“Ehy Bro, benvenuto in azienda”. La generazione Z al lavoro tra virtù e falsi miti

Salvatore Sciascia (Liuc): «I figli sono sempre stati diversi dai padri ma i figli di oggi lo sono ancora di più. Dobbiamo prendere coscienza di questa diversità e fare di tutto per valorizzarla». Se ne è discusso al Family business forum

BAI srl di Castiglione Olona

«E tu di che generazione sei? Secondo me, sei più “Z” che “X”».
La domanda e la risposta della cassiera di un supermercato al vicino di cassa non sono una battuta e arrivano dopo una richiesta di aiuto per un cambio di turno. Perché per quella lavoratrice è così importante sapere a quale generazione appartiene il collega? E perché lo classifica come uno zeta-men?.
Ogni generazione è diversa da quella che l’ha preceduta perché plasmata dalla società in cui nasce e vive. La generazione “Z”, cioè i nati nella seconda metà degli anni Novanta fino al 2010, è cresciuta in un mondo globalizzato, modellato dalla tecnologia digitale e caratterizzato da un’alta sensibilità ambientale. Conoscerne le caratteristiche è dunque importante per capire come impatterà sulla nostra economia e sulle nostre vite. (nella foto: un giovane lavoratore della Meltameccanica Bai srl di Castiglione Olona)

SOLO UN GIOVANE SU DIECI VUOLE ENTRARE NELL’IMPRESA DI FAMIGLIA
Una parte di questa generazione ha concluso gli studi e sta muovendo i primi passi nel mondo del lavoro ed è già pronta ad entrare in aziende governate dalla generazione “X”, cioè i nati dalla seconda metà degli anni 60 al 1980 , o da baby boomer, i nati dal dopoguerra fino alla prima metà degli anni 60.
Al recente Family business forum, Salvatore Sciascia, professore ordinario di economia aziendale e co-diretttore di Fabula (Family business lab) dell’università Cattaneo-Liuc, ha dedicato una interessante relazione alla generazione “Z”. «Sono partito dal risultato di un precedente studio, secondo cui solo un giovane su dieci ha intenzione di entrare nell’impresa di famiglia – spiega il docente della Liuc -. Un dato preoccupante che mi ha spinto a indagare sulle caratteristiche di questa generazione».

LA TERRA È UN PATRIMONIO DA DIFENDERE
Sciascia mette a confronto queste tre generazioni partendo dai tre principali fattori produttivi dell’economia classica: la terra, il capitale e il lavoro. «Per la generazione “Z” la terra non è un patrimonio produttivo – sottolinea lo studioso – bensì un patrimonio da difendere. Del resto parliamo di una generazione che è nata in piena crisi climatica e come tale riconosce il valore della sostenibilità. Sono anche più global perché grazie alle tecnologie dell’informazione e dei trasporti, fin da giovanissimi, hanno potuto viaggiare di più ed entrare in contatto con culture differenti. Sono più digital pertanto per loro lo spazio virtuale è importante quanto il mondo fisico, aspetto che ha degli impatti ben definiti nel mondo dell’impresa e in quello del lavoro».

I SOLDI SONO UN MEZZO
Dal punto di vista del capitale, secondo il professor Sciascia, i giovani della generazione “Z” hanno con il denaro un rapporto più prudente in quanto hanno vissuto già una o due crisi economiche. «I soldi più che un obiettivo sono lo strumento per raggiungere altre forme di ricchezza che potremmo definire socio-emozionali. Per questa generazione crolla il mito della proprietà perché ha sperimentato il possesso e la condivisione. Sono i figli della sharing economy».

IO NON SONO IL MIO LAVORO
Infine, dal punto di vista del lavoro, la generazione “Z” non si identifica totalmente con quello che fa, pertanto l’identità personale non corrisponde del tutto a quella lavorativa. «Cercano un bilanciamento tra le due che non scenda a compromessi – dice il professore della Liuc -. Sono giovani che non vivono per lavorare ma lavorano per vivere. Sul lavoro sono più cooperativi che non competitivi e quindi vanno alla ricerca di leader che siano in grado di valorizzare questa loro attitudine».
Difficile dire se siamo di fronte a una generazione migliore o peggiore rispetto alle precedenti. «Le caratteristiche di cui ho parlato – continua Sciascia – possono avere accezioni positive e negative. Dobbiamo però prendere coscienza di una certa divergenza tra la generazione “Z” e quelle che l’hanno preceduta, perché è una sorta di Giano bifronte che può essere tanto fonte di conflitti quanto di ricchezza».

LO STILE DECISIONALE CONTA
La domanda da porsi è dunque un’altra: qual è il fattore che rende la presenza multigenerazionale in azienda positiva o negativa? La chiave per determinare il segno, negativo o positivo, di questo effetto, secondo il professore, è lo stile decisionale e manageriale. Nelle imprese in cui lo stile è  partecipativo, l’effetto è positivo. Nei casi in cui è direttivo, l’effetto della multigenerazionalità sarà negativo.
«I figli sono sempre stati diversi dai padri – conclude Sciascia – ma i figli di oggi sono particolarmente diversi dai loro padri e quindi dobbiamo prendere coscienza di questa diversità e fare di tutto per valorizzarla».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 31 Agosto 2023
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