ChatGPT e privacy. Chi è il Davide che ci sta difendendo da Golia
Pasquale Stanzione, un novello David di 78 anni, professore e giurista, garante della privacy: "Il rischio da evitare è quello di un’eterna rincorsa, da parte del diritto, di una tecnica quasi irraggiungibile per velocità e profondità dell’evoluzione"
Da ieri sera chatGPT non è più accessibile dall’Italia, perché OpenAI ha interrotto il servizio a valle delle osservazioni urgenti fatte dal Garante italiano per la protezione dei dati personali, e sta rimborsando gli utenti premium che hanno pagato il servizio. Ieri mattina, come tutti i giorni da quando è stata lanciata, ho utilizzato chatGPT per lavoro. Ho dialogato per creare un test sul linguaggio dei giovani come ponte per favorire la consapevolezza e il dialogo intergenerazionale. Ieri sera, quando ce l’hanno spenta, non ero contento, ma è bene fare una riflessione ulteriore.
Quattro sono le contestazioni rilevate: manca l’informativa sulla privacy; è lacunosa la base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma; le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale, determinando quindi un trattamento di dati personali inesatto; infine, nonostante il servizio sia rivolto ai maggiori di 13 anni, è assente qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti, esponendo i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza.
Non è solo una questione di fogli da firmare, o una “barzelletta” come derubricato da alcuni. Facendo un parallelo con un’altra vicenda legale in corso, è come l’imputazione dell’ex presidente degli Stati Uniti per un possibile reato, che appare marginale rispetto a tanti altri che gli sono stati attribuiti, ma è l’unica finora che si è concretizzata. ChatGPT è una delle forme dell’evoluzione della specie “artificialis intelligentia”, e ha avuto la sfrontatezza di uno spermatozoo che, per primo, ha perforato il muro della invisibilità collettiva, invadendo in pochi mesi la vita di centinaia di milioni di utilizzatori. Vale già 26 miliardi di dollari, con un fatturato di 200 milioni; quindi, è un sistema del cui potenziale, per ora, vediamo solo la punta dell’iceberg. Lo stop italiano è il secondo messaggio forte che questo adolescente ha ricevuto questa settimana. Le sue “mamme” gli hanno scritto una lettera per chiedergli di prendersi una vacanza per sei mesi. La richiesta di moratoria è stata firmata da 1000 scienziati, ricercatori e dirigenti di aziende quali Amazon, Google, Meta e Microsoft, per capire cosa sta sotto la superficie dell’acqua, non esclusi i rischi di cyber security, visto che il 20 marzo ha subito il primo furto di dati.
Il tema più ampio, in cui comprendere quanto sta accadendo, si chiama “mercificazione dei dati personali”. Sta infervorando giuristi ed economisti da anni ed è diventato torrido con l’esplosione dell’adozione di chatGPT, la guerra dei dati con TikTok e altri fenomeni simili.
Nel diritto alcune cose non sono “mercificabili, ad esempio l’acquisto di parti e prodotti del corpo umano; la commercializzazione delle funzioni procreative; la commercializzazione della vita privata e della stessa biografia individuale; il mercato dell’informazione genetica. Il problema si pone perché non c’è una risposta univoca, pratica e coerente sul fatto che i dati possano essere considerati merce negoziabile.
I contratti dei consumatori per l’utilizzo di servizi digitali hanno consentito alle aziende private di raccogliere ed elaborare quantità non indifferenti di dati, collezionando indirizzi e-mail, indirizzi di residenza, cookie, impronte, dati biometrici, informazioni sull’iscrizione alla newsletter e preferenze sui prodotti. Dal punto di vista del consumatore inconscio, i motori di ricerca, le piattaforme social, la quasi totalità delle applicazioni mobili e le tecnologie di mappatura montate sui dispositivi sono scaricabili “gratuitamente”. Tuttavia, negli ultimi anni, la “natura gratuita” delle app è stata continuamente confutata, conducendo ad un’opinione condivisa e riassumibile in “Free is not always free”. La fornitura di contenuti digitali o di servizi digitali spesso prevede che, quando non paga un prezzo, il consumatore fornisca dati personali all’operatore economico. Il garante ritiene che la privacy non sia una merce di scambio. Internet e la digitalizzazione dei beni e dei servizi hanno trasformato l’economia globale: il trasferimento transfrontaliero di dati, compresi i dati personali, è parte dell’operatività quotidiana delle imprese europee di tutte le dimensioni e in tutti i settori. Poiché gli scambi commerciali utilizzano sempre più i flussi di dati personali, la riservatezza e la sicurezza di tali dati sono diventate un fattore essenziale della fiducia dei consumatori.
Nel luglio 2020 da poco nominato presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, il Professor Pasquale Stanzione è stato intervistato dalla rivista Diritto Mercato Tecnologia e ha chiarito subito i suoi orientamenti fondativi.
“Il Garante è un’Autorità chiamata direttamente dalla Carta di Nizza ad assicurare la tutela di un diritto fondamentale, che sta acquisendo rilievo crescente in un contesto di progressiva delega, alla tecnologia, di componenti sempre più significative della sovranità e di emersione di nuove forme di vulnerabilità da cui vanno tutelati i singoli e la collettività. Di fronte all’emergere di sempre più incisivi poteri “privati”, il diritto all’autodeterminazione informativa costituisce uno dei più importanti presidi a tutela non solo dell’identità, dell’eguaglianza, della dignità ma anche un presupposto della tenuta delle stesse garanzie democratiche. La disciplina di protezione dati mira, infatti, a garantire un governo antropocentrico della tecnica, riequilibrando rapporti, tra poteri e tra soggetti, altrimenti alterati dalla rivoluzione digitale e tracciando il confine oltre il quale un’innovazione anomica rischia di risolversi, con eterogenesi dei fini, in una regressione sul piano delle libertà. In tale contesto, l’obiettivo essenziale del Garante è diffondere, quanto più possibile, quella cultura della privacy senza la quale le norme, come un mero guscio vuoto, non avrebbero mai la forza trainante necessaria a dare forma e sostanza a un’innovazione nel segno delle libertà”.
Sul tema specifico della protezione dei dati personali rispetto all’incessante sviluppo delle nuove tecnologie ha aggiunto: “L’avvento delle nuove tecnologie ha segnato una vera e propria rivoluzione antropologica, ma anche sociale, culturale, politica, economica. Come rispetto a ogni fenomeno “disruptive”, il rischio da evitare è quello di un’eterna rincorsa, da parte del diritto, di una tecnica quasi irraggiungibile per velocità e profondità dell’evoluzione. La chiave per il governo dell’innovazione è, invece, proprio quella duttilità e lungimiranza garantite dal principio di neutralità tecnologica su cui si fonda il Gdpr, che con la sua prevalenza dei principi sulle regole consente un adattamento continuo alla materia da regolare. E’ questa una delle sfide principali con cui il Garante si misurerà nei prossimi anni, nella consapevolezza della rilevanza, anzitutto in termini democratici, del diritto la cui cura gli è affidata”.
I temi della privacy sono molto concreti e impattano anche altre dimensioni della nostra relazione con i fornitori di beni e servizi come consumatori e come cittadini di uno Stato democratico. Stanzione è recentemente intervento nelle audizioni pubbliche al Senato in Commissione Industria e agricoltura, sullo schema di decreto legislativo per una migliore applicazione e una modernizzazione delle direttive 2019/770-771 e 2161 dell’Unione relativa alla protezione dei consumatori. “La privacy non può rischiare di divenire un lusso per pochi. Si devono responsabilizzare le piattaforme con specifici obblighi di trasparenza in particolare rispetto alla remunerazione del posizionamento dei prodotti nelle relative classifiche, all’attendibilità della fonte delle recensioni, alla personalizzazione dei prezzi sulla base della profilazione degli utenti. La tendenza alla mercificazione dei dati personali va disciplinata, proprio per evitare abusi e, in ultima istanza, discriminazioni su base censitaria delle persone. Bisogna avere chiara la posta in gioco. In assenza di un controllo effettivo sull’assenza di coartazione del consenso, infatti, si rischia di legittimare lo sfruttamento delle condizioni di fragilità che possono caratterizzare alcuni ceti sociali”.
Non è il solo che parla di democrazia. Satya Nadella, il CEO di Microsoft, che ha investito 1 miliardo di dollari per accelerare lo sviluppo e il lancio di chatGPT, ha lanciato due settimane fa 365 Copilot, la versione aziendale di questo tipo di tecnologie. Ha concluso: “Oggi siamo all’inizio di una nuova era dell’informatica. Stiamo passando dall’autopilota al copilota. L’intelligenza artificiale deve evolversi in linea con le norme sociali, culturali e legali in una società democratica”.
Al di là delle questioni tecniche, legali, economiche, geopolitiche, a me ispira aria fresca di primavera una vicenda in cui una nana Unione Europea, coi suoi apparenti bizantinismi ed equilibrismi, si difende dai Golia ipertrofici della tecnologia, mandando in avanscoperta l’Italia, rappresentata da un novello David di 78 anni, professore e giurista, nato a Solopaca, in provincia di Benevento nel 1945, armato solo dei suoi codici e della sua sensibilità per la fragilità umana rispetto alla tecnologia.
“Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai insultato”, Davide (1 Samuele 17).
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