L’importante debutto milanese dell’opera di Giancarlo Menotti

La recensione dello spettacolo realizzato nell'ambito del Progetto Menotti del Varese Estense Festival  per rendere omaggio al grande compositore e musicista varesino Gian Carlo Menotti e andato in scena al teatro Dal Verme

Opera Giancarlo Menotti al Dal Verme Milano

Pubblichiamo sulle nostre pagine la recensione del debutto milanese – avvenuto il 5 marzo scorso al teatro dal Verme –  Di “Il Telefono” e “La Medium” due opere in una, adattate e musicate insieme nell’ambito del Progetto Menotti del Varese Estense Festival  per rendere omaggio al grande compositore e musicista varesino Gian Carlo Menotti, nato a Cadegliano Viconago (VA) e scomparso 16 anni fa. 

Autrice della recensione è Vittoria Licari, musicologa e giornalista specializzata: diplomata in pianoforte, clavicembalo e canto, ha studiato musicologia presso la Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Pavia e al DAMS di Torino. Si è specializzata in Musica Vocale da Camera presso il Conservatorio di Milano sotto la guida del tenore Petre Munteanu.  Solista per molti anni della Nuova Polifonica Ambrosiana di Milano, ha svolto una intensa attività concertistica per istituzioni prestigiose come la Fondazione Cini di Venezia, l’Unione Musicale di Torino, l’Accademia Tudertina e altre. Dal 1985 al 1992 è stata consulente musicale presso la RAI – Radiotelevisione Italiana di Milano. Dal 2008 è titolare della cattedra di Arte Scenica presso il Conservatorio di Musica “Luca Marenzio” di Brescia, dove ha anche insegnato Storia della Musica e dove attualmente insegna anche Canto, Tecnica Vocale per Strumentisti e Tecniche del Canto Classico e Moderno.  Molto attiva nella saggistica e nel giornalismo,collabora stabilmente con il Corriere del Teatro, rivista specializzata nel settore del teatro musicale, e con il sito internet multilingue www.euphonia.lu , che ha contribuito a creare.

“Nemo propheta in patria” è espressione che si addice perfettamente a Giancarlo Menotti (1911 – 2007), artista e intellettuale fra i maggiori del ‘900, il quale, pur essendosi formato come musicista negli Stati Uniti d’America, rivendicò sempre la propria italianità non soltanto sul piano umano, ma anche – ed è questo l’aspetto che più ci interessa in questa sede – come erede e continuatore della tradizione melodrammatica che, a partire da Claudio Monteverdi, scende “giù per li rami” fino a Giacomo Puccini e continua ancora ai nostri giorni.

Ma c’è di più: il retroterra culturale di Menotti è costituito dall’insieme di tutti i linguaggi musicali che hanno percorso l’Europa dagli ultimi anni dell’800 e tutta la prima metà del ‘900. E così, nelle sue opere troviamo citazioni da Rossini e Puccini, così come da Mahler e Richard Strauss, mai, però, fini a sé stesse: l’estrema raffinatezza con cui Menotti le integra nel proprio linguaggio genera, quasi per paradosso, una semplicità rappresentativa che consente all’ascoltatore – anche quello meno attrezzato sul piano musicale – di penetrarne il significato al primo ascolto. Esattamente l’opposto di quanto avviene con le opere dei compositori strutturalisti – in particolare gli aderenti alla Scuola di Darmstadt – per i quali contavano solamente la speculazione e lo sperimentalismo. Così, negli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo, ciò che piace al pubblico veniva stroncato dalla critica, perlomeno in Italia – e, più in generale, in Europa – e Menotti rientra fra le vittime di questo elitario spirito intellettualistico. Tutt’altro avveniva, invece, oltreoceano, dove il compositore italiano riscuoteva un enorme successo. Nasce, infatti, da una commissione della Columbia University, l’opera drammatica in due atti The Medium, rappresentata per la prima volta l’8 maggio 1946, e ripresa a Broadway nel febbraio 1947 insieme all’atto unico The Telephone.

La recente esecuzione di questo dittico al Teatro Dal Verme di Milano colma finalmente un vuoto durato troppo a lungo e costituisce una più che doverosa riparazione nei confronti di un grandissimo compositore, nato in Lombardia, da parte della sua terra d’origine.

Opera Giancarlo Menotti al Dal Verme Milano

Rappresentate senza soluzione di continuità, le due brevi opere sono state incastonate dalla regista Serena Nardi all’interno di un unico ambiente, la casa di Madame Flora, che la regista stessa definisce «grande maitresse di un piccolo giardino di delizie (che in realtà è solo un triste hortus conclusus), una moderna maga Circe, vittima del bisogno di accogliere e intrattenere che si confonde con quello di lenire disagio e disperazione». L’originaria finalità dell’autore di creare, con lo sketch della ragazza perennemente attaccata al telefono, un contraltare brillante alla pesante atmosfera “noir” che pervade l’altra pièce, è stata qui declinata secondo lo spirito (peggiore!) dei nostri tempi: la divertente storia di Lucy e Ben si svolge nel corso di una riunione mondana in cui si beve smodatamente, si sniffa, si gettano via tempo e vita, cercando di nascondersi persino a sé stessi – molto indovinata la simbologia delle maschere che coprono parte del viso dei partecipanti alla festa, nella quale vengono integrati anche gli strumentisti e il direttore – arrivando all’autodistruzione. Si viene così a creare l’introduzione ideale alla vicenda di Madame Flora, la “medium” che trasforma fragili esseri umani in burattini – a cominciare dalla sua stessa figlia – o in polli da spennare. Anche questa seconda storia si cala perfettamente nell’attualità, al punto che nessuno di noi si stupirebbe se un giorno o l’altro la ritrovasse fra i fatti di cronaca nera. Dallo scintillio che, ancor prima dell’inizio dello spettacolo, accoglie il pubblico in sala, in poco più di un’ora si sprofonda nelle tenebre. La drammaturgia segue fedelmente la partitura e gli interpreti sono a dir poco perfetti, ciascuno assecondando al meglio, con la propria vocalità, il dettato dell’autore. Su tutti svettano Manuela Custer (Madame Flora) e Maria Eleonora Caminada (Monica). La prima, cantante e attrice di altissimo livello, accompagna la discesa agli inferi del suo personaggio con una interpretazione perfetta, da brividi. La seconda sa piegare perfettamente la voce alle esigenze interpretative, sia quando intona le sue due arie costruite su dolcissime melodie, sia quando, nel fingersi lo spirito della fanciulla morta, il suo timbro assume caratteristiche vitree che, risuonando con i violini tesi su di una tessitura acutissima, lo fanno assomigliare al suono di una glasharmonika, strumento spesso associato alla follia.

Splendido soprano di coloratura, come il ruolo di Lucy comanda, Sabrina Cortese ha impersonato con grande proprietà anche il dolente ruolo di Mrs. Gobineau. Anche il baritono Giacomo Nanni si è perfettamente “sdoppiato” fra Ben e Mr. Gobineau. La voce calda del mezzosoprano Ilaria Molinari ha dato vita a Mrs. Nolan, altra figura di madre dolente vittima dell’inganno di Madame Flora, mentre il bravissimo attore Samuele Satta ha interpretato il difficile ruolo muto di Toby. Terzo personaggio del Telefono è l’orchestra, alla quale sono inoltre affidati ampi spazi di importante peso drammaturgico nella Medium. Enrico Saverio Pagano, giovane direttore di una maturità davvero straordinaria, dal gesto sicuro e autorevole, profondissimo nell’analisi e originalissimo nella lettura, ha ottenuto, con la sua Orchestra Canova, un obiettivo non comune: il reale coinvolgimento degli spettatori sul piano psichico, che si faceva sempre più palpabile mano a mano che la rappresentazione procedeva.

Last but not least: la versione italiana del libretto della Medium – il cui originale inglese, come del resto tutti i libretti delle sue opere, è di Menotti stesso – recava la firma di un altro grande intellettuale del ‘900: Fedele D’Amico.

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Pubblicato il 14 Marzo 2023
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