In moto nel deserto dal Marocco a Dakar: “Avrò fatto una cazzata?”
Un’idea, il sogno di tornare nel deserto in moto, la preparazione del viaggio. Il racconto a puntate di Uberto Calesella, 32 anni, consulente aziendale e legale pentito con la passione per i motori, in partenza per la Sahara Desert Challenge
Un’idea, il sogno di tornare nel deserto in moto, la preparazione del viaggio. Il racconto a puntate di Uberto Calesella, 32 anni, consulente aziendale e legale pentito con la passione per i motori, in partenza per la Sahara Desert Challenge
PRIMA PUNTATA – Seduto all’aeroporto di Linate, in attesa del volo che mi porta a Pescara per motivi lavoro, non riesco a smettere di pensare a cos’è successo. La gente intorno a me passa e va, velocemente. Io li guardo distrattamente mentre rigiro tra le mani il cellulare, guardando la conferma del biglietto per la Sahara Desert Challenge. Ancora non ci credo. Avrò fatto una cazzata?
L’AUTORE – Sono Uberto Calesella, ho 32 anni (classe 1991), milanese di nascita che ama la sua città, ma allo stesso tempo cerca ogni motivo per andare alla ricerca di qualcosa di diverso e lontano. Tra le mie passioni più forti ci sono le due ruote e l’avventura: ho aperto un’officina/boutique nel cuore di Milano (il sottilmente egoriferito “Ube’s Garage”) dove restauro e preparo le moto, mie e di amici, per varie uscite/spedizioni. Ci lavoro di notte, perché in realtà di giorno sono un consulente aziendale, oltre ad essere un legale pentito. In tutto ad oggi ho fatto tre spedizioni nel deserto tunisino – una delle quali prematuramente conclusasi con un motore fuso –, una spedizione in Marocco e una in Romania-Bulgaria completamente in fuoristrada. Un giro di conoscenze e fortunate coincidenze – tra cui una futura moglie originaria di Casciago – giocano la loro parte nel darmi la possibilità di contribuire su Varesenews con una piccola rubrica dedicata al mondo dei motori e della mia prossima avventura, la Sahara Desert Challenge: si parte il 29 dicembre da Assilah in Marocco e si arriva il 10 gennaio a Dakar, in Senegal.
IL DESERTO – È un’attrazione fatale che ho da sempre. Una raffazzonatissima ricerca su internet mi rivela che sul pianeta Terra sono presenti ben 53 deserti, distribuiti senza intervento diretto di una logica umana, più tendenzialmente figli dell’evoluzione del pianeta e della sua atmosfera. Cinquantatré deserti sono un numero che può risultare alto o basso, dipende sempre che tipo di analisi stiamo facendo, analisi che potrebbe portare a fare tutta una serie di domande: qual è il deserto più grande? Quello più antico? Quello maggiormente popolato? Tante domande che possono avere natura statistica, sociologica, antropologica, ma che oggi non staremo ad analizzare. C’è però una domanda che – anche in antitesi con argomenti meramente numerici – per me è il catalizzatore di tutto questo discorso. C’è un deserto più importante rispetto agli altri deserti? Di nuovo, potremmo perderci in analisi filosofico-quantitative per giungere a dire che il deserto del Gobi, con le imprese di Gengis Khan, sia quello storicamente più importante. Potremmo dire che il Ténéré è il più importante perché ha battezzato diverse generazioni di moto Yamaha. Potremmo dire che il deserto del Monegros è il più importante perché ci si tiene un noto festival di musica. Per quel che mi riguarda, c’è un deserto che ha un significato maggiore rispetto ad altri, ed è il deserto del Sahara.
LA PARIGI-DAKAR – In questo deserto, dal 1978 al 2008 (quest’ultima edizione cancellata a poche ore dalla partenza a causa di concreti pericoli di natura terroristica in Mauritania) alcune persone hanno deciso fosse un’idea notevole quella di lanciare in una corsa sfrenata moto, quad, auto e camion, tutti con un obiettivo comune: partenza da Parigi e arrivo a Dakar, in Senegal. La storia poi ha visto – per motivi più o meno opportuni – il trasferimento di questa gara prima in sud America, poi in Arabia Saudita. Il pubblico si è diviso lungo varie correnti la cui portata passa da chi ha abbracciato il cambiamento pur di far disputare ancora questa gara a chi ha chiesto almeno l’abiura del nome della competizione in quanto trasformata in mero brand e non più scopo. Anche qui, lasciamo aperta la finestra ad un’analisi che magari un giorno avrà senso affrontare, vuoi per trovare una risposta, vuoi per perdere tempo al bar. Resta il fatto che il solco lasciato nell’immaginario collettivo da parte della Parigi-Dakar, quella originale, sia fuori da ogni discussione. Case produttrici che creano versioni specifiche marchiate PD/Paris Dakar, gente che nel vocabolario comune utilizza il termine “fare la Dakar” per indicare il compimento di un’impresa titanica il cui esito è incerto, generazioni che hanno sognato di poter solcare le dune come facevano quei piloti colorati là che vedevano in televisione o nelle riviste.
IL MIO VIAGGIO – Il 7 marzo, ho finalizzato l’iscrizione ad una spedizione che ripercorre le tracce della vecchia ParigiDakar: parte il 29 dicembre da Assilah in Marocco e arriva il 10 gennaio a Dakar, in Senegal. Io ho fatto tre volte il deserto della Tunisia, ho fatto tanto fuoristrada, ma ora ho davanti a me nove mesi in cui ho un obiettivo ben chiaro: fare in modo di riuscire ad arrivare a Dakar. La spedizione, che si chiama Sahara Desert Challenge, a Dakar ci arriva eccome. L’interrogativo rimane sul singolo, la risposta la si scopre solo quando si è là, un pezzetto al giorno. E in testa, oltre all’emozione, riecheggia la stessa frase: ho fatto una cazzata?
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Meglio fare cazzate che vivere nella noia “perfetta”.