La promessa di mutuo diventa estorsione: “Costretti a vivere in camper con due cani”
La storia di una famiglia finita nel gorgo di promesse non mantenute per avere una casa indipendente e che si è ritrovata parte offesa in un processo con imputato un vicino di casa che si era proposto di aiutare
Sette mesi nel camper dopo la messa in vendita della casa e il miraggio di un mutuo per una villetta indipendente, acquisto nell’immediatezza sfumato per via di un’estorsione: «E chi me lo affittava un appartamento, con due grossi cani al seguito? Alla fine ci siamo trasferiti in camper, d’inverno, al freddo. Chiedevo i soldi a mio padre per andare a fare la spesa perché non ne avevo più».
È la disavventura in cui è incappata una famiglia parte offesa di un processo per estorsione che vede imputato un vicino di casa di un complesso edilizio dell’Alto varesotto: l’uomo millanta ottime referenze nel campo dell’intermediazione immobiliare, ufficio in Svizzera per compravendite di case, grande pratica nel richiedere e far ottenere mutui per l’acquisto della prima casa. I vicini di pianerottolo vanno oltre al «buongiorno e buonasera» e gli raccontano il loro sogno: comprare una casa indipendente.
A quel punto scatta la classica frase che apre le porte e le speranze, ma che può portare anche vicino al baratro: «Ci penso io». Ed è l’inizio di una storia già raccontata in aula da chi ha svolto le indagini partite per un’estorsione denunciata dai due coniugi e ribadita in aula dall’uomo, un frontaliere, di professione magazziniere, più avvezzo col muletto che non fra carte di banche e prestiti.
Infatti il vicino amico, difeso dall’avvocato Corrado Viazzo, secondo la ricostruzione in aula si prodiga per richiedere il mutuo, raccoglie documenti dei componenti il nucleo famigliare fra cui un permesso di lavoro svizzero appartenente alla moglie. Questo documento non è chiaro se fosse banalmente scaduto, o contraffatto. Sta di fatto che finisce nella pratica per l’accensione del prestito ipotecario. L’appartamento dove risiedono i coniugi gabbati viene messa in vendita, ma contestualmente l’attivazione del prestito con un noto istituto di credito con filiale nel Luinese dove la coppia nel frattempo aveva aperto un conto, non si perfeziona.
Il motivi stanno nelle telefonate che i coniugi cominciano a ricevere: i loro incartamenti sono andati rubati a Milano e contengono il permesso di lavoro che gli estorsori riconoscono come falso «e che in caso di presentazione alla Finanza rappresenterebbe un problema serio». Partono le consegne di soldi a riscossori albanesi che guarda caso raggiungono al telefono l’amico di famiglia ed esperto di compravendite che si fa da tramite: «Dicono che se non pagate vi denunciano».
Marito e moglie, spaventati, intimoriti da quel clima, prima pagano e consegnano una busta con 1300 euro, ma poi denunciano ai carabinieri che attivano le indagini e risalgono alla filiera dei sospettati. Il punto è che nelle more di questo raggiro la famiglia si è trovata con in mano un pugno di mosche (oltre a prestiti da 30 mila euro da saldare perché nel frattempo fatti attivare dagli estensori a finanziarie per continuare nei pagamenti illeciti), senza casa e con zero soldi sul conto corrente, tanto da dover chiedere contanti ai genitori per le spese di prima necessità.
A novembre si chiuderà il dibattimento, con forse l’imputato che potrà venire in aula per venir ascoltato (gli altri soggetti di questo procedimento sono giudicati in separata sede) e poi la decisione del giudice collegiale.
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