Mille ragnatele suonate dal vento
di Paolo Negri
Quando Tim vide quei disegni nelle ultime pagine del quaderno trovato nello scantinato, il pensiero corse subito all’incisione decorata sulla porta d’ingresso della sua vicina: VOGLIO VIVERE COME I GIGLI NEI CAMPI. Era mai possibile che qualcosa collegasse quella donna così graziosa, sempre vestita di bianco, a quell’uomo misterioso, scovato una mattina di pioggia nel buio di quella casa appena acquistata?
Forse sì, perché i battiti del cuore di Tim avevano raggiunto la stessa frenetica frequenza quando li incontrò per la prima volta, lontani: lei si stava togliendo il cappello, presentando i capelli al sole; lui era rannicchiato in un angolo e rantolava a occhi chiusi.
Di lei non sapeva nulla, nemmeno il nome, ma si promise che al più presto le avrebbe portato un buongiorno; di lui aveva scoperto un nome d’arte, e decise di aspettare a chiamare proprietario e polizia perché chi si nasconde ha sempre con sé una storia che necessita di delicatezza e lentezza per essere capita, condivisa e alleviata.
Tim salì le scale e lo vide, a torso nudo, fissare il pavimento, immobile. Non mangiava da giorni, né parlava. A cosa pensava in continuazione? E cosa sognava la notte?
Tim gli mostrò quel che aveva appena trovato. Lui prese in mano il quaderno e lo aprì come fosse un oggetto del quale avere estrema cura: sì, facile intuire che era proprio lui l’Uomo Ragnatela… E lo era stato per decenni, e per decenni aveva girato l’Europa con le grandi fiere ambulanti.
Che significava essere Qualcuno, stare sotto i riflettori? Si chiese Tim. Gli sputi tra gli applausi e le insinuazioni, le bocche aperte tra scandalo e meraviglia, la morbosità. Essere un freak quale prezzo comportava? E ora, dopo che il tempo aveva confuso i contorni di quello che avevano scritto sulla sua pelle, e spazio per un piccolo bozzolo di aracnide tatuato non c’era, quale sorte gli sarebbe toccata?
Tim osservava le sue reazioni, chiedendosi chi dei due fosse l’ospite. Com’era finito là sotto? E lui come stava là dentro?
Skellig (ecco il suo nome!) ripercorreva con l’indice la vita ritratta in quei manifesti consumati, ripassava il profilo esotico delle località ospitanti e accarezzava alcuni dei personaggi ritratti, probabilmente coloro che lo avevano fatto stare bene. Arrivato alla fine, un piccolo sorriso comparve sul viso annerito: non più locandine stampate ma fiori tracciati a matita. Suonarono all’ingresso. Tim si voltò, fece qualche passo e aprì la finestra.
Se lei davvero viveva come i gigli nel campi, avrebbe detto sì all’invito di sedersi con lui. Gli avrebbe preso la mano e ascoltato il vento suonare quelle tele d’inchiostro…
Racconto di Paolo Negri (www.ilcavedio.org) – Illustrazione di Luca Stengraffiti (Instagram: @stengraffiti)
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