Quelle minacce a Varese con la pistola trovata nello sciacquone del bar

Prima il litigio col l’arma mostrata al rivale, poi la P38 rinvenuta carica nei bagni di un esercizio pubblico di Masnago. Le indagini e il processo per accertare le responsabilità

tribunale di varese

Litigi per lavori mal svolti a detta del committente il quale per avere ragione sull’artigiano che gli ha sistemato la casa mostra il calcio di un potente revolver. Il minacciato chiama i carabinieri che arrivano ma non trovano l’arma, che invece qualche ora dopo nello stesso giorno (è il 14 aprile 2017) viene rinvenuta nello sciacquone di un esercizio pubblico a Masnago, quartiere varesino dove si è consumata questa vicenda.

Il tutto è stato messo a verbale prima dall’Arma, intervenuta per le minacce, e poi dalla polizia di stato chiamata dal titolare del bar che aveva problemi nei gabinetti dell’esercizio pubblico da cui non scendeva più acqua: ad un controllo del sistema, la scoperta del potente revolver con 6 proiettili calibro 38: benché fossero nel tamburo, a sua volta sott’acqua, probabilmente permettevano all’arma di essere pericolosa e di poter sparare (anche se i risultati degli accertamenti balistici, e dattiloscopici richiesti alla polizia scientifica sarebbero ancora in carico nei laboratori di Busto Arsizio).

Quella sera la polizia intervenne dunque su segnalazione del barista che aveva trovato la pistola e nell’immediatezza dei fatti prima le Volanti e poi la squadra Mobile erano riuscite a risalire al sospettato, trovato con in auto un coltello e una pinza che ha fatto scattare la denuncia per porto abusivo di oggetti atti a offendere, a cui si è aggiunta anche la pregressa denuncia presentata dall’artigiano per le minacce. L’imputato è difeso dall’avvocato Francesca Panajia che in aula ha contestato proprio la difficile ricostruzione dell’episodio “madre“ di questa storia, vale a dire la presenza dell’arma: l’imputato non ha porto d’armi, ma è al momento difficile provare il fatto che la pistola trovata nel gabinetto sia da attribuire al suo possesso (anche perché in assenza di rilievi sull’arma comprovante che la stessa fosse nella disponibilità dell’imputato).

Inoltre, a beneficio della tesi difensiva, non collimerebbero gli orari dei tabulati telefonici con la ricostruzione dei fatti contenta nella denuncia: «L’imputato in quegli orari è provato che fosse in altre zone della città». L’udienza è stata aggiornata al 19 ottobre prossimo.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 23 Febbraio 2023
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