Road to Dakar, duecentocinquantadue giorni al via
Secondo episodio del racconto a puntate di Uberto Calesella, 32 anni, consulente aziendale e legale pentito con la passione per i motori, in partenza per la Sahara Desert Challenge
Secondo episodio del racconto a puntate di Uberto Calesella, 32 anni, consulente aziendale e legale pentito con la passione per i motori, in partenza per la Sahara Desert Challenge
Pontelagoscuro, appena fuori Ferrara, 21 aprile.
Seduto al tavolino del bar, sotto un portico che sa tanto di Ventennio, consumo un modesto pasto durante una pausa pranzo lunghissima. Sono in trasferta per lavoro e – come spesso accade visitando le concessionarie – la pausa pranzo si avvicina più alle due ore che non alla canonica una, lasciando dunque ampio margine per riflettere, pensare, ricordare.
Al tavolo di fianco a me due signori nordafricani, probabilmente a cavallo fra i cinquanta e i sessanta anni, dialogano in un arabo che forse siamo poco abituati a sentire: hanno un tono di voce calmo, sommesso, parlano lentamente e gesticolano molto con le mani, quasi sembra stiano cantando una canzone a due voci. Il gesticolare è metodicamente accompagnato da una lunga sigaretta sempre accesa.
L’abbigliamento è impeccabile, pantalone dritto di colore scuro, mocassino, dolcevita con giacca per uno, camicia con un gilet di pail con dei motivi berberi per l’altro. Questa visione mi astrae dalla sonnacchiosa piazzetta in cui ci troviamo, dove padroneggia il campanile e l’oratorio con il telone appeso di fianco all’ingresso che recita “DOMENICA 2 OTTOBRE ORE 09:30 INIZIA IL CATECHISMO” e mi catapulta in Tunisia, Capodanno 2017/2018 dove ho visto le identiche stesse scene, solo senza questo accenno di cattolicesimo.
Mancano duecentocinquantadue giorni al ventinove dicembre, giorno della partenza della mia avventura dakariana, ne sono passati cinquantaquattro da quando – iscrivendomi – ho dato il via a questa esperienza, rubricata sotto la domanda “avrò fatto una cazzata?” nello schedario delle mie esperienze e ricordi. Sono stati giorni abbastanza intensi: come tanti ho lavorato, come molti ho dedicato tempo alla preparazione del matrimonio, come pochi ho caricato la moto e sono andato a gareggiare.
Lascio a voi l’interpretazione di questo tanti, molti, pochi, se riferito ai giorni o alle persone. Personalmente il fatto di gareggiare in moto costituisce una discreta novità: anni fa ho partecipato a qualche tappa del campionato regionale lombardo di enduro, ma la cosa aveva suscitato ben poche emozioni – in parte negative. Il cronometro – giudice insindacabile delle gare in moto – non è uno strumento a cui sono avvezzo: l’idea di misurare il tempo, per quanto rivoluzionaria e geniale, non mi fa impazzire: preferisco di gran lunga lasciarlo scorrere senza darci reciprocamente fastidio.
Gli ultimi paragrafi – dunque – vi staranno facendo sorgere un dubbio: cosa gareggi a fare se non ti piace il cronometro? Grazie per averlo chiesto. Considerando che il viaggio che mi attende ha una durata stimata intorno ai cinque-seimila chilometri, ho bisogno di mettere il maggior numero di ore possibili in sella durante quest’anno, in modo tale da allenarmi, far emergere potenziali problemi alla moto così da affrontarli prima di partire, abituarmi. Nei giri di enduro tra amici capita molto spesso di partire con dei programmi di giornata estremamente ambiziosi, girando anche abbastanza bene al mattino, ma spesso naufragando intorno all’ora di pranzo nei dintorni di qualche osteria o ente assimilabile.
Capirete bene dunque che le gare diventano uno strumento necessario: in quel contesto, infatti, lo spazio per l’osteria non c’è e devi fare tanta strada in modo tale da rimanere all’interno dei controlli orari previsti. Sul punto procederò a fare un’analisi più dettagliata entrando nel concetto delle gare di regolarità, o – più modernamente note – le gare di enduro. Ma c’è un qualcosa di più, perché non sto partecipando a delle qualsiasi gare di enduro, bensì ad una disciplina specifica: il Motorally.
Perché fra tutte le discipline, proprio il Motorally? E soprattutto, cos’è? Potenzialmente è la disciplina più complessa tra le varie tipologie di competizioni motoristiche. Molti di voi avranno visto un video dei rally in macchina: un pilota si impegna a guidare molto forte in svariate tipologie di terreno mentre il suo navigatore – il personaggio seduto sul sedile di destra e dotato di uno stomaco di ferro non indifferente – legge un roadbook: un elenco di note che indicano dove andare. Avete capito bene: nel rally in auto e nel Motorally il concetto di “pista” o “tracciato” non esiste. Il percorso di gara è scritto su un documento che qualcuno deve leggere, interpretare e indicare. Già di per sé la disciplina non risulta facile, ma complichiamola un po’. I più attenti di voi avranno notato che in auto c’è spazio per pilota e navigatore, uno di fianco all’altro, mentre in moto la situazione risulta decisamente meno agevole. Qui il pilota svolge due compiti: deve pilotare la moto, quindi guidarla in fuoristrada, cosa di per sé già impegnativa; in più deve – tramite apposita attrezzatura – leggere il roadbook, interpretarlo e infine navigarlo, cioè scegliere la strada da prendere. Nelle prossime puntate fornirò maggiori dettagli sull’argomento che vi assicuro è tutt’altro che scontato.
Ma dunque, perché complicarsi la vita in tale maniera, per di più con il cronometro che già sappiamo che non mi piace? Posso fornirvi due ordini di motivi, uno logico e uno appassionato. Il motivo logico consiste nel fatto che le gare del Campionato Italiano Motorally (“CIMR”) hanno una lunghezza media di duecento chilometri (sabato 1 aprile abbiamo sfiorato quota duecentocinquanta chilometri), dando la possibilità al pilota di stare in sella praticamente tutto il giorno non-stop, risultando dunque dei momenti estremamente preziosi in vista dell’allenamento dakariano.
Il motivo appassionato invece tocca un altro argomento. Da quando nasce intorno alla metà degli Anni Settanta diventa subito il “nuovo” modo di fare avventura, di prendere la moto e con la scusa di una gara andare ad esplorare posti ardui, lontani, complicati, proprio come il deserto o le foreste tropicali. Qualche esempio? La Parigi-Dakar, il Rally dei Faraoni, il Rally di Tunisia, il Fennech Rally, il Merzouga Rally, la Baja 1000, il Rally del Marocco, l’Incas Rally, il Camel Trophy. Non ci vuole troppa immaginazione per cogliere la suggestività che questi nomi evocano. È anche per questo – forse soprattutto – che ho deciso di partecipare all’italiano Motorally. Perché da quando esiste questa disciplina, non è un semplice sinonimo di avventura, ma è avventura nel senso più omnicomprensivo del termine, a prescindere dal fatto che si gareggi fra le dune del Merzouga o fra le pietre dell’Abruzzo. Quindi sì, partecipo al CIMR così mi alleno, ma soprattutto partecipo al CIMR perché anticipo il mio sogno di Dakar, lo dilato nel tempo in questa lunga preparazione – che passa anche per gli articoli che scriverò – così da farlo durare molto più delle due settimane di viaggio che saranno, e che durerà ancora molti anni a seguire, ogni volta che guarderò una mappa d’Africa o parteciperò ad un qualsiasi evento in moto che abbia di mezzo un roadbook, competitivo o meno.
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“IN MOTO NEL DESERTO”
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