Chi sono i turchi che si sono comprati Whirlpool
Chi sono i nuovi padroni di Whirlpool, quale peso ha oggi la Turchia e quale futuro avrà la compagnia

Il gruppo Koç, che ha acquisito le attività europee e medio-orientali di Whirlpool, è il maggiore gruppo industriale della Turchia. Il paese, liberato da Ataturk 100 anni fa e oggi a democrazia limitata, è diventato un perno cruciale della geopolitica regionale e una formidabile piattaforma di sviluppo e crescita economica.
I fondatori
Prima metà del secolo scorso. Ci sono un americano, un italiano e un turco. Louis Upton, orfano di padre, a Chicago è un lavoratore studente con un piglio imprenditoriale indomito. Superando diffidenze di partner commerciali, consumatori, ostacoli finanziari e fallimenti vari, inizia a costruire quella che sarebbe diventata la più grande impresa al mondo nel settore degli elettrodomestici, partendo da una lavatrice con motore elettrico, un aggeggio che agita panni nell’acqua come un vortice, quindi Whirlpool.
Guido Borghi a Milano, dove adesso ci sono grattacieli, in un’officina elettromeccanica inizia a produrre fornelli elettrici, quindi Ignis, e con la spinta del figlio Giovanni l’impresa inizia la produzione di frigoriferi e compressori e non si ferma più.
Vehbi Koç ad Ankara inizia a lavorare a 17 anni nella drogheria che il padre gli ha aperto e dopo pochi anni capisce che per crescere ha bisogno di tecnologia e finanziamenti. Inizia ad elaborare un metodo basato su alleanze: Ford, Mobil, Fiat, General Electric, Siemens, Yamaha, Allianz, molte delle multinazionali di settori strategici diventano i suoi soci commerciali. Prima metà del secolo attuale.
È rimasto solo il turco. Borghi vende Ignis agli olandesi di Philips, che a loro volta vendono agli americani di Whirlpool, che comprano anche Ariston da Vittorio Merloni. Ma nel risiko industriale alla fine, i turchi di Arcelik, si prendono tutto, almeno in Europa.
La Turchia
Turchia, una potenza autocentrata e in espansione. La Patria Blu è un paese unico, con 86 milioni di abitanti, ha la più grande e giovane popolazione dei Paesi della regione europea e vicino oriente. Un PIL di 800 miliardi; 58 gigawatt di capacità installata dalle rinnovabili (simile all’Italia); spende l’1% in ricerca e sviluppo (vs. 1,5 del nostro Paese). La Turchia moderna ha la più alta percentuale di utilizzatori di mobile banking al mondo (85%), ma è nella top 10 nella poco edificante classifica dei Paesi per numero di giornalisti in prigione.
Sul fronte internazionale e geopolitico, la posizione della Turchia è in grande evoluzione accelerata. Putin ha inviato gli auguri di Natale 2022 ai seguenti leader: regione georgiana dell’Abkhazia, Azerbaigian, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia del Sud, Bolivia, Brasile, Ungheria, Venezuela, Vietnam, India, Cina, Cuba, Nicaragua, Serbia, Siria, Ungheria e Turchia… una chiara mappa geografica del loro posizionamento sullo scacchiere delle alleanze.
Leggendo le analisi di Limes negli ultimi mesi si trovano valutazioni illuminanti. “L’invasione russa dello spazio ucraino per prevenirne il definitivo inglobamento nell’impero americano ha messo alla prova gli assi portanti dell’approccio regionale turco, fondato sullo spregiudicato equilibrismo tra Stati Uniti e Russia. All’inizio della guerra vigeva la certezza che la rapida avanzata dell’Armata russa su Kiev e Odessa avrebbe costretto Erdoğan a gettare la maschera, a compiere una scelta di campo netta, a rientrare nel grembo americano. La guerra in Ucraina sta schiudendo ad Ankara opportunità impensabili alla vigilia del conflitto. Dal 24 febbraio Ankara ha preso a muoversi con ulteriore disinvoltura tra la superpotenza e il suo declinante rivale, sostanziando con successo l’ambiziosa retorica sull’autonomia strategica, sganciandosi dalla logica bipolare resa anacronistica dal suicidio di Putin in Ucraina”. I turchi hanno accentuato la propria spregiudicata postura, sfidando la Russia con sempre maggiore sfacciataggine e al contempo sfruttando le difficoltà russe per consolidare a proprio vantaggio i rapporti bilaterali in ambito commerciale, energetico e persino militare. Così, Erdoğan chiede a Putin di restituire la Crimea all’Ucraina, installa a Kiev una fabbrica per la coproduzione turco- ucraina di droni da combattimento e allo stesso tempo accoglie senza esitazioni il piano di Putin sulla Tracia orientale per costruire un nuovo centro di smistamento degli idrocarburi diretti in Europa. Infine, incassa 7 miliardi di euro messi in campo dall’Unione Europea nel corso degli anni sulla questione dei profughi e vince anche la battaglia sul grano, le cui tonnellate transitano ormai ogni giorno dallo Stretto del Bosforo per arrivare a destinazione sui mercati mondiali. Dopo il tramonto dei regimi militari che avevano garantito la laicità e l’ancoraggio all’Occidente per circa ottant’anni, la Turchia ha ceduto davanti a una travolgente ondata di nostalgia verso un certo modello islamico e la voglia di un rinato impero ottomano.
La famiglia Koç
Ciò che in seguito divenne la Koç Holding fu fondata come negozio di alimentari ad Ankara nel 1926 da Vehbi Koç, tre anni dopo la dichiarazione della Repubblica di Turchia. Attualmente possiede aziende in oltre 50 paesi dei cinque continenti, con interessi nei settori dell’energia, dell’automotive, degli elettrodomestici e delle finanze. La famiglia Koç oggi controlla saldamente il maggiore gruppo industriale e di servizi della Turchia, con un fatturato diretto pari all’8% del PIL del paese, il valore di un quinto della borsa di Istambul, rimanendo l’unica impresa turca nella lista delle 500 maggiori imprese del mondo di Fortune. Il gruppo ha un portafoglio di attività molto bilanciato tra settori che generano liquidità assicurata, come l’energia (primo per capacità di raffinazione e distribuzione di GPL, la maggior fonte di carburante in Turchia per le auto), e altri ad alta redditività. La strategia si riassume con lo slogan: “attività profittevoli con alleanze strategiche”. I partner principali rimangono: Ford, Stellantis, CNH, LG Electronics, Unicredit, Sumitomo. Le aree di opportunità e innovazione sono presidiate precocemente con investimenti mirati. Nel portafoglio ci sono batterie e auto elettriche (WAT), robotica, piattaforme di e-commerce e distribuzione a domicilio (Sendeo), biotecnologie (Inventram) e fintech (Token).
Le aziende del gruppo Koç includono i produttori di automobili Tofas e Ford Otosan, nonché il terzo maggiore produttore di elettrodomestici in Europa, Arcelik, e il quarto maggiore istituto di credito della Turchia, Yapi Kredi. Durante il mandato di Mustafa Koç, come presidente della società, la Koç acquisì anche il 51% del solo raffinatore del paese, Tupras, in un’operazione di privatizzazione del valore di 4,1 miliardi di dollari nel 2005.
Per comprendere il peso della famiglia Koç, è utile raccontare una vicenda di qualche anno fa. Essendo tra i membri più rispettati e di spicco del’élite imprenditoriale laica in Turchia, ha tradizionalmente cercato di evitare scontri politici. Tuttavia, ciò divenne impossibile quando Recep Tayyip Erdogan iniziò a prenderle di mira, come rappresentanti del “vecchio establishment repressivo” che voleva indebolire. Durante l’apice delle proteste contro le restrizioni delle libertà del maggio-giugno 2013, un gruppo di manifestanti, che cercava di sfuggire ai gas lacrimogeni sparati dalla polizia, si rifugiò presso l'hotel Divan, di proprietà della Koç, nel cuore di Istanbul, vicino al parco Gezi. La direzione dell’hotel, autorizzata da Ali Koç, il fratello minore di Mustafa Koç, amministratore delegato del gruppo, ammise i manifestanti, ma la polizia sparò ancora più gas lacrimogeni nella hall del’hotel. Qualche giorno dopo, in un discorso pubblico, Erdogan disse: « Sappiamo quali proprietari di hotel hanno aiutato i terroristi. Aiutare i terroristi è un crimine. E quei crimini non rimarranno impuniti».
A luglio, ispettori del ministero delle finanze fecero irruzione negli uffici delle società del gruppo. Più di 200 ispettori cercavano prove di contrabbando di petrolio e violazioni fiscali. Due mesi dopo, il governo annullò una gara d’appalto per la costruzione di navi da guerra per la marina turca vinta dalla RMK Marine di Koç. Nel 2014, il governo di Erdogan annullò un’altra gara d’appalto vinta da un consorzio formato da Koç Holding, Gozde e la malese UEM per gestire ponti e strade per 25 anni. La Koç non reagì, ma in una delle sue rare interviste Mustafa Koç disse al quotidiano Hurriyet: «Non combattiamo con il nostro Stato, ma non permetteremo a nessuno di distruggere la nostra reputazione che abbiamo costruito in oltre 90 anni». Date l’importanza della Koç Holding per ‘economia turca e le sue profonde connessioni internazionali, le tensioni tra la più grande azienda del paese e il governo non potevano durare per sempre e anche Erdogan, costretto a più miti consigli, a breve segnalò la riconciliazione partecipando alle cerimonie di inaugurazione di un impianto Tupras e di una fabbrica di auto Ford- Koç.
Top managers con pedigree
Le società del gruppo sono gestite dai membri della grande e allargata famiglia Koç, dopo che hanno studiato nelle migliori scuole del mondo. Ad esempio, nato nel 1960, Mustafa Koç è stato educato al Lyceum Alpinum Zuoz in Svizzera e si è laureato presso la George Washington University nel 1984. Il suo successore, Ömer Koç, ha frequentato la Millfield School in Inghilterra, ha proseguito alla Georgetown University prima di laurearsi al Columbia College nel 1985 con una laurea in greco antico. Infine, ha conseguito il suo MBA presso la Columbia Business School nel 1989. Bülent Bulgurlu, CEO del gruppo dal 2007 al 2010 e padre di Hakan Bulgurlu, attuale amministratore delegato di Arcelik, ha fatto la prime esperienze in Norvegia, dove ha conseguito un master presso la Facoltà di ingegneria civile dell'Università di scienza e tecnologia di Oslo nel 1973, per poi prendere un dottorato di ricerca nel 1976; ha insegnato all’università per tutto questo periodo. Il figlio dopo aver conseguito la laurea presso la School of Economics and Mechanical Engineering, presso la Texas University, ha ricevuto il Master dalla Northwestern Kellogg School of Management di Chicago e dalla università di Scienza e Tecnologia di Hong Kong. E non ha smesso di imparare. Ogni anno torna ad Harvard per una settimana di immersione, come ha fatto quest’anno sul tema dell’intelligenza artificiale (vedere il suo post in merito: https://www.linkedin.com/pulse/power-ai-opportunities-risks-path-forward-hakan-bulgurlu/).
Arcelik
Con 45.000 dipendenti in tutto il mondo, le operazioni globali di Arçelik includono filiali in 53 paesi e 30 stabilimenti di produzione in 9 paesi e 12 marchi (Arçelik, Beko, Grundig, Blomberg, ElektraBregenz, Arctic, Leisure, Flavel, Defy, Altus, Dawlance, Voltas Beko), a cui si aggiungono ora quelli di Whirlpool, Ariston, Bauknecht, etc.. Arçelik ha raggiunto un fatturato consolidato di 6,5 miliardi di euro nel 2021. I 29 centri e uffici di ricerca e sviluppo e design di Arçelik in tutto il mondo ospitano oltre 2.300 ricercatori e ad oggi detengono oltre 3.000 domande di brevetto registrate a livello internazionale. Per il 4° anno consecutivo, Arçelik ha ottenuto il punteggio più alto nel settore DHP Household Durables (sulla base dei risultati del 16 dicembre 2022) nel Dow Jones Sustainability Index dell'S&P Global Corporate Sustainability Assessment. Grazie alla sua posizione di leadership nella sostenibilità e alla credibile roadmap di decarbonizzazione per il raggiungimento del net zero, Arçelik è diventata la prima e unica azienda del suo settore a ricevere il Terra Carta Seal dall'ex Principe di Galles. La visione di Arçelik è «Rispettare il mondo, rispettato in tutto il mondo».
Dopo l’annuncio dell’acquisizione delle attività europee di Whirlpool fatto a gennaio, la settimana scorsa Arcelik ha completata l’acquisizione delle attività americane in Medio Oriente e Nord Africa per 20 milioni di euro, un investimento marginale, guardando alla lista di operazioni degli ultimi anni:
Luglio 2011: acquisizione di Defy in Sud Africa, per 230 milioni di dollari (leader di mercato con una quota di mercato di circa il 40%).
Gennaio 2016: entra in funzione un nuovo impianto di refrigerazione in Tailandia da 100 milioni di dollari, come hub per i paesi limitrofi.
Giugno 2016: acquisizione di Dawlance per 258 milioni di dollari, leader del mercato degli elettrodomestici in Pakistan.
Aprile 2017: investimento di 100 milioni di euro per un nuovo impianto di lavatrici in Romania
Maggio 2017: accordo da 100 milioni di dollari con Voltas (parte del Gruppo Tata) in India per la produzione di frigoriferi
Marzo 2019: acquisizione da 75 milioni di Singer in Bangladesh, primo nelle lavaggio e nei condizionatori, secondo nella refrigerazione
Maggio 2021: acquisto di Whirlpool Global Holdings che produce unità di refrigerazione e lavatrici
Luglio 2021: costituita una joint venture con Hitachi (Arçelik 60%) per operare nel mercato globale degli elettrodomestici al di fuori del Giappone, con un investimento di 350 milioni di dollari
Agosto 2022: acquisizione di tutte le attività del gruppo Whirlpool in Russia, Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Armenia, Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Bielorussia e Mongolia, con la licenza d’uso d”Indesit” e”Hotpoint” per 40 anni.
Questi turchi non dormono mai e non ci metteranno molto tempo a inserire organicamente la piattaforma produttiva di Whirlpool nel loro sistema globale di produzione altamente concorrenziale.
Il futuro: sostenibilità ESG ed economica
Il focus principale da tempo, oltre a quello finanziario e di crescita, è la sostenibilità. Recentemente, Arcelik ha ricevuto un doppio riconoscimento all’International TCG Retail Summit – l’evento che ha come protagonisti i top executive dei principali tech retailer europei e nazionali e dell’industria dell’elettronica di consumo – per “Leadership” e “Sustainability”. In dettaglio, “Leadership Award” è un riconoscimento che conferma l’impegno profuso nella costruzione di una realtà imprenditoriale internazionale capace di guidare l’intero comparto. Il premio nella categoria “Sustainability” certifica gli sforzi incessanti che riserva, sia a livello progettuale che produttivo, nella direzione di un futuro migliore e più responsabile. Bulgurlu ci crede così tanto che ha anche scritto un libro nel 2022: “A mountain to climb: the climate crisis a summit beyond Everest”. Non potrebbe essere diversamente per un gruppo di alto profilo internazionale, orgoglioso della sua identità e al tempo stesso ambizioso: gli standard ESG (environmental, social and governance) sono il nuovo mantra del capitalismo dalla faccia buona. Ma sostenibilità, prima di tutto, significa modello di business sostenibile, capacità finanziaria per remunerare gli investitori e la famiglia e tutti gli stakeholder influenti. Qui i turchi non hanno nulla da imparare. Gentili, poliglotti, con le menti raffinate e bizantine, quintessenzialmente commerciali, sanno essere spietati quando serve (hanno insegnato a Hitler il prototipo di genocidio). Nel settore degli elettrodomestici le regole del gioco sono sempre le stesse: competizione sul costo attraverso economie di scala nella catena del valore. Fornitura di materie prime globali, impianti produttivi specializzati da milioni di pezzi vicini ai mercati, logistica integrata, portafoglio marchi per gamma bassa, massa e premium, feroce concorrenza distributiva e promozionale, arroccamento nelle nicchie di profitto con standard di prodotto, design e tecnologia, come nel segmento dell’incasso o in certi mercati (es. Svizzera) con dimensioni di prodotto speciali. Non cambiano perché il prodotto è rimasto una commodity. Siamo disposti a pagare 1000 euro ogni anno per un nuovo gadget tecnologico che pesa 100 grammi, ma quando compriamo un elettrodomestico che pesa magari 60 chili, dura 15 anni, e non si ferma mai come un frigorifero, il cartellino è quasi sempre a 3 cifre, che iniziano con numeri sotto il 5. La strada per la razionalizzazione del footprint produttivo è un copione arcinoto e imprescindibile. Dopo un secolo di reingegnerizzazione di prodotto per limare le lastre di metallo, sostituire con la plastica, accorciare le viti e i cavi di alimentazione, rarefare il rame, alleggerire il packaging, e così via non rimane molto da togliere. Bisogna continuare ad inseguire la strategia delle fabbriche nei paesi più competitivi. La lettera per ogni “asset” dei nuovi padroni del vapore può essere così parafrasata.
«Allora, caro congelatore di Siena, o mi diventi una camera iperbarica per la rigenerazione cellulare dell’oligarca russo consunto dal sole della Versilia; o ti inventi di viaggiare compatto coma una scatola di una libreria Billy dell’Ikea; oppure fai un pellegrinaggio a Cazzago Brabbia, dove abita uno che ha la bacchetta magica (“Golden Power”) e ti fai trasformare in una gallina dalle uova d’oro con gli aiuti statali, altrimenti… Intanto che ci pensi, con l’aiuto dei tuoi pasciuti ingegneri, trasformo il mio neanche tanto brutto anatroccolo, che costa una frazione del tuo prodotto, in un oggetto di design, ci metto il marchio che ti piace tanto (Whirlpool), e inizio a sostituire parte dei tuoi volumi con quelli della mia fabbrica attuale. Poi ci rivediamo tra qualche mese e mi racconti cos’hai escogitato».
La lezione per l’Italia di questa lunga vicenda imprenditoriale, in uno dei settori che sono stati al centro della crescita economica del Paese, è che affidare a gruppi internazionali esteri attività importanti, può apparire come una soluzione per garantirne la competitività su scala globale con accesso a marchi, tecnologie, gestioni imprenditoriali strutturate e con le tasche profonde. Ma vendere le Ignis, Indesit, Fiat, Luxottica, Alitalia, magari un giorno Tim e Leonardo a paesi alleati come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, non elimina il rischio di cadere dalla padella nella brace, perché si diventa terminale periferico sacrificabile al momento opportuno, come accaduto con Whirlpool.
“Ciò che non uccide, ingrassa”, Vehbi Koç.
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