Trent’anni senza Drazen Petrovic: i ricordi “varesini” del Mozart dei canestri
Cecco Vescovi, Toto Bulgheroni, Sandro De Pol e Michael Arcieri ricordano il fenomenale campione croato, morto su un'autostrada tedesca il 7 giugno 1993. Quando era già una leggenda in Europa e negli USA
Un camion di traverso per la pioggia, una Golf rossa che sbanda, un impatto che si trasforma in tragedia e che in un istante cambia – in peggio – la storia del basket mondiale. Trent’anni fa, era il 7 giugno 1993, moriva su un’autostrada tedesca Drazen Petrovic, uno dei più grandi campioni dei canestri nati in Europa. Uno che, fosse arrivato sulle scene dieci anni dopo, avrebbe probabilmente dettato legge fin dal primo giorno in NBA.
Ma la grandezza del “Diavolo di Sebenico” è stata anche quella di accettare la gavetta nella lega americana, di fare panchina, di essere emarginato, prima di affermarsi come fenomeno anche da quel lato dell’oceano Atlantico dopo aver dominato in lungo e in largo i parquet del Vecchio Continente. Soprannominato “il Mozart del basket”, Petrovic è morto a 29 anni dopo aver collezionato record e trofei di ogni genere.
Campione del mondo nel ’90 con la Jugoslavia, argento olimpico nel ’92 con la neonata Croazia (dietro al Dream Team originale) di cui è divenuto eroe nazionale, due Coppe dei Campioni con il Cibona e quella mostruosa finale di Coppa delle Coppe in cui – giocando nel Real – mise a segno 62 punti contro Caserta (in cui Oscar e Gentile si “fermarono” a 44 e 32…) sono solo le imprese più famose di Drazen che nella NBA sbarcò a Portland e si impose con la maglia dei New Jersey Nets. Per ricordarlo abbiamo contattato alcune figure “varesine” – di nascita o di adozione – che hanno incrociato la sua leggenda. E che ne sono rimasti abbagliati, come tutti noi.
Nati a 12 giorni di distanza nell’ottobre del ’64, uno a Varese e l’altro a Sebenico, Cecco Vescovi e Drazen Petrovic sono stati avversari più volte con le maglie delle rispettive nazionali, specie a livello giovanile. «Ma la volta che ho più impressa in mente è avvenuta con le squadre di club – spiega oggi Cecco – A quei tempi c’era un grande torneo internazionale giovanile in Francia, nei pressi di Lione e noi partecipavamo ogni anno con la Pallacanestro Varese. Beh, ricordo che giocammo contro e anche se era un ragazzino Drazen faceva già dei numeri di livello assoluto. Cose da stropicciarsi gli occhi a ogni giocata». Vescovi ha partecipato ai Mondiali del ’90 vinti dalla Jugoslavia in Argentina: «Ma non ci qualificammo per la fase finale e non li affrontammo. Ci trovammo però contro in diverse gare di preparazione ed era una squadra incredibile. Drazen, Divac, Kukoc, Radja, Paspalj… chi curavo io? Nessuno, erano tutti immarcabili».
Petrovic a Padova con il Sibenka – foto da mmcdrazenpetrovic.hrTOTO BULGHERONI E LA FINALE DI KORAC
«Ebbi modo di incontrare Drazen Petrovic insieme a suo fratello Aza, ma se penso a lui mi viene in mente soprattutto una cosa. La finale di Coppa Korac del 1982 disputata al palasport di Padova: ci andai appositamente per veder giocare Drazen che allora aveva 17 anni. Ai tempi era difficile ricevere informazioni dettagliate ma tutti gli addetti ai lavori ne parlavano già come un fenomeno, e in effetti rimasi molto colpito nell’osservarlo di persona». Petrovic giocava con il Sibenka, la squadra della sua città, e perse quella partita contro il Limoges «ma mostrava già quelle caratteristiche che lo hanno reso così grande – prosegue Bulgheroni – Era “una cosa nuova” nel mondo del basket, per quel misto di fantasia, classe, talento, visione di gioco che metteva in campo ogni volta». Al momento della morte sembrò che ci fosse la possibilità di un ritorno in Europa di Petrovic, ma Bulgheroni è scettico: «Difficile dirlo ora, perché anche in Italia c’erano grandi gruppi industriali che stavano investendo tanto nel basket. Però lui a quel punto si era affermato nella NBA e penso che alla fine sarebbe rimasto là».
SANDRO DE POL, IL RAGAZZINO DI TRIESTE
La fotografia con cui apriamo l’articolo è particolarmente significativa. Drazen Petrovic, con la caratteristica “lingua fuori”, ha indosso una tuta della Stefanel ed è osservato da vicino da un gruppo di giovani cestisti. Quello biondo con un fazzoletto nei pantaloncini è Sandro De Pol (che ci ha fornito l’immagine) il quale ci racconta la scena: «Drazen era a Trieste per un torneo, forse di precampionato, e allora Boscia Tanjevic organizzò una sua esibizione il pomeriggio prima della partita per noi ragazzi del settore giovanile. Vi garantisco che quel giorno vedemmo fare cose con il pallone, talvolta con due palloni, davvero irreali. Un fenomeno inarrivabile». Petrovic fu fiero avversario della nazionale azzurra e in quell’ambiente veniva ricordato anche ad anni di distanza: «Ricordo – prosegue De Pol – che Nando Gentile parlava di una volta in cui avrebbe dovuto marcarlo. Sandro Gamba, che era il c.t., continuava a gridare a Nando: “Quando passa la metà campo, tienilo lontano dal canestro!”. Al che Nando, sconsolato, a un certo punto guardò Gamba e gli rispose: “Come faccio a marcare uno così?».
Petrovic ai Nets con Willis Reed e Wes Unseld – foto da mmcdrazenpetrovic.hrMICHAEL ARCIERI, IL CORDOGLIO DEI NETS
L’attuale g.m. di Varese, Michael Arcieri, era da poco entrato nella organizzazione dei New Jersey Nets quando Petrovic stava disputando l’ultima stagione della sua vita. Mike quell’anno era spesso in viaggio e poco in sede (svolgeva attività di scouting) ma ha ben impressa la figura del grande campione croato. «L’ho incontrato in ufficio qualche volta: un ragazzo che ti colpiva per il suo sorriso e per la personalità. Simpatico, benvoluto, in campo fortissimo. Quel giorno il telefono squillò alle 7 del mattino: non ricordo chi mi diede la notizia ma fu un colpo tremendo apprendere della sua morte».
Con i Nets, Arcieri partecipò a una cerimonia in suffragio di Petrovic una decina di giorni dopo la tragedia. «Fuori c’era il sole ma fu un giorno terribile, tristissimo. Andammo a una chiesa non lontano dal Madison Square Garden, sulla 41a Strada, frequentata dalla comunità croata. La nostra delegazione era capeggiata da Willis Reed che era il gm dei Nets e aveva preso Drazen da Portland, c’erano gli altri giocatori e qualcuno di loro parlò nell’orazione funebre. Tutto fu molto triste e indimenticabile, come indimenticabile è Drazen».
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