Le scintille del flessibile non hanno causato l’incendio: assolto per il rogo alla Martica

L’imputato “non ha commesso il fatto“. Resta la multa da 20 milioni per i 376 ettari di bosco pregiato andato in fumo. Il legale: “Impugneremo il provvedimento”

L'incendio sulla Martica

Fiamme che hanno lasciato i segni sulle piante, segni alti, con fuoco a oltre mezzo metro da terra, nel punto in cui l’imputato stava tagliando un tondino in ferro col “flessibile“ (tecnicamente una “smerigliatrice“ in grado di fendere il metallo) e quindi fuori dall’ipotesi che quello sia stato il punto di innesco dell’incendio.

Fiamme – terribili, spietate, che ancora oggi a distanza di anni intristiscono guardando il segno lasciato sui versanti più ripidi della valle che sovrasta la Mottarossa, già Varese – che peraltro non possono essere partite dal cascame metallico di detto flessibile in quanto non sufficienti, quand’anche avessero attinto foglie secche da mesi in un bosco in “allarme incendi“ boschivi, ad innescare l’incendio. Prove ne sono state le consulenze tecniche, una sorta di esperimento giudiziale trasmesso in aula nel corso del processo che ha pesato come esimente da responsabilità penale nel procedimento a carico dell’imputato.

Difatti la formula utilizzata dal giudice Luccarelli nella sentenza pronunciata lunedì è stata quella di “non aver commesso il fatto”, che per la legge equivale ad assoluzione piena. Un passaggio non da poco, e presto vedremo il perché. L’incendio scoppiato giovedì 3 gennaio 2019 fu un macabro spettacolo notturno per le prime ore di fiamme che il giorno successivo sembravano essere domate, ma con l’acuirsi del vento, e l’assenza di pioggia riuscirono a scollinare conquistando parte delle alture della Valganna, strappando alla natura boschi di roveri, eriche, faggi: patrimonio arboreo inestimabile specialmente in considerazione della “fame“ attuale di alberi quale unico antidoto a costo zero per frenare le emissioni di Co2.

Furono dei giorni pesanti (e documentati minuziosamente da Varesenews, che ha tenuto alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema): volo di Canadair, uno, due, fino a tre in un giorno, con elicotteri Ericsson dei vigili del fuoco, centinaia di volontari della protezione civile che improntarono condotte supplementari per portare l’acqua in montagna; visita di sottosegretari e parlamentari sul posto. Alla fine l’incendio venne domato, a costo umano di estreme fatiche. Ma a che prezzo per le casse dello Stato? Tabelle alla mano, circa 20 milioni di euro fra il costo operativo dei velivoli e le spese per il ripristino dell’area (l’importo compreso delle più estese riduzioni legate al pagamento entro i termini e calcolando nel minimo la spesa avrebbe potuto aggirarsi ad una cifra comunque impossibile da pagare per un comune mortale: 7 milioni) .

«Fino ad ora quell’importo da pagare è rimasto in stand by, in attesa del pronunciamento della magistratura che dunque si è pronunciata con verdetto pieno e di assoluzione», spiega il difensore avvocato Giancarlo Trabucchi. «E dunque, dopo la presentazione delle motivazioni che vanno stilate e depositate in 90 giorni, procederemo col ricorso in autotutela, dal momento che abbiamo già impugnato, e nei termini, il provvedimento». Resta da capire, se si tratta di un’ipotesi colposa, a chi è possibile attribuire la responsabilità di quei fatti, costosi per la natura (376 ettari andati in fumo). e per le tasche di ciascuno di noi.

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Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 11 Luglio 2023
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