Caso camici: “Nessun accordo fra Attilio Fontana e il cognato”, i motivi dell’assoluzione
“Nessuna prova“, scrivono i giudici, che Fontana, “fosse stato messo a conoscenza del fatto che Dama spa aveva concluso un contratto di fornitura onerosa“
Non c’è stato nessun accordo fra Attilio Fontana e Andrea Dini, suo cognato «avente ad oggetto le sorti e le modalità della fornitura». I giudici della Corte d’Appello di Milano nella sentenza emessa a luglio motivano così l’assoluzione degli imputati del processo legato al “caso camici” sollevato da un servizio giornalistico andato in onda su Rai Tre e successivamente approfondito da inchieste giudiziarie finite con un nulla di fatto.
Inchieste che legavano Milano, sede della Regione e della sua centrale acquisti, a Varese dove ha sede il maglificio Dama di porprietà della famiglia Dini, finita nell’occhio del ciclone giudiziario.
Dopo la sentenza di primo grado appellata dalla Procura, la decisione dei giudici di secondo grado del 10 luglio scorso viene esplicitata nelle 44 pagine delle motivazioni in questi giorni depositate.
Anche se «si volesse ipotizzare un interessamento di Fontana e quindi un trattamento di favore per l’impresa gestita dal cognato, la regolarità della procedura di scelta del contraente e della conclusione del contratto, elimina ogni residuo dubbio in merito», scrivono i giudici milanesi che hanno confermato i proscioglimenti, con la formula «perché il fatto non sussiste», per Fontana e altri quattro indagati, per la fornitura di camici e altri dispositivi di protezione, all’epoca della prima ondata Covid, fornitura poi trasformata in donazione.
«Nessuna prova», scrivono i giudici, che Fontana, «fosse stato messo a conoscenza del fatto che Dama spa aveva concluso un contratto di fornitura onerosa con Aria spa (e quindi con Regione Lombardia».
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