Le domande dei “No inceneritore” sulle politiche energetiche di Busto Arsizio
In una nota gli oppositori del termovalorizzatore ragionano sulle ultime decisioni prese in tema di partecipate da parte dell'amministrazione di Busto Arsizio: da Neutalia ad Agesp Energia
Il comitato No inceneritore di Busto Arsizio torna a porsi domande sulle politiche dell’amministrazione comunale relative alla gestione dei rifiuti e dell’energia attraverso le società di cui è socia.
Prima di tutto prende atto «con estrema preoccupazione, che dopo mesi e mesi, sull’attuale stato dell’indagine epidemiologica relativo all’impatto sulla salute dei cittadini, dell’ultra-cinquantenario inceneritore di Borsano, non si sa ancora nulla: attesa che dura oramai da quasi 9 mesi, dopo l’impegno del consiglio comunale di Busto Arsizio davanti alla richiesta del consigliere comunale Emanuele Fiore».
La posizione del comitato è nota da anni: «La tutela della salute dei cittadini deve venire prima di ogni business, e la chiusura dell’inceneritore di Vercelli (coevo di quello di Busto) già da 10 anni è lì a ricordarcelo, insieme agli esiti shoccanti proprio dell’indagine epidemiologica fatta per quell’impianto».
Il comitato prosegue criticando la continua immissione di liquidità in Agesp per sostenere il piano industriale di Neutalia: «Dopo tanto tempo di disponibilità sociale, non va certo data preminenza a eventuali benefici economici, peraltro discutibili, se si guardano gli ultimi due bilanci di Neutalia e la continua richiesta di fondi pubblici a sostegno dei conti. Da quando è iniziata la roboante “avventura” di Neutalia, la maggioranza che amministra il comune di Busto Arsizio ha approvato ricapitalizzazioni della sua municipalizzata per quasi 2 milioni di euro. Soldi pubblici, delle tasse di tutti, da destinare proprio all’inceneritore aiutando la municipalizzata Agesp, uno dei soci di Neutalia, ad ottemperare ai faraonici impegni del piano industriale da 100 milioni di euro. Dov’è il beneficio per la collettività?»
I conti del comitato dicono che chiudere e bonificare sarebbe stato meno dispendioso: «4 erano i milioni di euro che una perizia stimava come costo congruo per la bonifica del terreno dell’inceneritore. 4 milioni per restituire il sito alla collettività a tutela e rispetto del sacrificio della gente esposta da decenni alle ricadute. 4 milioni che Busto avrebbe dovuto pagare solo nella sua quota societaria in ACCAM (18%). Bastavano quindi solo 720.000 euro per chiudere, mentre ora siamo ad oltre 2 milioni di euro già impegnati per mantenere aperto l’ineneritore per altri 25 anni come minimo».
L’altra domanda che si pongono è perchè sacrificare Agesp? «Negli ultimi giorni abbiamo visto compiersi l’ennesimo sacrifico in nome dell’inceneritore: la vendita del 70% di Agesp Energia, patrimonio della città e messa in piedi dal sacrificio dei suoi abitanti. Come noi, anche un ex direttore generale di Agesp, tramite una lettera alla Prealpina, si è recentemente domandato, perché l’amministrazione vendere il 70% della municipalizzata a una società che fa esattamente quello che faceva Agesp, cioè vendere calore ed energia quando si sarebbe potuto aumentare le tariffe per compensare le perdite e tenere tutto in casa?»
La risposta che si danno è – a loro modo di vedere – semplice: «Perché servono i soldi, subito e sonanti, per rimanere nella partita dell’inceneritore e già che ci siamo chiudiamo il cerchio con un secondo forno crematorio».
L’ipotesi, per nulla supportata dai dati che – dicono – non ci sono «questa cosa potrebbe far immaginare che le aspettative di “morte” da queste parti siano alte. Forno che si apre, da quello che riportano i giorni, “con l’obiettivo di generare redditività”. Nella 19esima città più inquinata su 1000 in Europa, e come dare torto a amministratori così oggettivamente disinvolti in merito alla vita ed alla salute di tutti tanto da considerare l’inquinamento dell’inceneritore come quello di una sigaretta. Sigarette, note per essere così “salubri” che da anni sono vietate quasi ovunque».
Nella loro lunga nota arrivano ad ipotizzare che «inceneritore e forno crematorio sembrano tasselli complementari in una macabra economia circolare dove più inquinamento e più morti sembrano gli elementi di congiunzione.
Né l’impegno finanziario a carico della collettività nè la fortuna di abitare in una regione, la Lombardia, che ha molta più disponibilità già ora, di inceneritori, rispetto alla produzione locale di rifiuti generici, ci consente di dare priorità sostanziale, morale e sociale, alla salute».
In ultima analisi si chiedono perchè non investire sulla tutela della salute e sulla prevenzione? «Per noi è estremamente difficile, comprendere perché chi, amministrando una città, non agisca con forza, solerzia e determinazione nel pretendere di ottenere al più presto possibile i dati sulle conseguenze sulla salute, dei cittadini che dovrebbe rappresentare. Questo sarebbe un tassello fondamentale per venire in supporto al collasso della sanità pubblica con liste di attese infinite di cui leggiamo tutti i giorni. La salvaguardia e la prevenzione dovrebbero essere pensiero comune nell’interesse di tutti e degli amministratori locali in primis. Vivere in un ambiente sano, riduce i rischi per la salute e riduce la pressione sugli ospedali pubblici al stremo così come le tasche dei contribuenti che non riescono a sostenere la spesa della sanità privata e che, invece, vedono i soldi delle proprie tasse investiti proprio contro la tutela della loro qualità di vita».
Infine l’apperllo: «Più volte abbiamo speso la carta della fiducia rimanendone profondamente delusi. Chiediamo che si cambi registro, nell’interesse comune di tutti noi, ed aspettiamo una risposta, nonostante molto spesso, il nostro diritto come cittadini, di essere ascoltati ed ottenere risposte, è stato volutamente ignorato».
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