17%). Inoltre, una serie di servizi salva tempo e per la cura dei figli. Queste iniziative, per l’impatto che hanno su temi chiave dell’equilibrio sociale, dovrebbero essere fortemente promosse e incentivate. E per avere successo richiedono anche un cambiamento culturale generalizzato.

Nuovi standard di vita e lavoro.

Il neo-nomadismo. Le piccole città americane attraggono chi lavora da remoto con programmi di incentivi che comprendono bonus in contanti (fino a 12 mila dollari), sconti sulla palestra, babysitter e spazi di lavoro gratis. Lo riporta il Wall Street Journal con esempi da 71 centri urbani sparsi per gli USA (cresciuti dai 24 identificati nel censimento fatto meno di un anno fa). MakeMyMove, il cui slogan è “Fai quello che ami, da un posto che ami”, è specializzata in questi programmi, che tendono ad attrarre lavoratori dalle maggiori società tecnologiche, come Apple, Amazon, Google, IBM, Airbnb, Oracle, Netflix, Siemens, che tipicamente risiedono ad esempio in California (Silicon Valley) o Texas (Austin). Chi si sposta, ad esempio, a Tulsa (Oklahoma) e, in generale, lontano dalle coste, può avere un costo della vita molto minore, evitare il traffico, l’inquinamento o entrare in comunità in cui le relazioni tendono ad essere personali e accoglienti. Chi arriva crea posti di lavoro e contribuisce a rivitalizzare la comunità con nuove competenze, interessi e il proprio network. Per le grandissime città nel mondo la sfida dello sviluppo si gioca a tavoli molto importanti con finanziamenti per attrarre mega investimenti industriali, logistici, poli di ricerca e universitari e così via. Da queste dinamiche i piccoli centri sono esclusi. Tuttavia, possono essere molto più propositivi e competitivi con programmi di questo tipo che mirano ai singoli, alle famiglie e richiedono risorse tutto sommato limitate, con ritorni visibili e immediati. Le big tech, come Meta e Google, riducono proporzionalmente lo stipendio di chi si trasferisce con parametri relativi al costo della vita locale. Ma anche considerando questo effetto, i benefici rimangono sostanziali soprattutto dal punto di vista della qualità della vita. In Italia, l’esempio più famoso, perché il primo, è stato il comune grossetano di Santa Fiora, che all’inizio della pandemia ha investito sulla fibra ottica e messo a disposizione immobili sfitti a chi voleva provare a vivere un’esperienza di vita a contatto con la natura. Delle 30 famiglie che si sono succedute negli ultimi due anni, alcune hanno deciso di rimanere e anche di rilanciare iniziando attività imprenditoriali locali, come Emanuela Mauri. “Sono arrivata qui in fuga dalla città, e mi sono reinventata. Ora, con mio marito, ho anche creato nel vicino borgo di Zancona, Senxunia, il primo esempio di garden sharing dell’Amiata dove si può campeggiare e fare corsi di yoga o pittura”. Nel 1973 Ernst Friedrich Schumacher scrisse “Piccolo è bello”, in cui mise in discussione il paradigma occidentale moderno, imperniato su consumismo, grande industria e centralismo organizzativo. Oggi con la trasformazione del lavoro in corso, c’è una concreta possibilità di riconcepire i rapporti con il territorio in chiave di sostenibilità secondo i principi dell’Economia Circolare.

Vanlife, il nuovo trend per una vita smart. Sono sempre di più le persone che vivono in un camper per scelta di vita, anche in Europa e in Italia. Rivoluzionano le proprie abitudini e si adattano a uno spazio molto più piccolo, ad avere meno oggetti e meno comodità di una casa normale. I VanLifers fanno parte della categoria dei nomadi digitali. Viaggiano, vivono e lavorano in camper, furgoni o altri mezzi di trasporto a motore convertiti in residenze mobili. Appassionati di nuove avventure, le persone che adottano questo stile di vita generalmente combinano lavoro a distanza e viaggi per vari motivi e periodi di tempo. Il numero di VanLifers negli Stati Uniti è stato stimato in oltre tre milioni a metà del 2022, un aumento di oltre il 50% rispetto al periodo pre-Covid. Anche in Europa il fenomeno sta prendendo sempre più piede. E questo stile di vita viene ripreso da bloggers, influencers e youtubers che poi condividono i propri viaggi ed esperienze sui social. In Italia, è molto più semplice di ciò che si pensa: per vivere in camper bisogna solo essere in possesso di alcuni documenti: la patente di guida, il libretto di circolazione del veicolo (dal 2020 il Documento Unico), il certificato di assicurazione e il “bollino blu”, attestante l’avvenuto controllo dei gas di scarico. Per sostare, invece, esistono aree attrezzate a pagamento, dove si può utilizzare anche la corrente, oppure ci si può fermare anche in parcheggi liberi, purché il camper rientri negli appositi stalli e non sia d’ingombro per la circolazione. In queste aree attrezzate (chiamate CS: camper service oppure AA: area attrezzata) è anche possibile svuotare le cosiddette acque nere, ovvero ciò che viene rilasciato nel WC. Per chi è interessato, questo articolo offre una descrizione molto approfondita di vantaggi, svantaggi e di quanti soldi servono. https://lnkd.in/dZavuBTfì

Gli imprenditori (alcuni) accecati dalla tecnologia. Una nuova tentazione di alcuni imprenditori di fronte alla richiesta di maggiore flessibilità è introdurre forme di controllo a distanza, soprattutto del lavoro da remoto. Il controllo automatizzato del lavoro non produce necessariamente gli effetti desiderati, anzi. Karen Levy, docente di information science alla Cornell University, ha studiato a fondo l’utilizzo delle tecnologie di monitoraggio dei guidatori di camion per capire gli effetti sul comportamento e sui risultati attesi e lo racconta nel suo nuovo libro Data Driven. Da qualche anno le normative negli Stati Uniti e in Europa stanno introducendo la possibilità e anche il requisito di installare monitor digitali che, collegati al motore, registrano i dati sulla durata di guida di un camion e la sua posizione. I dati raccolti dalla Levy suggeriscono che questi sistemi non sono efficaci: i tassi di incidenti sono aumentati con le registrazioni elettroniche. L’ipotesi è che i conducenti compensino la rigidità delle regole di cronometraggio guidando più velocemente o non controllando le cose che dovrebbero perché stanno cercando di arrivare prima che scadano le loro ore di guida. Questa è un’importante lezione anche per il controllo delle persone che lavorano da remoto. I datori temono che i lavoratori non lavorino abbastanza se non sono in ufficio. Ma i software che usano non misurano i contributi più significativi di un lavoratore. Potrebbero tenere traccia di quante e-mail sono inviate o dei minuti per elaborare un documento, ma non necessariamente se hanno avuto un’idea innovativa o un’ottima conversazione con un cliente. Le persone controllate si sentono frustrate, stressate e hanno maggiori probabilità di andarsene perché il vero valore che apportano all’azienda non è percepito. Infine, i dati mostrano anche che c’è una correlazione inversa tra controllo dei tempi e delle attività e livello di creatività e innovazione da parte delle persone. I sistemi di controllo chiamati smart non sono smart.

Gli imprenditori coi piedi per terra. Ci sono interessanti e acute analisi sull’andamento dell’economia in questi giorni, in particolare relativamente alla caduta dei risparmi delle famiglie, a seguito dell’inflazione. Un mio amico commercialista ha commentato con una sintesi molto chiara: “Bollette +300 euro al mese, carburante +100, mutuo +300 (se non hai il tasso fisso), spesa al super +300. Per una famiglia medio-bassa con doppio stipendio che porta a casa 3000 euro netti al mese, significa 1000 euro di costi in più, un taglio netto del 30%. Per forza che bisogna attingere ai risparmi e alla riduzione dei consumi”. L’impatto dell’inflazione è per tutti, ma si distribuisce diversamente sulle classi di reddito perché nelle fasce medio-basse il peso delle componenti carburante, energia elettrica e gas, alimentari ha un peso molto più alto sul totale dei consumi rispetto ai redditi più alti. Nelle organizzazioni “medie” la maggior parte delle persone ha redditi medio-bassi. Quando i manager prendono decisioni che impattano il bilancio delle famiglie in questa fase storica è importante che se lo ricordino. Lo smart working fa risparmiare aziende e persone. Interessante la presa di posizione in merito di Patrizio Bertelli, fondatore con la moglie Miuccia, di Prada, intervistato da Giovanni Pons su Repubblica: “Il problema di fondo dell’industria italiana è lo stipendio base, non è più sufficiente. Bisogna investire sulle risorse umane, di qualsiasi tipo, partendo dalle fabbriche e dagli operai, per innalzare lo stipendio base. E i casi sono due: o l’azienda si fa carico di un aggravio di costi oppure ci deve pensare lo Stato. Se non lo si fa, lo scontento sociale prenderà il sopravvento. Lo stipendio base degli operai riguarda 8-10 milioni di persone, che in questo momento non sanno come far fronte all’aumento della benzina, della bolletta elettrica, dei beni alimentari. Bisogna introdurre una strategia ben precisa, indipendentemente dal colore del governo, per mettere più soldi in tasca ai lavoratori. Solo così può tornare l’entusiasmo e l’economia può riprendersi. Il ministro Giorgetti dovrebbe prendere una decisione strategica, molto forte, in questa direzione. Abbiamo molte aziende che vanno bene e siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa. La forza lavoro è il motore dell’Italia. Mentre molte aziende, inclusa la nostra, attribuiscono premi a fine anno ai propri dipendenti, ma è un intervento a macchia di leopardo. Occorre renderlo più strutturale e non lasciarlo all’iniziativa dei singoli imprenditori”.

La Think Tank: Good Work Framework. Il World Economic Forum inquadra il tema delle sfide del mondo del lavoro per i giovani da cinque angolature: volatilità dei salari e del costo della vita; divergenza sulla domanda di flessibilità; pandemia silenziosa nel benessere; un’erosione dei miglioramenti sui temi di diversità, equità e inclusione; necessità di una rivoluzione della riqualificazione delle competenze. La sua proposta è l’adozione di nuovi standard di “buon lavoro” focalizzati su: promuovere l’equità salariale e tecnologica; fornire flessibilità e protezione; garantire salute e benessere, rispetto della diversità, equità e inclusione e favorire l’occupabilità e la cultura dell’apprendimento continuo. Inoltre, nell’edizione 2023, ha sottolineato l’importanza di un “ascolto generoso, il soft skill dal potere hard”. Molti leader devono imparare ad ascoltare veramente le esigenze delle persone più giovani nella loro organizzazione.

I ricercatori: le organizzazioni sane hanno buone abitudini, come le persone. I ricercatori del National Center for Neurological Disorders di Pechino, in Cina, hanno analizzato 29.000 adulti di età superiore ai 60 anni con normali funzioni cognitive che facevano parte del China Cognition and Aging Study per un periodo di 10 anni. All’inizio dello studio, nel 2009, la funzione della memoria è stata misurata mediante test e le persone sono state controllate per il gene APOE, che è il più forte fattore di rischio per l’Alzheimer. I soggetti sono stati poi monitorati per 10 anni con valutazioni periodiche. Complessivamente, le persone con 4 o più comportamenti sani hanno il 90% in meno di probabilità di sviluppare demenza o lieve deterioramento cognitivo rispetto al gruppo di controllo. La dieta sana ha avuto l’effetto più forte nel rallentare il declino della memoria, seguita dall’attività cognitiva e quindi dall’esercizio fisico. Allo stesso modo si possono identificare i fattori che favoriscono una vita salutare e sostenibile a lungo termine di un’organizzazione:

Avere obiettivi chiari di ruolo e di risultato atteso, definiti in modo S.M.A.R.T: Specifico, Misurabile, Attuabile, Rilevante, Tempificato, visibilmente coerenti con il fine aziendale superiore e trasversale a tutta l’organizzazione
Sostenere una cultura manageriale di feedback continuo, reciproco, multidirezionale su risultati, comportamenti e lo sviluppo professionale
Offrire un sistema di apprendimento continuo di abilità tecniche e manageriali rispetto all’evoluzione tecnologica e dei modi di lavorare
Creare un’organizzazione del lavoro flessibile, fluida, relativamente agli spazi, servizi, tecnologie, processi che mira alla performance e al benessere
Sviluppare sistemi e policy, HR e non solo, inclusive, coerenti e articolate per la diversità di ruoli, preferenze e stili di vita di ogni persona
Essere un sistema di valori e relazionale basato sul mindset della crescita

Nuovi leader per pensare un nuovo lavoro.

I leader: esempio di gentilezza. Gli anni della pandemia hanno scatenato egoismi e divisioni a livello individuale e planetario, ma allo stesso tempo hanno fatto aumentare l’autoconsapevolezza su quello che è veramente importante nella vita e (alcune) persone a tutti i livelli stanno iniziando a fare, coerentemente, scelte diverse. Jacinda Ardern si dimette da primo ministro della Nuova Zelanda dicendo “non ne ho più abbastanza nel serbatoio per fare il lavoro”. Ardern è diventata la donna capo del governo più giovane del mondo quando è stata eletta prima ministra nel 2017 all’età di 37 anni. “Me ne vado, perché con un ruolo così privilegiato arriva la responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta per guidare e anche quando non lo sei. So cosa richiede questo lavoro. E so che non ho più abbastanza nel serbatoio per rendergli giustizia. È così. Io sono umana, i politici sono umani. Diamo tutto quello che possiamo finché possiamo. E poi è il momento. E per me, è il momento. Sono stati i cinque anni e mezzo più appaganti della mia vita. Ma hanno anche avuto le loro sfide: con un’agenda incentrata sulla carenza di abitazioni, povertà infantile e cambiamento climatico, abbiamo incontrato un… evento di terrorismo interno, un grave disastro naturale, una pandemia globale e una crisi economica. Vorrei che i neozelandesi mi ricordassero come qualcuno che ha sempre cercato di essere gentile. Spero di lasciare ai neozelandesi la convinzione che si possa essere gentili ma forti, empatici ma decisi, ottimisti ma focalizzati. E che puoi essere te stesso come leader, uno che sa quando è il momento di andare”. Ha ringraziato il suo compagno, Clarke Gayford, e la figlia Neve, che ha dato alla luce mentre era in carica, come “le persone che hanno sacrificato di più di tutti noi. A Neve: la mamma non vede l’ora di essere lì quando inizierai la scuola quest’anno. E a Clarke: finalmente sposiamoci”. Come ha commentato il suo vicino di casa, il primo ministro australiano Anthony Albanese: “La Arden ha mostrato al mondo come guidare con intelletto e forza. Ha dimostrato che l’empatia e l’intuizione sono potenti qualità di leadership”.

Congedo parentale stile finlandese. Carneade! Chi era costui? La celebre esclamazione manzoniana si può applicare ad Antti Kaikkonen. Fino ad oggi non molti conoscono il nome del ministro della difesa finlandese. Ma la cosa potrebbero cambiare. La sua sfida professionale attuale è assicurarsi che la #Finlandia, insieme alla Svezia, entri nella NATO. Ma potrebbe diventare più famoso per un’altra ragione. Kaikkonen si prenderà un congedo di paternità di circa due mesi, a partire da gennaio e fine febbraio 2023, un periodo durante il quale sarà sostituito da un collega dello stesso partito centrista. Suo figlio è nato a luglio e lui ha dichiarato: “I bambini sono piccoli solo per un breve periodo, e voglio ricordarmelo non solo attraverso le fotografie”. In Finlandia, ad agosto è entrata in vigore la riforma del sistema per il #congedo familiare. Entrambi i genitori possono prendersi 160 giorni di ferie e trasferirne 63 al partner se lo desiderano. L’obiettivo del governo finlandese è quello di raggiungere una maggiore parità di genere e permettere ai cittadini di conciliare “carriera e vita familiare più facilmente”. Chi è in stato di gravidanza ha inoltre diritto ad altri 40 giorni di indennità prima dell’inizio del pagamento dell’assegno parentale. Questi giorni possono essere utilizzati fino a quando il bambino non ha compiuto i due anni o entro due anni dall’adozione. Nei criteri non viene preso in considerazione il sesso dei genitori, né il fatto che siano i genitori biologici o adottivi del bambino tenendo conto dei diversi modelli di famiglia esistenti e garantendo per tutti gli stessi diritti.

I manager: allenatori dei giovani e ambasciatori intergenerazionali. Dopo che migliaia di cervelli ben addestrati hanno studiato e scritto fiumi di inchiostro su come motivare e far crescere le persone ed essere leader efficaci, ancora oggi ci chiediamo: come fa un manager a ingaggiare e sviluppare i giovani perché realizzino tutto il loro potenziale? Emilio Galli-Zugaro, esperto di coaching di fama internazionale ha indicato due domande cruciali come soluzione per vincere la guerra dei talenti e delle grandi dimissioni. “Durante qualsiasi conversazione che hai come manager con un collaboratore chiedi: Cosa posso fare io perché tu raggiunga i tuoi obiettivi? In questo modo puoi portare il focus della relazione sull’autonomia, la sfida dell’eccellenza e dell’intreccio tra fine aziendale e motivazione personale. L’altra domanda è: Ci sono cose che io non sto vedendo? Così mostri una diretta apertura a riconoscere i tuoi limiti, a sbagliare, a non aver visto qualcosa in anticipo. Questo leader, che si mostra umanamente vulnerabile, permette anche ai membri della squadra di riconoscere i propri limiti per poterli superare progressivamente.

Le soluzioni, perché la combinazione delle due parole giovani e lavoro non diventi un ossimoro, ci sono. Non c’è da aspettare Godot.

“Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto”, Carlo Maria Martini.

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Pubblicato il 26 Febbraio 2023
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