Storie intime di neo-genitori
Tra paura del futuro, stili di vita e vincoli personali, politiche latitanti e consapevolezza del sovrappopolamento del pianeta, diventare genitori per molti è diventata una scelta carica di ansie e responsabilità. Due storie che ci fanno sentire le vibrazioni più intime delle fatiche e delle gioie del dare alla luce un figlio
Andamenti demografici. Lo studio della popolazione e del suo mutamento è una sfida complessa, interdisciplinare, perché i fattori in gioco sono interdipendenti, con ramificazioni geografiche e storiche molto diverse. Il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi, secondo le Nazioni Unite. Triplicare il numero di persone nel mondo negli ultimi 70 anni non è una buona notizia perché esercita un’ulteriore pressione sulle risorse già in esaurimento e sfida gli sforzi per ridurre la povertà e la disuguaglianza. Non è neanche una buona notizia che in Europa le tendenze demografiche siano in controtendenza. Eurostat ha calcolato che il numero di ultrasessantacinquenni crescerà di oltre il 40% entro il 2050. In Italia i nati nel 2022 saranno meno di 400 mila, un calo di quasi il 30% rispetto al 2011. Il volume di Alessandro Rosina e Roberto Impicciatore “Storia demografica d’Italia. Crescita, crisi e sfide” (Carocci, 2022) illustra molto chiaramente la rivoluzione demografica del nostro paese. Nel 1861 l’aspettativa di vita degli italiani superava di poco i 30 anni, un secolo dopo è salita a oltre i 65 anni, dal 2011 ha superato gli 80 anni. Nel 1861 il numero medio di figli per donna era attorno a cinque, nel 1961 tra i due e i tre, dal 2011 è più vicino a uno che a due. Nel 1951 il rapporto bambini-anziani era di 1:1, ora ci sono oltre 5 anziani per ogni bambino.
Le implicazioni sociali di queste traiettorie discendenti, esacerbate dal Covid, sono molte e varie. Le conseguenze peggiori e sistemiche del calo demografico italiano riguardano l’accelerazione di un declino economico e sociale già pericolosamente precario a causa del debito pubblico da record e del ritardo infrastrutturale che abbiamo accumulato. La riduzione della forza lavoro attesa implica una riduzione della domanda di beni e servizi, quindi della ricchezza nazionale e della base imponibile fiscale, con conseguente contrazione delle politiche di welfare. Meno persone lavoreranno pagando le tasse quando arriveranno le bollette della pensione e dell’assistenza. Pertanto, l’immigrazione, con tutte le sfide di integrazione culturale che comporta, sembra destinata a continuare ad essere una necessità strutturale nelle democrazie occidentali, nonché una fonte di innovazione e rinnovamento.
Le cause. Per molti giovani, una delle fonti fondamentali di realizzazione umana – la genitorialità – viene ritardata o del tutto non attuata per necessità economiche. La procreazione non dovrebbe essere vista come un obbligo morale, tantomeno come un dovere patriottico. Dagli anni ’60, con l’ascesa della contraccezione, il calo dei tassi di natalità occidentali è stato in parte il risultato di una maggiore libertà per le donne di plasmare e controllare la propria vita. Ma creare una famiglia dovrebbe essere un’opzione molto più semplice di quanto non sia diventata. Il costo medio per mantenere un figlio in Italia è di 640 euro al mese. Da zero a 18 anni si possono spendere in totale tra i 96 e i 183 mila euro. Nelle democrazie liberali occidentali, il mercato del lavoro dell’inizio del 21° secolo è irriconoscibile anche rispetto a 30 anni fa. Per molti under 35, una combinazione di debito, salari stagnanti e lavoro precario fa sembrare la creazione di una famiglia un rischio, piuttosto che un passo naturale. Le risposte devono essere ampie, integrate, lontane dagli allarmismi sterili e anche dalle banalizzazioni. Per esempio, all’inizio della pandemia, si ipotizzava, in modo piuttosto grossolano, che il confinamento forzato da Covid avrebbe portato a un baby boom. In mezzo a un’acuta ansia per il futuro, è successo invece il contrario. I tassi di natalità tendono a salire durante i periodi buoni, non in quelli cattivi. Le soluzioni devono considerare attentamente i comportamenti culturali insieme al quadro economico, alle responsabilità istituzionali, ai progressi della scienza e della medicina, ai grandi shock di portata globale quali le guerre mondiali, le epidemie, le migrazioni internazionali, l’importanza della scuola e in generale del welfare.
Storie personali. Al di là dei dati e dei ragionamenti sistemici, è importante avvicinarsi a questo tema in punta di piedi, in un quadro in cui il concetto stesso di famiglia è profondamente modificato (per un approfondimento su questo aspetto, consiglio il “Rapporto sulla popolazione. Le famiglie in Italia. Forme, ostacoli, sfide” dell’Associazione italiana di studi sulla popolazione). Siamo consapevoli che ogni maternità e paternità è diversa dalle altre e unica e che ci sono mille modi di diventare genitori oggi, dalla procreazione assistita, all’affido e adozione, anche a distanza, tutti ugualmente da comprendere e rispettare. Le due storie che abbiamo raccolto ci aiutano a restituire, ad un argomento che rischia di diventare tecnico, la sua vibrazione umana personale.
Marco, neo-papà, 51 anni e Francesca, 3 anni (nomi di fantasia)
Qual è stata la parte più gratificante di diventare padre?
La mia è una storia agro-dolce, che comprende sia la gioia enorme di essere diventato padre e anche la fatica enorme, fisica soprattutto. Per Francesca sicuramente darei la vita con il sorriso sulle labbra. Ma quando non dormi va tutto a scatafascio. Sei poco lucido.
Qual è stata la più grande sfida della paternità?
Abbiamo fatto una figlia troppo tardi. A 18 anni non hai la testa, a 50 non hai più i muscoli. Lei è un torello di 17 chili che ama volare in cielo. Quando lo faccio 5 volte, ho l’acido lattico dappertutto. Ho molta meno forza ora. Mi sento invecchiato di 15 anni. Appena arrivata, è scoppiato il Covid che ci ha rovinato la vita per due anni: senza nonni, chiusi in casa con la paura di far venire baby-sitter. Per 6 mesi sono stato senza lavorare con un filo, non dico di depressione, ma di forte preoccupazione per la mia attività. Infine, prima che la bambina nascesse, mi è insorta una grave insufficienza renale. Sto curandomi con un farmaco sperimentale per ritardare soluzioni più invasive, ma ogni notte devo alzarmi fino a 8 volte. Dal 2018 non dormo consecutivamente più di 1 ora. Risento tantissimo della stanchezza fisica. Mi dispiace di non poter mettere tutta la forza che vorrei in questa relazione. Anche la mia compagna è rimasta a casa e non lavora più, perché non ci sono i nonni ad aiutarci. Lei è stata la prima ad accusare il colpo perché Francesca per i primi due anni non ha mai dormito la notte. Devo ammettere che la genitorialità è comunque uno sbilanciamento sfavorevole per la donna. Per me è questione di fortuna. Solo adesso Franci sta iniziando a dormire più regolarmente.
Quali strategie hai trovato utili per gestire i bisogni della paternità?
Serve aiuto. Io sono cresciuto con le nonne. Ogni tanto mi pongo delle domande. Ogni tanto smetto di pormele. Adesso usciamo e ripreso le amicizie che avevamo prima, con coppie con e senza figli. Abbiamo affittato una micro-casetta al mare da 1 anno per riprendere a respirare fuori dalla claustrofobia di Milano.
Quali sono state le più grandi sorprese della paternità?
La totale perdita di controllo del tuo tempo. Prima viaggiavo, leggevo, giocavo a calcetto. Adesso il tempo è totalmente di Francesca. Vorrei che al corso di preparto ti spiegassero che la vita smette di appartenerti. Io non lo sapevo.
Anche se ho amici che hanno fatto figli, non immaginavo di entrare in uno tsunami così ciclopico. Quale consiglio daresti ai nuovi papà?
Stare in guardia rispetto al mondo dei consigli su come far dormire il bambino. C’è il filone conservatore: mettetela in camera da sola e vedrete che dopo 3 giorni che piange si consola da sola. Alcuni fanno ancora così e anche io ho avuto la tentazione di farlo ma abbiamo preso il filone progressista. Sempre a letto con noi e latte on demand. Anche questo è un business: ognuno scrive per andare incontro ad un pezzo di mercato. Certo il pianto non accolto sviluppa cortisolo. Ma anche il nostro sparato a 1000, in qualche modo glielo passiamo.
Qual è la cosa più importante che hai imparato su te stesso da quando sei diventato un genitore?
Alcune cose che pensavo fossero assolutamente non negoziabili, in realtà sono negoziabili per un obiettivo più grande. Prima se mi chiedevano, “ti svegli alle 8 al fine settimana per andare in gita?”, li mandavo a stendere. Adesso è tutto diverso. La cosa più bella è che il sorriso di tua figlia, che ti viene a dare una roba che ha disegnato e ti dà un bacio, risolve veramente tutto.
Maria Vittoria, neomamma a 31 anni e Achille, 6 mesi
Qual è stata la parte più gratificante di diventare madre?
La cosa più appagante è aver avuto (e avere tuttora) il tempo per stare con mio figlio; non ho percepito vincoli da nessuno, a partire dal mio compagno, dal lavoro, dai familiari. Siamo io e lui in un flusso continuo di serenità, noia, (in)comprensioni, sguardi. A differenza di ciò che si vuole far credere, la maternità non è necessariamente sentirsi legati in una relazione indissolubile sin dal primo istante; nella mia esperienza è stata un crescendo di amore e di una relazione che ancora oggi si arricchisce ogni giorno. Avere del tempo a disposizione è fondamentale per provare, per correggersi, per godere del proprio bambino e per potersi riprendere dalle emozioni negative che spesso arrivano. Un altro aspetto per me gratificante della maternità è godere delle sue conquiste: “oh guarda solleva la testa, afferra il giochino”, e soprattutto trovo bellissimo vederlo gioire: il suono della sua risata e l’espressione ancora acerba e accentuata del suo sorriso mi trasmettono speranza e positività.
Qual è stata la più grande sfida della maternità?
Credo che essere genitori ponga costantemente delle sfide e anche ben più alte di quella che sto vivendo ma, nel mio caso di neomamma, la sfida più grande la vivo ogni notte. Sapevo benissimo che il sonno non sarebbe stato più lo stesso per un tempo indefinito ma trovarmi a non dormire per più di 5 ore consecutive, dove “5 ore consecutive” sono state una felice parentesi durata qualche settimana, è la mia più grande difficoltà ora. La deprivazione del sonno mi ha condotta in uno stato catatonico, spesso mi trovo ad andare avanti per inerzia, le poche energie che ho le dedico al bambino e ai miei bisogni primari, ha tolto spazio al pensiero, alla riflessione, all’apertura verso il mondo esterno. Il problema di ciò è che ci si abitua, si attinge ad un bacino nascosto di energie che neanche sapevi di avere e ci si illude di poter tornare alle attività della “vita di prima” come andare in palestra, tornare a lavorare, coltivare le amicizie, con le stesse energie e aspettandosi la stessa qualità di esperienza.
Come hai adattato i cambiamenti che la maternità ha portato al tuo stile di vita?
Quando si ha un figlio i cambiamenti si impongono in maniera piuttosto forte, il neonato vive con tempi e orari solo minimamente influenzabili dal genitore, nella mia esperienza ho capito che avrei fatto meglio ad adeguarmi e a godere di questi nuovi orari più lenti, flessibili e a volte bislacchi, piuttosto che cercare di incasellare la sua vita nella mia in maniera rigida, come spesso facciamo noi adulti. Quindi semplicemente, ho cercato di adattarmi a questi nuovi cambiamenti il meno passivamente possibile e provato a cogliere le opportunità, apprezzando le cose belle che accadono nel mentre.
Come sei riuscito a bilanciare i tuoi bisogni con quelli del tuo bambino?
Accettando aiuto. Forse per pressioni esterne o forse per indole individuale, inizialmente la mia idea era quella di dovermela/volermela cavare da sola, e invece appena fuori dall’ospedale ho subito capito quanto fosse necessario e fondamentale l’aiuto del mio compagno e dei familiari. D’altra parte, tuttavia, dopo qualche settimana di “super assistenza” per così dire, ho sentito la necessità di stare da sola con il mio bambino, di creare una nostra routine e di passare del tempo esclusivo con lui. Ora abbiamo raggiunto un nostro equilibrio e per fortuna ci sono i nonni sempre disponibili a dare una mano; se c’è una cosa che chi mi sta intorno mi ha insegnato, è di non vergognarmi a chiedere aiuto per prendermi del tempo per me.
Quali sono state le più grandi sorprese della maternità?
Sentirmi capace di amare così tanto e al contempo sentirmi così importante per qualcuno è stata una sorpresa. È scattato in me un senso di autoprotezione, ho capito che il mio benessere sia mentale sia fisico, ancora prima di essere importante per me è importante per mio figlio e influenzerà per sempre la sua vita. Un’altra sorpresa è stata scoprirmi molto più sensibile a quanto di brutto accade nel mondo; prima di avere un figlio certe notizie mi scivolavano addosso, ora invece mi sono scoperta molto più sensibile e empatica, ho capito sulla mia pelle quanto conta una vita.
Quale consiglio daresti alle nuove mamme?
Sfruttate il periodo della gravidanza per prepararvi a quello che sarà, informatevi da fonti autorevoli e professionisti accreditati, ascoltate le storie altrui. Ma dal momento in cui posate gli occhi sul vostro bambino, go with the flow; prendete per mano il vostro compagno/a o chi vi è accanto e percorrete insieme questa nuova vita sentendovi libere nelle decisioni che prenderete.
Qual è la cosa più importante che hai imparato su te stessa da quando sei diventata un genitore? Ho passato la mia vita a smarcare obiettivi e a godermi poco il percorso, da genitore ho capito che non ci si sentirà mai arrivati, e che, per restare in tema Sanremo, dovrò abituarmi a questa costante oscillazione tra il sentirmi “una brava madre” e “una madre di merda”. Ho imparato inoltre, che il bello di diventare genitore è che si ha l’opportunità di non smettere mai di esserlo, questo ci permette di crescere grazie ai nostri figli e di essere delle persone migliori.
“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, proverbio africano.
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