Il viaggio di Ali, 28 ore in auto da Azzate al suo paese in Turchia distrutto dal terremoto
Ali Karatut è il titolare dei due locali, a Mornago e ad Azzate, che servono pizza e kebab. La sua famiglia, madre, padre e due sorelle, è salva ma a Pazarcık hanno perso tutto
Quando la terra ha cominciato a tremare, Ali dormiva nel suo letto, in Italia. A oltre 3000 chilometri di distanza alle 4.17, la famiglia di Ali fuggiva da casa con solo quello che aveva addosso.
Ali si è svegliato al suono del cellulare e ha scoperto quello che era successo in Turchia nella notte tra il 5 e il 6 febbraio: la devastazione e la morte che ancora non avevano l’aspetto che hanno oggi. 45 mila vittime, migliaia di persone rimaste senza casa, bambini senza più genitori e parenti.
La storia di Ali Karatut intreccia i destini di Italia e Turchia. O meglio intreccia i destini della provincia di Varese con quelli di un paese turco di 60 mila abitanti chiamato Pazarcık. Questo giovane turco di 28 anni vive nel nostro Paese da quando di anni ne aveva 17: emigrato in Italia ha raggiunto lo zio che ha un’attività a Milano. Ali ha aperto, con i cugini, due pizzerie-kebab, una a Mornago nel 2012 ed una ad Azzate a settembre del 2022; un punto di riferimento per gli amanti della cucina mediorientale.
Un’attività avviata e una nuova vita, che ora però è tutta da riscrivere. «Il 6 febbraio i miei genitori mi hanno mandato foto e video di quella che era la nostra casa – racconta Ali – e io non ho aspettato un giorno di più. Martedì, il giorno dopo il terremoto, ho preso l’auto con mio cognato e sono partito. Ho caricato la macchina di vestiti e roba da mangiare e mi sono messo in viaggio. Ho guidato 28 ore, senza mai fermarmi a dormire. Volevo solo arrivare dalla mia famiglia». (qui sotto il tragitto percorso in auto)
Ali voleva vedere cosa era successo con i propri occhi: «A Pazarcık vivono mio papà, mia mamma le mie due sorelle e mia nonna. Mi avevano assicurato di stare bene ma io volevo essere certo, parlare con loro, sapere come stavano davvero». Il papà ha 56 anni, la madre 47, una sorella ha 20 anni e studia per diventare estetista, l’altra 24, e vorrebbe fare l’avvocata.
Non dimenticherà mai quel che ha visto: «Mentre mi avvicinavo alla zona colpita dal terremoto incontravo paesi devastati, case crollate, macerie ovunque. Poi sono arrivato a casa e ho visto cosa era rimasto dei palazzi e dei negozi che conoscevo. È vero, i miei stavano bene, erano stati trasferiti in un container, ma attorno c’erano persone disperate, al freddo, senza più nulla. In ospedale ho visto file di cadaveri, messi uno accanto all’altro in attesa di essere sepolti in fosse comuni. Se non lo si vive è impossibile capire».
Ali dorme in auto, perché non c’è altro posto, e lui, che non aveva mai sentito la terra tremare sotto i piedi, condivide con i suoi familiari il terrore delle scosse di assestamento: «Ho provato una paura mai vissuta prima – spiega, cercando le parole giuste per raccontare – I miei mi hanno detto che quello era niente rispetto alle prime scosse, quella di 7.9 e poi quella di 7.5, che avevano distrutto tutto. La seconda scossa è quella che ha fatto crollare la nostra casa che era rimasta in piedi alla prima, quando i miei erano riusciti a fuggire».
Ali si ferma una settimana poi ritorna a Varese, sempre guidando la sua auto, questa volta facendo sosta a Istanbul per riposare: «Non potevo fare altro stando là, posso essere più utile da qui. Come altri immigrati turchi che vivono in Italia o in Germania raccogliamo abiti, cibo e denaro che cerchiamo di farli arrivare direttamente ai nostri parenti. Ora io spero di poter portare in Italia la mia famiglia, almeno per un breve periodo, finché la situazione non si è risolta. Lo so che non è semplice ma in altri Paesi e già possibile. Per noi è difficile vivere qui sapendo qual è la situazione a Pazarcık. Il nostro cuore e il nostro pensiero sono in Turchia».
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