Dovremo davvero scrivere “Sciampagna” o “bevanda arlecchina”?
La rubrica settimanale "Il prof tra i banchi", curata da Alberto Introini, tratta argomenti di scuola, didattica e formazione, commentando le notizie di attualità che si susseguiranno nel corso delle settimane
Da studioso della lingua italiana e da docente di letteratura italiana, sono sempre un po’ infastidito dall’utilizzo eccessivo di termini stranieri. Specialmente se abbiamo nel nostro vocabolario valide alternative: quando vedo pane e prosciutto, penso a un panino (e non a un sandwich); al venerdì, tendo ad augurare un buon fine settimana (evitando week end). Tuttavia, sto scrivendo questo articolo con il mio personal computer (pc per abbreviare), non con un “calcolatore”; stasera vorrei mangiare un hamburger, non una “svizzera”, e nemmeno una “polpetta di carne macinata e pressata”.
La difesa della nostra lingua, cioè, va basata sia sul buon senso, che sul contesto globale del terzo millennio in cui viviamo. Perciò, mi ha fatto molto sorridere la proposta di legge di Fabio Rampelli, vice presidente della Camera dei Deputati. L’onorevole in questione è il primo firmatario di un’iniziativa governativa “per la tutela e la promozione della lingua italiana”; il provvedimento si compone di otto articoli.
In sintesi: ci dev’essere un uso esclusivo della lingua italiana nella pubblica amministrazione; la lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e servizi pubblici; a scuola e nelle Università i corsi devono tenersi in lingua italiana, a meno che non vi siano studenti stranieri (ma in quale università non ce ne sono?); le sigle e le denominazioni (per incarichi ricoperti nelle aziende nazionali) devono essere in italiano. Altrimenti? Ai trasgressori può arrivare una multa fino a 100 mila euro!
Del resto, questa idea “purista”, rivolta soprattutto contro gli inglesismi, non ha fatto sorridere solo me, ma addirittura l’Accademia della Crusca – generalmente, un baluardo della tradizione linguistica da oltre 400 anni: il suo Presidente Claudio Marazzini ha dichiarato che si rischia di “gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano”. Tale proposta di legge, a mio avviso, è puro masochismo politico e una perfetta idiozia linguistica.
Masochismo politico
Torniamo indietro di 100 anni…
– Si preveda un’imposta quadrupla per chi esibisce pubblicamente termini forestieri su insegne commerciali (1923, decreto).
– Favoriamo la purezza dell’idioma patrio (1931, discorso di Mussolini).
– Si proibisce l’uso di parole straniere sui giornali (1934, decreto).
Dal 1936 in poi, le “veline” relative ai termini stranieri si infittirono di divieti: non più champagne, ma sciampagna; basta dessert, via libera al fine di pasto. Ma soprattutto, se in quegli anni aveste voluto sorseggiare un cocktail fresco e colorato, avreste dovuto chiedere una “bevanda arlecchina”.
Ecco: se l’attuale destra (o centrodestra) vuole evitare di essere indicata come “nostalgica” del Ventennio, dovrebbe evitare proposte di legge che ricordino l’autarchia del regime. Se la lotta alle parole straniere poteva essere bizzarra 100 anni fa, figuriamoci oggi: in questo arco di tempo, hanno avuto diffusione su scala planetaria il cinema, la televisione, internet, i voli low cost, e in generale la globalizzazione – economica, turistica e comunicativa.
Idiozia linguistica
Dante Alighieri è il padre della poesia in lingua italiana antica; Giovanni Boccaccio lo è della prosa. Nel 1300, hanno scommesso su quella che allora era solo una lingua parlata dalla gente comune: l’italiano (il latino era e rimase prerogativa dei dotti, del clero e delle accademie). Alessandro Manzoni, cinque secoli dopo, per dare una veste più popolare al suo romanzo, andò a soggiornare alcuni mesi in Toscana: si trasferì dalla Brianza a Firenze “per sciacquare i panni in Arno”, per utilizzare nei Promessi sposi una lingua realmente usata dalla gente.
Dante, Boccaccio e Manzoni hanno fatto la storia della lingua italiana e l’unità dell’italiano: sono eterni e ci insegnano che la lingua “non si fa” per decreto legge, ma vince l’uso che ne fanno le persone (oltre che i grandi scrittori).
La lingua e la letteratura italiane sono al 4° posto delle più studiate al mondo. Lo saranno per molto tempo, anche senza la proposta di legge di un politico di passaggio.
Alberto Introini, dopo aver insegnato in vari licei della provincia di Varese, dal 2008 è docente di Italiano e Storia presso l’Istituto Elvetico di Lugano (Svizzera). Ha due lauree, in Lettere-Filosofia (2002, Università Statale di Milano) e in Storia (2022, Università di Zugo, Svizzera). Iscritto dal 2004 all’Ordine dei Giornalisti di Milano, ha pubblicato 4 libri. Partecipa come relatore o moderatore a diversi eventi culturali nel nord Italia. La sua rubrica settimanale “Il prof tra i banchi” tratterà argomenti di scuola, didattica e formazione, commentando le notizie di attualità che si susseguiranno nel corso delle settimane.
Prof. Alberto Introini
Docente e scrittore
@intro.prof
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