Con la penna e con la spada: Felice Cavallotti “bardo della democrazia”

A Gallarate una lapide ricorda i soggiorni di un grande protagonista dell'Ottocento, tra amori fugaci e grandi battaglie. In via Mazzini venne al mondo anche la figlia, nata dalla relazione con un'attrice ungherese

tomba Felice Cavallotti

Pur ricordato in tante vie d’Italia, Felice Cavallotti è oggi ai più sconosciuto, a differenza di Garibaldi o di Mazzini: eppure il “bardo della democrazia” è stato uno dei grandi protagonisti del Risorgimento italiano e della sua apertura verso il Novecento, che pure Cavallotti mai vide.
Volontario in armi a diciott’anni con le camicie rosse di Garibaldi, sostenitore della libertà dei popoli e oppositore del colonialismo italiano, poi appassionato oratore a fianco della classi più povere, Cavallotti morì infatti il 6 marzo 1898 a Roma, ucciso in un duello, uno dei tanti sostenuti in quel tempo in cui (anche) con la spada si difendeva l’onore.

Come Garibaldi e Mazzini, come Carlo Pisacane, Cavallotti è una figura che ai nostri occhi può apparire lontanissima, con i suoi grandi baffi ottocenteschi nei busti e nei ritratti risalenti agli anni della sua attività parlamentare, ma la sua vita avventurosa e votata alle battaglie democratiche parla ancora oggi, se si prova a sfogliare qualche libro o anche rileggere le lapidi che quella lo ricordano nelle città d’Italia.

Anche a Gallarate lo ricordava una epigrafe, ancora oggi custodita al museo della Società Gallaratese degli Studi Patri: porta la data del 6 marzo 1899, un anno dopo la tragica morte. «Ma la cerimonia di posa si tenne il 12 marzo, con il discorso del deputato radicale Arnaldo Agnelli» raccontano l’avvocato Massimo Palazzi e il professor Alessandro Deiana, presidente e vicepresidente della Studi Patri.

Nato a Milano da famiglia veneziana, divenne volontario garibaldino a diciott’anni, fucile tra le mani e baionetta in canna per rendere libera l’Italia dalla dominazione austriaca, ma soprattutto per render libero il popolo. Celebre divenne poi una sua frase con cui andava oltre il Risorgimento delle nazioni che dovevano liberarsi dal giogo straniero e guardava a quello della libertà dei popoli: «Abbastanza ci parlaste di una patria una; ora parliamo un poco di una patria libera».

Continuò a sostenere la lotta contro i tiranni, ad esempio quella del popolo greco sottomesso all’impero ottomano. Ma nell’Italia unificata e monarchica soprattutto divenne il principale esponente della sinistra radicale: sostenitore delle classi popolari, contro le avventure coloniali di Crispi, contro la corruzione che già si annidava a Roma, per la separazione tra Stato e Chiesa, contro la violenta repressione dei moti popolari in Sicilia. Pur rimanendo sostenitore della democrazia borghese, con i suoi lunghi discorsi nelle aule parlamentari, seppe conquistare il rispetto del leader socialista Filippo Turati e in alcuni luoghi d’Italia il suo movimento radicale costruì alleanze con i socialisti.

Generico 06 Mar 2023

Proprio Filippo Turati gli rese maggio nel suo ultimo viaggio, quando da Roma il corpo di Cavallotti fu portato fino a Milano, prima sepoltura prima di quella definitiva nel cimitero di Dagnente, oggi frazione d’Arona, zona che frequentava per legami famigliari (gli zii Fontana erano della vicina Ghevio). La grande urna stupisce e ancora oggi svetta al centro del piccolo camposanto, del paese “sdraiato su floridi margini in vetta alla verde collina” affacciata sul Lago Maggiore: “mio caro, mio piccolo Dagnente / qui un dì l’ossa mia poseran”, aveva scritto pochi anni prima del duello fatale con il giornalista conservatore Ferruccio Macola.

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Il duello a Roma interpretato dal disegnatore di “L’illustrazione italiana”. Cavallotti fu colpito alla bocca e la lama gli trapassò la carotide

Ovviamente anche Dagnente ha la sua via dedicata a Cavallotti, dove si trova la sobria casa contadina che il parlamentare trasformò in suo ritiro, lontano dalla appassionata lotta politica di Roma, lontano dalla fumosa Milano in espansione industriale.
Nelle vie del paesino in una lapide del 1914 lo ricordano “gli operai di Dagnente”, davanti alla casa “dove riposando temprava la sua grande anima d’uomo e il suo spirito di poeta per le battaglie contro l’immoralità nel nome della democrazia”.

E la lapide di Gallarate?
Non ricorda una fugace visita, ma un rapporto stretto con la città. «La zia Giuseppina Cavallotti, sposata con Leone Fontana di Ghevio, aveva casa qui a Gallarate, in via Mazzini 3. Felice e il fratello Giuseppe si alternavano a risiedere qui nei periodi in cui non frequentavano scuola» spiegano ancora alla Studi Patri. L’edificio al 3 di via Mazzini è oggi scomparso, sostituito negli anni Settanta da un nuovo palazzo, nella zona che un tempo era nota – ricorda Palazzi – come Capovico, in cima al borgo storico.

A Gallarate nacque inoltre nel 1867  la figlia Mariuccia, «che chiamava anche Maluccia», frutto della relazione con un’attrice ungherese. Cavallotti aveva vita sentimentale movimentata, coerente con il suo profilo di anticlericale, risolutamente contrario all’istituzione matrimoniale. In tempi in cui non erano raro che i benestanti abbandonassero figli indesiderati, Cavallotti fuori da ogni vincolo matrimoniale mantenne però la figlia e successivamente la riconobbe.

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Vita avventurosa, quella di Cavallotti, tra le armi, le lettere e gli amori.
E la stessa lapide gallaratese evoca la figura scapigliata e combattiva: “Soggiornò adolescente in questa casa Felice Cavallotti / in Gallarate caro ospite asilo nacque la sua Mariuccia / il popolo che ancora ti piange o cavaliere indomito di libertà ricorda gli effetti soavi i sogni radiosi di giovinezza che sorrideano fra le tempeste al tuo cuore di poeta”.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 06 Marzo 2023
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