“I giovani hanno bisogno di testimonianze, riferimenti e maestri”
Federico Visconti rettore dell'università Liuc di Castellanza interviene sul tema relativo ai giovani in Italia, una riflessione aperta da un editoriale del direttore di Varesenews Marco Giovannelli
Delle considerazioni di Giancarlo Giannini sui giovani ho saputo dall’editoriale di Marco Giovannelli di qualche giorno fa, non dai social, che frequento poco e male, da dilettante allo sbaraglio. Il titolo, “La rassegnazione dei giovani: una strada segnata?” è tutto un programma. I contenuti sono uno stimolo, soprattutto per uno che sui giovani e per i giovani ha detto (e fatto, spero) tante cose.
Fedele alla tradizione delle quotes, ne uso qualcuna anche in questa occasione, giusto per mettere un tocco di simpatia su un argomento che simpatico certo non è. Partiamo dalla prospettiva e prendiamo a prestito una grande intuizione di Van De Sfroos, quella di parlare del figlio di Guglielmo Tell, uno di cui “i geent, i se regòrden gnanca el nòmm”. Anche Giovannelli si mette simbolicamente dalla parte dei giovani, riportando la testimonianza di una diciassettenne il cui amico finirà a breve le superiori e andrà all’estero. “Ha già deciso e fa bene!”, commenta la ragazza.
Provo a stare al gioco, e penso a dei liceali che ascoltano un paio di passaggi di “Ho fatto in tempo ad avere un futuro” di Ligabue.
“Ho fatto in tempo a perdere tempo, in cambio di un sogno, di un pezzo di idea”. C’è qualcosa di affascinante in quel “perdere tempo”. Al loro posto mi chiederei: perché tanta fretta di scappare? A Berlino i sogni si comprano come il pane? Non avrebbe senso dedicare ancora un po’ di tempo a un Paese che ha la seconda manifattura d’Europa e che continua ad essere attrattivo per la qualità della vita e delle risorse? Non dico che per rassegnarsi c’è sempre tempo. Lungi da me! Dico solo che le decisioni vanno ponderate all’interno di un ventaglio di alternative.
“Ho fatto in tempo a imparare a volare, senza dover guardare giù”. Anche qui, da giovane, mi verrebbe da cincischiare sul verbo imparare (a stare al mondo prima che a volare): che cosa ho già imparato dalla famiglia, dalla Scuola, dalla società? Ma anche che cosa non ho ancora imparato, per disinteresse, per pigrizia, per presunzione. Pensare che a Barcellona o a Melbourne il verbo “imparare” non esista sarebbe un grave errore … meglio saperlo per tempo.
Il gioco è finito, ma fino a un certo punto. Ce n’è anche per Guglielmo Tell, cioè per gran parte delle persone cui l’articolo si rivolge. Ligabue inizia la canzone con queste parole “Ho fatto in tempo ad avere un futuro che non fosse soltanto per me”. Detto fatto: per “tutti tranne che per i giovani” si apre un mondo, fatto di progettualità e di assunzione di responsabilità.
“Un futuro non soltanto per me” significa, giusto per lanciare qualche provocazione: guardare lungo e allocare risorse non solo dove ci sono le constituency elettorali; investire sulla ricerca e sulla mobilità sociale; premiare il merito e mettere le persone giuste al posto giusto; buttare a mare le liturgie da governance medioevale, le scartoffie alla Azzeccagarbugli e i totem che rappresentano Tomasi di Lampedusa. Non è che in Italia non si faccia e all’estero sì. Si fa, ma molto meno che all’estero e su questo i giovani hanno ragione alla grande. La storia, purtroppo, insegna.
Se la strada sia segnata o no preferirei discuterne in privato, magari in una cena, come ha fatto Giovannelli. Però una tesi mi è cara e la considero “forte”: i giovani hanno bisogno di testimonianze, di riferimenti, di maestri. Di generosità, di confronto, di fiducia, di rigore, di autorevolezza. Mi risulta difficile, da vecchio Guglielmo Tell e portando un esempio à la page, delegare al Festival di Sanremo, ai suoi look e ai suoi assalti floreali una missione così alta e sfidante. A tema c’è una questione “socio-educativa” di portata storica, in Italia e nel mondo. Affrontarla con centinaia di cene e migliaia di talk show è una possibilità. L’altra è che, responsabilmente, nei propri ambiti di competenza, si prendano in mano arco e frecce e si colpisca la mela. Troppo facile, tendenzialmente italico, sostanzialmente inutile, provarci con l’anguria.
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