Il racconto dalla Turchia di Francesca, volontaria di Gallarate con i bambini e i rifugiati siriani
Francesca Tronconi, psicologa di 23 anni, si trova da due settimane a Gaziantep, che già accoglieva mezzo milione di profughi dalla Siria. Dopo le scosse si è attivata con gli altri colleghi per dare un primo aiuto
«Siamo stati senza acqua e senza gas, elettricità che andava e veniva, ora per fortuna c’è un rivolo d’acqua». Francesca Tronconi parla delle difficoltà che sta vivendo in prima persona, ma il pensiero è anche per i bambini con cui lavorava, a Gaziantep in Turchia, proprio nell’epicentro del terremoto nella notte tra domenica e lunedì.
«Contatti diretti abbiamo iniziato ad averli solo oggi [mercoledì, ndr]. Abbiamo fatto un giro qui nei dintorni, per verificare la situazione ma ci hanno chiesto di rimanere in casa perché le scosse non sono finite, si attendono altre forti scosse» ci racconta in una call dalla camera della struttura dove vive in queste settimane.
Originaria di Gallarate, ventitre anni, Francesca ha una laurea in psicologia ma dopo la triennale ha deciso di mettersi alla prova e oggi partecipa a un campo (di un mese e mezzo) nella grande città del Sud della Turchia.
È arrivata tre settimane fa: «Sono qui con European Solidarity Corps, organizzati da progetti Erasmus+ finanziati dall’Unione, lavoriamo con una ngo (organizzazione non governativa, ndr) che si chiama Geged. Organizziamo attività con i rifugiati, perché Gaziantep è una città vicino al confine con la Siria e oggi accoglie 500mila profughi. Noi lavoriamo con bambini e ragazzi, siriani ma anche turchi, organizziamo attività di teatro, giochi, momenti per le donne».
E come state adesso?
«Noi siamo in una struttura sicura» premette Francesca, che ha già rassicurato moltissimi amici e conoscenti in queste ore, a suon di messaggi e video.
«Proprio di fianco però è crollata la torre della moschea, una cosa che ci ha colpito molto».
Come è stato l’impatto del sisma lì, proprio vicino all’epicentro?
«Tremo a pensarci: io dormo nel posto in alto di un letto castello, a una certa ha iniziato a tremare tutto, sentivo il letto che tremava e ho visto il lampadario che si muoveva sempre di più da una parte all’altro. In altri stanze si sono rotte le finestre e i vetri.
Anche scendere le scale è stato difficile: eravamo sommersi dalla paura, siamo corsi scalzi in cortile, nella neve, perché tra l’altro nelle ore prima aveva appena nevicato. Per tutto il giorno dopo siamo stati in uno stato confusionario, continuavano le scosse, il meteo non aiutava perché tra pioggia e neve. Quanto sei sconvolto lo capisci nei giorni dopo, gli occhi non si chiudono quando tenti di dormire».
In questa situazione, la prima preoccupazione è mettersi in sicurezza, ma il gruppo (ragazzi da Italia, Spagna, Portogallo Marocco, Polonia, Francia, Ucraina) ha anche accolto subito anche abitanti del luogo che erano in difficoltà. «Ora è tornata l’acqua, riusciamo ad essere più calmi e aiutare. Qui eravamo in venti, ora siamo in trentacinque: abbiamo adibito la cucina anche a dormitorio, mettendo i materassi a terra».
«Oggi [mercoledì, ndr] abbiamo organizzato banchetti per distribuire aiuti, sono venute anche persone che girano scalze, altre che chiedevano abiti e un posto dove stare. Sono le fasce più povere che risentono di più della situazione, ma comunque anche la popolazione un po’ più benestante ha sofferto case danneggiate e inutilizzabili» continua, mentre intorno si sente il vociare di una casa affollata più del solito e in situazione “emergenziale”.
«Abbiamo fatto un giro qui nei dintorni, per verificare la situazione, ma ci hanno chiesto di rimanere in casa perché le scosse non sono finite, si attendono altre forte scosse. Una nostra volontaria è andata in avanscoperta in una cittadina di campagna, Islahiye, per un primo contatto. Stiamo ancora cercando di capire come organizzare le cose: per ora stiamo tentando di portare cibo ai rifugiati. Qui ci sono persone che dormono nei ristoranti, nelle moschee, basta che ci sia un posto. I ragazzi che partecipano alle nostre attività ci scrivono per chiedere aiuto».
Il terremoto è stato uno shock emotivo e fisico che si aggiunge a sofferenze che molti hanno dentro, legate alla guerra e allo sradicamento. Lo è stato anche dentro al gruppo di Francesca, «per i volontari siriani che lavorano con noi» ma anche per le volontarie ucraine.
Ma come mai Francesca ha scelto la Turchia per il volontariato internazionale?
«Questa estate ero venuta in Turchia per un progetto ambientale, sulla costa orientale. Sono rimasta in contatto e volevo tornare per un progetto di carattere più sociale, come quello di Geged».
Quanto rimarrai in Turchi? «Il progetto si conclude all’1 marzo, la mia intenzione è quella di rimanere e portare un aiuto attivo alle persone che hanno bisogno. Se la mia presenza sarà un aiuto reale e non un peso».
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