In Italia i bonus fiscali sono oltre 600, ma non aiutano a fare più figli
Ci sono bonus fiscali di ogni tipo e per ogni settore. Ci sono alternative a questo sistema? Rispondono cinque esperti di economia e finanza
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Davide Colombo, direttore Istat per le relazioni esterne e l’ufficio stampa, gli affari internazionali e coordinamento Sistan, intervenuto alla Liuc durante la presentazione dei dati relativi all’economia della provincia di Varese, ha posto sul finale della tavola rotonda una domanda ai cinque relatori. Una chiusura, forse anche inaspettata per gli ospiti, che però ha stimolato alcune riflessioni interessanti sul momento che sta attraversando la nostra economia.
Poiché in Italia si contano circa 630 bonus fiscali di cui 110 dedicati al sistema delle imprese, Colombo ha chiesto ai relatori quali indicazioni darebbero al policy maker e che tipo di bonus avrebbe senso migliorare e quali, invece, cancellare.
TRE LINEE DI INTERVENTO
I bonus non sono lo strumento su cui Massimiliano Serati, economista e professore alla Liuc di Castellanza, scommetterebbe il suo futuro. «Nella mia visione sarei orientato su policy di medio e lungo periodo e se dovessi immaginare tre linee di lavoro per questo territorio, mi vengono in mente tre cose. La prima è favorire la visibilità sui mercati globali delle nostre microimprese, portatrici di grande cultura produttiva. Sono imprese in grado di realizzare prodotti di gamma molto alta che però, avendo uno o due clienti, si trovano nella condizione di agganciare il proprio profilo di conto economico e di investimenti allo stato di salute di quel cliente con una maggiore esposizione agli shock internazionali. Quindi bisogna dare loro una maggiore visibilità in modo da valorizzarne la specializzazione e allargarne il portafoglio clienti. La seconda linea riguarda una caratteristica di questa provincia che è molto aperta e internazionalizzata, con un grande aeroporto la cui anima cargo sta diventando prevalente. Occorre cominciare a lavorare per sottrarci da alcune forme di dipendenza internazionale che oggi non si giustificano più nemmeno in termini di contenimento dei costi per fasi produttive molto standardizzate. La terza linea, se vogliamo crescere come e più dell’Europa, è relativa al capitale umano. In un mondo dove le produzioni saranno sempre più human capital intensive o technology capital intensive in Italia abbiamo un calo demografico impressionante e la quota più alta di Neet rispetto ai nostri competitor. Questa è una grande sfida del mondo accademico».
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INVESTIRE IN INNOVAZIONE E CAPITALE UMANO
«Un territorio come il nostro – sottolinea Paola Margnini, responsabile dell’Ufficio studi di Confindustria Varese – ha bisogno di iniettare innovazione per recuperare competitività. Le transizioni verso la sostenibilità e digitalizzazione saranno pesanti e interessano trasversalmente tute le imprese ecco perché ha senso andare a investire in innovazione. A questo si aggancia anche un discorso di transizione delle capacità e competenze del capitale umano perché la rincorsa all’innovazione la facciamo a partire dalle persone. E poi c’è l’attrattività: non possiamo permetterci di avere quei tassi di abbandono del territorio che registriamo e tantomeno di avere una fascia così alta di giovani demotivati, come quella che stiamo registrando, e avere allo stesso tempo una richiesta alta da parte delle imprese che non può essere soddisfatta. Il mismatching va risolto a partire dal territorio».
MEGLIO LE GARANZIE PER L’ACCESSO AI FINANZIAMENTI
Secondo Paola Rossi, della divisione analisi e ricerca economica territoriale della sede di Milano della Banca d’Italia, è invece necessario «spostare l’attenzione dai bonus fiscali che, oltre ad essere a pioggia, rischiano di essere un intervento molto costoso per lo Stato, a interventi che affrontino direttamente la carenza di risorse finanziarie che è uno dei punti cruciali sottolineato dalle stesse imprese per mantenere la propria competitività. Quindi penso a un intervento, come quello fatto durante la fase più critica della pandemia, di sostegno alle imprese con il rinnovo di garanzie e facilitazioni statali per l’accesso ai finanziamenti. Sono interventi che allo Stato costano soltanto nel caso in cui l’impresa non sia in grado di ripagare il proprio debito, parliamo di numeri contenuti. In questo momento con i tassi al rialzo ci sono oggettive difficoltà di accesso al credito. Vorrei ricordare che in provincia di Varese le garanzie in essere erano oltre tre miliardi di euro».
FINANZIARE GIOVANI E STARTUP
Per Mauro Vitiello, imprenditore e presidente della Camera di Commercio di Varese, i bonus hanno un ruolo positivo nell’economia. «Vanno però ponderati all’interno di una spesa ammissibile da parte dello Stato – precisa Vitiello – . Io farei leva sul finanziamento dei progetti di studio dei giovani che hanno voglia di rimettersi in gioco all’interno del nostro contesto industriale e favorirei la nascita di startup che gli ultimi dati ci dicono in netto calo rispetto al recente passato. Usare una fetta dei soldi pubblici per finanziarie progetti di questo tipo farebbe bene al Paese. Un altro punto è la riqualificazione delle aree dismesse che nella nostra provincia sono tante (Il loro valore ammonta a circa 380 milioni di euro, ndr). Una buona politica dil recupero di queste aree da destinare a centri del sapere dove i giovani possano confrontarsi tra loro e con i professionisti dei vari settori».
ASILI E MATERNE GRATIS PER TUTTI
Marco Bordoli, di Confcooperative Lombardia, parla di «sistema perverso», nel senso che esistono bonus per tutto e non sempre giustificati. «Sono facilitazioni che poi non fermi più e con effetti deleteri sui conti dello Stato – spiega il manager -. Oggi l’ente publico dovrebbe passare dal bonus all’investimento, perché il bonus ha logiche che vanno a drogare i mercati su cui incidono e quando devi fare marcia indietro diventa tutto molto difficile. Qualsiasi categoria coinvolta in un bonus poi teme che una volta tolto ci sia una crisi del settore». Secondo Bordoli, la vera emergenza in Italia su cui il policy maker dovrebbe intervenire è quella demografica. «La Plasmon ha fatto uno spot che dice che nel 2050 non nascerà più un bambino in Italia. È una provocazione facendo una progressione lineare partendo dai dati degli ultimi 25 anni. Ci vogliono asili nido e scuole materne gratis per tutti, altro che Isee, che aprano alle 7 del mattino e chiudano alle 19. Non esiste che alle tre del pomeriggio bisogna andare a prendere il bambino, se una coppia lavora, non ce la fa. L’Italia è un paese basato sui nonni perché mancano i servizi sociali. Bisogna inoltre investire sulla formazione dei giovani, ma occorre che fra 20 anni ci siano ragazzi che vadano all’università. Bisogna metterci i soldi e anche velocemente. I 1000 euro che ti dà lo stato per un nuovo figlio sono la mancia della vecchia zia per comprare la carrozzina».
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