Tutti per uno, uno per tutti
di Anna Rosa Confalonieri
Impossibile viaggiare sulla A29, leggere Capaci sul cartello dell’autostrada e non provare una morsa allo stomaco. Lei, la nuova insegnante di storia, avrebbe chiesto ai ragazzi un rispettoso silenzio in prossimità dello svincolo. Non fu necessario. Sul pullman il vociare disordinato dei quaranta diciottenni si quietò a un tratto. Gli occhi seguivano la strada a cercare il punto, quel punto, il cratere provocato dall’esplosione che avevano visto nel documentario in aula. Difficile intuire dai loro sguardi se quel nome, Capaci, suscitasse emozione o curiosità. Avrebbero preferito essere su un aereo per Madrid o Barcellona. Non avevano di certo immaginato una gita fuori porta a ricordo dell’ultimo anno di liceo. Erano di Palermo, ma nessuno di loro era mai stato lì. Lei sì. Una ragazzina qualunque a bordo di un’auto qualunque che il 23 maggio 1992 aveva superato quel tratto di autostrada pochi istanti prima della deflagrazione. Una coincidenza fortunata, aveva detto suo padre. Non le era mai piaciuta questa definizione e da quelle parti non era più passata. Ma non aveva mai dimenticato e ogni 23 maggio dedicava la lezione a ricordare. Un dovere professionale, diceva, come suggerivano le direttive scolastiche ministeriali, il suo piccolo contributo alla giustizia. Qualcosa di più per lei che sentiva il peso di aver scampato il pericolo e di essere rimasta viva. E ora, venticinque anni dopo, portava i suoi studenti all’inaugurazione del Giardino della memoria. Un parco là dove la bomba aveva lasciato una voragine e cinque morti. Un parco sorto per dare speranza alle generazioni che di quel giorno avevano solo l’eco. Ulivi, simboli di pace e di vita per ogni uomo e donna morti in nome del dovere. Un occhio all’orologio: erano in ritardo. Le autorità avevano appena concluso i loro discorsi ed elencavano i nomi delle vittime. Al termine una donna prese la parola. Una figura esile, sulla cinquantina, che portava il lutto alla maniera siciliana. Guardò il gruppo di ragazzi: lo sguardo fiero, la voce commossa: “Il parco è per voi, a memoria di chi ha messo la Giustizia al di sopra della propria vita. La mafia si sconfigge solo seminando tra i giovani il rispetto della legge e con la lotta all’omertà e all’indifferenza”. Al suo fianco un giovane con la divisa da ufficiale della Guardia di Finanza le aveva appoggiato una mano sulla spalla, nell’altra teneva un libro, I tre moschettieri, la copertina sgualcita dal tempo. Si presentò. “Mi chiamo Emanuele e voglio mostrarvi una cosa, un dono del giudice Falcone a mio padre, Vito Schifani, morto con lui quel 23 maggio quando io avevo quattro mesi. L’ho conosciuto attraverso il ricordo vivo di mia madre e dei colleghi. E attraverso questo piccolo libro. Racconta di eroi sempre uniti e pronti al sacrificio”. Lo aprì e lesse a voce alta, con orgoglio, la dedica: A Vito. Una scelta di vita. Tutti per uno, uno per tutti. Firmato Giovanni Falcone.
Ci avete seppellito, ma non sapevate che eravamo semi (D. Christianòpoulos)
Racconto di Anna Rosa Confalonieri (www.ilcavedio.org), in ricordo di Giovanni Falcone
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