L’eredità di Shuoa, morta nel terremoto in Turchia: il fratello e la sua famiglia sono a Busto Arsizio
Dopo il lutto che ha colpito la famiglia Hasan (che ha perso sei parenti nel terremoto del 6 febbraio) la famiglia di una delle vittime è riuscita ad arrivare in Italia grazie al corridoio umanitario gestito dalla Comunità di Sant'Egidio
Hanno passato 11 anni della loro vita in un campo profughi di Beirut (Libano) in fuga dalla Siria ma grazie alla sorella di Hassan e ai corridoi umanitari ora sono a Busto Arsizio. Hassan Ibrahim, la moglie e i quattro figli che hanno età che vanno dagli 8 ai 14 anni sono arrivati in Italia lo scorso 29 marzo e hanno trovato sistemazione a casa degli Hasan, la famiglia siriana di Busto che ha perso sei famigliari nel terremoto che ha devastato Turchia e Siria lo scorso febbraio.
La loro storia dolorosa l’abbiamo raccontata nei giorni successivi al sisma. La moglie di Khalid Hasan, Shuoa Ibrahim, era andata ad Antiochia insieme a figlia e nipotina per andare a trovare un’altra figlia che aveva appena partorito. Le scosse del 6 febbraio non hanno dato scampo a nessuno di loro.
Shuoa (che aveva solo 44 anni) prima di morire ha, però, ridato speranza a suo fratello di poco più piccolo e alla sua famiglia, attivando la Comunità di Sant’Egidio per fare in modo che tutti e sei potessero uscire dall’inferno del campo profughi e costruirsi una nuova vita in Italia, grazie ai corridoi umanitari di cui spesso si parla come soluzione vera alle traversate della speranza via mare, culminate con il naufragio di Cutro che ha colpito le coscienze.
Maria Quinto, coordinatrice dei Corridoi Umanitari per il Libano di Sant’Egidio, ha raccontato sul sito dell’associazione le difficili condizioni in cui vivono milioni di persone nei campi profughi dello Stato, paese già devastato da anni di crisi economica e sociale. Qui, in uno degli accampamenti nella periferia sud di Beirut, si trovava da 11 anni in condizioni di assoluta povertà Hassan con la sua famiglia, addirittura tre dei suoi figli sono nati nel campo e non hanno visto nient’altro che la miseria attorno a loro.
La famiglia di Hassan Ibrahim, in copertina Shoua IbrahimRisale a diversi mesi fa il tentativo della sorella con la Comunità di Sant’Egidio. Dopo i dovuti controlli, finalmente era stata approvata la richiesta della signora di poter ospitare il fratello, la moglie e i nipoti vicino a dove abitava a Busto Arsizio.
Il destino non ha permesso ad Hassan e Shoua di abbracciarsi in Italia ma oggi la sua famiglia può tornare a sorridere, accolti dal cognato e dai due nipoti: «L’eredità di una donna che ha voluto salvare il proprio fratello» – scrivono dalla Comunità di Sant’Egidio. Khalid Hasan ci tiene, però, a ringraziare con tutto il cuore questa realtà umanitaria: «A tutti loro, dal Santo Padre all’ultimo volontario, va il mio grande ringraziamento perchè sono pilastri fondamentali per la pace e per l’umanità di oggi. Sono meravigliosi».
Così conclude la Comunità di Sant’Egidio: «In Italia sono arrivati dal 2016 circa 6100 persone con i Corridoi Umanitari, altre ne sono arrivate in Francia, in Belgio, in Andorra e a San Marino. Un modello su cui dovrebbe puntare l’Unione Europea: una via che permette alle persone di partire in sicurezza e di integrasi nei paesi di destinazione. Bisognerebbe aumentare i numeri e favorire la regolarità dell’ingresso, promuovendo anche le sponsorship, vale a dire che familiari, associazioni o persone di buona volontà, possano fornire la propria sponsorizzazione per fare entrare regolarmente i richiedenti asilo o i rifugiati».
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