La ‘ndrangheta nel sistema sanitario tra business dei tamponi e prostituzione
Dalle carte dell'inchiesta della Dda di Milano emerge anche l'infiltrazione di un personaggio vicino ad Enrico Barone in alcuni istituti clinici del Milanese. L'inchiesta partita dai test anti-covid ai giocatori del Monza
A margine dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia che questa mattina ha portato all’arresto di sei persone legate ai clan di ‘ndrangheta della Locale di Legnano-Lonate Pozzolo e alle famiglie Tripodi di Vibo Valentia e Mancuso di Limbadi emerge anche una storia che conferma il livello di infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico locale, anche in ambito sanitario.
Dall’ordinanza emerge che ad Enrico Barone (cl. 69 di Vibo Valentia ma residente a Legnano), non appena uscito dal carcere nel 2018, era stato affidata dal cugino (omonimo ma classe ’63 ,residente a Napoli) una somma da capogiro (1,5 milioni di euro) con l’0biettivo di farli fruttare. Una parte di questi soldi sarebbe andato a G.B., finito nell’inchiesta per aver favorito la prostituzione di una donna e per esercizio abusivo della professione medica.
Dall’ordinanza è emerso che, insieme ad un medico, C.F. avrebbe somministrato (senza alcun titolo di studio in campo sanitario) tamponi all’interno di un istituto clinico privato di Milano piuttosto noto e avrebbe pagato una prestazione sessuale ad un rappresentante legale di un gruppo di istituti clinici con l’obiettivo di contrattare l’acquisto di dispositivi anti-covid19 tramite ricatto a sfondo sessuale. G.B. si sarebbe fatto inviare delle foto compromettenti dalla prostituta inviata appositamente con questo obiettivo.
G.B., da quanto emerge dalle carte, avrebbe ricevuto una consistente somma da Enrico Barone, vertice del gruppo criminale che è finito in manette questa mattina.
L’indagine era partita dalla vicenda “opaca” dei tamponi effettuati ai giocatori del Monza nel dicembre del 2020, prima di una partita contro l’Avellino. Quei tamponi vennero sequestrati perchè si temeva fossero stati “aggiustati” e dagli sviluppi di quel primo capitolo il pm Alessandra Cerreti e Silvia Bonardi della Dda milanese sono risaliti a Barone.
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