L’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio e dell’inizio della Resistenza
Per alcuni è stato il giorno della "morte della Patria". Ma fu anche il giorno in cui molti italiani decisero di combattere contro il nazifascismo, in modi diversi. Lo ricorda anche un convegno alla Casa della Resistenza di Fondotoce
Cosa è stato l’8 settembre 1943, questa data in Italia divenuta sinonimo di sfascio?
Storici, intellettuali, giornalisti ne discutono ancora. Il giorno del “tutti a casa” che diventa tragedia, il liquefarsi del Regio Esercito che lascia centinaia di migliaia di soldati alla mercé dei tedeschi, la speranza della pace che si tramuta in occupazione germanica.
È davvero «la morte della patria», secondo una definizione di Ernesto Galli Della Loggia? O è invece l’inizio della Resistenza? Resistenza nata nel momento in cui «gli italiani si ritrovarono soli, ciascuno davanti alla propria coscienza», come disse – contrastando l’altra lettura – il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in un famoso discorso del 2003.
Ciampi pronunciò quell’intervento a Porta San Paolo, luogo simbolo del tentativo di difesa, là dove soldati del Regio Esercito, militanti antifascisti di ogni fede, semplici cittadini presero le armi per fermare i tedeschi alle porte di Roma (foto di apertura: 9 settembre 1943, a piazzale Ostiense i civili aiutano gli artiglieri della “Piave” a preparare i pezzi anticarro).
Il proclama dell’armistizio
L’annuncio dell’armistizio fu dato alle 19.30 dell’8 settembre dal maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ma gli ordini trasmessi ai reparti furono confusi e contraddittori (“ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza“, sintetizzava il proclama di Badoglio).
Il grosso dei comandi si allontanarono da Roma al seguito del re Vittorio Emanuele III, diretti a Ortona da dove si sarebbero imbarcati verso il Sud Italia, già conquistato dalle truppe degli Alleati anglo-americani. L’armistizio era una resa condizionata, le truppe italiane avrebbero dovuto opporsi ad atti ostili, che di lì a poco sarebbero iniziati, perché i tedeschi avevano già predisposto la Operazione Achse, vale a dire l’occupazione della penisola e il disarmo delle forze armate italiane.
La resistenza spontanea nei primi giorni dopo l’8 settembre 1943
Se i vertici dell’esercito, cullati dal conformismo fascista, si erano liquefatti, lì gli italiani decisero di resistere. «Ciascuno davanti alla propria coscienza», appunto.
La difesa di Porta San Paolo non fu, invero, l’unica.
Decisero di resistere – in condizioni difficili se non disumane – diverse migliaia di soldati dislocati nei Balcani (erano 650mila, un terzo del Regio Esercito) e sulle isole greche. Decine di migliaia di militari furono fatti prigionieri, gli alti ufficiali incapaci di reagire, lasciati soli, in balia di ordini contraddittori. Ma in alcuni casi la prontezza di ufficiali di medio o basso rango consentì ad alcune unità di reagire, combattendo i tedeschi.
L’episodio divenuto più noto al di fuori degli studi storici, a partire dagli anni Novanta-Duemila, fu quello di Cefalonia, gli oltre 5mila morti della Divisione Acqui.
Marinai e soldati resistettero anche in altre isole, come a Lero (va ricordato che la Regia Marina riuscì a difendere l’intera flotta, pur con la perdita della corazzata Roma, con oltre mille morti).
Altri soldati nei Balcani si aggregarono alle forze partigiane in Jugoslavia o in Albania, arrivando a costituire unità interamente italiane e con richiami all’italianità: Garibaldi, Mameli, Gramsci, rinforzati persino da volontari che s’imbarcarono dalla Puglia per aggregarsi.
Soldati del “battaglione Gramsci”, inquadrato nella resistenza albaneseLa resistenza dei soldati prigionieri nei lager in Germania
Per centinaia di migliaia di soldati catturati (800mila) la deportazione in Germania fu l’anticamera di una resistenza a lungo sottovalutata, poi inserita in pieno nella Resistenza: bastava una firma per uscire dal campo, bastava arruolarsi nella Repubblica di Salò. Eppure i più non firmarono, rimasero nei lager a soffrire indicibili pene, qualificati come “internati militari” anziché come prigionieri di guerra, e quindi privati di ogni tutela.
La resistenza degli Internati Militari Italiani sarà uno dei temi approfonditi al convegno proposto sabato 9 settembre 2023, alle ore 10.30, alla Casa della Resistenza di Verbania, nell’ottantesimo di quella data che già negli anni Settanta veniva da un filone di storiografia identificata come «la vera data dell’antifascismo».
Parlerà della loro scelta di resistere Paolo Caminiti, responsabile nel VCO dell’Anei, Associazione nazionale ex internati.
La guerra partigiana
Lo sbandamento dell’8 settembre, la fuga e la paura furono per molti soldati solo una parentesi prima della scelta di resistere nelle formazioni partigiane, come raccontano ad esempio le pagine di Primavera di Bellezza di Fenoglio.
Altri scelsero autonomamente. Storie come quella di Aldo Aniasi, friulano di 22 anni, divenuto poi comandante della II Divisione Garibaldi “Redi”, in Ossola (e poi sindaco di Milano, negli anni Sessanta).
Al convegno alla Casa della Resistenza la sua figura sarà ricordata dalla figlia Bruna Aniasi, e dalla storica Fiorella Imprenti della Fondazione Aldo Aniasi di Milano e del direttivo nazionale FIAP. Mentre Guglielmo Guidobono Cavalchini, ricorderà la figura di Alessandro Guidobono Cavalchini, partigiano monarchico e cattolico, comandante del battaglione garibaldino “Brunetto”.
Una resistenza di popolo
All’8 settembre molti soldati si salvarono anche per la spontanea solidarietà della popolazione, che fornì abiti per sostiture le divise, nascose i giovani nelle case e nei fienili.
Era il primo atto di quella resistenza passiva dei civili che sostenne poi la lotta partigiana e animò gli scioperi per sabotare la produzione del Reich e chiedere la pace.
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Albi.63 su A Pietro Broggi la borsa di studio della Famiglia Legnanese
Felice su Entro il 2025 Beko chiuderà gli stabilimenti di Comunanza e Siena. A Cassinetta taglierà i frigoriferi: 541 esuberi
malauros su Hanno 15 anni i tre ragazzini denunciati per il rogo all’azienda agricola di Voltorre
elenera su Ritrovato vivo ma ferito il malnatese disperso in Val Grande
elenera su "Non si potrebbe mettere questo cartello in mezzo alla rotonda di largo Flaiano a Varese?"
ccerfo su Don Marco Casale, neo-pastore di Gavirate: insieme è più bello
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.