Lungo il fiume
di Angela Borghi

Il fiume scorre lento frusciando sotto i ponti, la luna splende in cielo, dorme tutta la città. Solo va un uomo in frac
Notte di luna, notte tranquilla. Le strade sono vuote, la città dorme, finalmente.
I due poliziotti fumano in silenzio sul ponte, l’auto posteggiata poco lontano. Ancora qualche ora alla fine del turno. Dal buio emerge un uomo, lo sparato candido della camicia luccica nell’oscurità, i capelli gli accarezzano le spalle. Sotto al lampione ha lineamenti eleganti, mani dai movimenti armoniosi. Indossa un frac.
I due agenti si guardano, incerti se chiedergli i documenti.
– Mi fate accendere? – li anticipa lui – mi fermo sul ponte ad ascoltare il fiume, ad aspettare il mio amore. Attendo da tanti anni e questa notte verrà.
– È molto tardi, signore, per stare in giro. Qual è il suo nome? – Gli chiede il più deciso dei due.
-Ah, eccola! – risponde invece lui senza ascoltarli più.
Appare una donna accanto all’uomo in frac. E’ in lungo, l’abito nero le valorizza i capelli rossi e gli occhi chiari. In mano ha un violino.
Si baciano a lungo e poi si allontanano a passi silenziosi, scomparendo nel buio, prima che i due poliziotti aggiungano una parola, abbagliati dall’aura di bellezza e felicità della giovane coppia.
Dalla portiera aperta dell’auto di servizio giunge una voce metallica: codice sette, incidente stradale sul lungofiume, pattuglia dieci-quattro recarsi sul posto immediatamente.
Partono sgommando e si dimenticano dello strano incontro. L’incidente è grave, in quello che resta dell’abitacolo dell’auto giace l’anziana guidatrice, morta, ricoperta di frammenti minuscoli di vetro che brillano come stelle.
La sera dopo i due poliziotti sono ancora in servizio insieme. Si fermano a bere un caffè in un bar della periferia. Il più giovane trova un giornale aperto su un tavolino e gira qualche pagina, poi mostra al collega le scritte sotto una fotografia: morta in un incidente d’auto sul lungofiume Erica Sofia Gherardi vedova Lanza di Trabia. L’anziana signora era molto nota per essere stata, da giovanissima, il primo violino dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Un’artista di talento con un grande avvenire. Alla tragica e prematura scomparsa del marito, il maestro Raimondo Lanza di Trabia, aveva fatto scalpore la decisione della musicista di abbandonare l’orchestra e di non suonare mai più il violino.
I due poliziotti si guardano confusi, non sanno che cosa dire. Dalla pagina due occhi chiari già visti li fissano con un sorriso complice.
(Ispirato a Vecchio frac, Domenico Modugno, 1959)
Racconto di Angela Borghi (www.ilcavedio.org). Illustrazione di Marzia Nigro
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