Quel referendum del 1946 quando solo i maschi varesini votarono per riaprire il casinò

Fu il primo referendum dell’Italia moderna. Votarono solo i capifamiglia maschi perché la legge elettorale non era stata ancora modificata

Vecchie immagini del Palace e del Kursaal (inserita in galleria)

Il 6 e 7 gennaio 1946, a sette mesi dal 25 aprile, i capifamiglia varesini furono chiamati ad esprimere il loro parere sulla riapertura di una casa da gioco in città con un referendum. Forse fu il primo referendum dell’Italia moderna. Votarono solo i maschi perché la legge che regolava la partecipazione elettorale non era stata ancora modificata. Lo sarà poche settimane dopo, per permettere alle donne di votare al referendum Repubblica o Monarchia.
Si ricorse al referendum perché all’interno della giunta provvisoria, nominata dopo la vittoria delle forze partigiane, i pareri erano discordi. Richieste di riapertura erano pervenute da più investitori privati e anche una parte delle forze al governo della città era interessata alla gestione diretta della casa da gioco. Una parte della giunta riteneva invece “inopportuno” usare il gioco per finanziare il Comune.
A questo punto si ritenne giusto dare la parola al popolo. Così nacque quello che probabilmente è il primo referendum nella storia repubblicana.

VARESE E L’HOTEL KURSAAL
Varese aveva una casa da gioco dal 1921, con sede all’Hotel Kursaal, successivamente chiusa dal regime fascista. La prima giunta socialista della città aveva dato la concessione in cambio di centomila lire annue e dell’utilizzo di un’auto dell’hotel per ragioni di servizio.
Questi soldi erano stati una risorsa importante per la città, attanagliata da un gran numero di problemi derivanti dal primo dopoguerra. La disoccupazione si era acuita con il ritorno dei soldati mobilitati al fronte e con la caduta delle commesse militari. L’Aeronautica Macchi e il Calzaturificio di Varese avevano dovuto licenziare. La concessione della sala costituiva quindi un’utile entrata per fare fronte alle domande di aiuti alle famiglie e agli ex combattenti. La situazione era analoga alla fine del 1945. La giunta aveva stimato proprio in quel mese che per rilanciare la città sarebbero occorsi almeno 250 milioni di lire. Una cifra inimmaginabile per un Comune che aveva entrate per poco più di due milioni.

PAROLA D’ORDINE FARE CASSA
La casa da gioco avrebbe potuto essere di nuovo una delle soluzioni per fare cassa. Data la drammatica situazione delle casse comunali, le spese per il referendum furono coperte dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) cittadino. Contro la riapertura della casa da gioco si schierò molto aggressivamente il mondo cattolico che si raccoglieva attorno al periodico Luce. Con toni apocalittici si stigmatizzava la riapertura, prevedendo la rovina, sia economica che morale, delle famiglie. Accanto al gioco ci sarebbe stato anche un altro divertimento pericoloso come il ballo, la bestia nera della direzione di allora del giornale. Proprio in quei giorni il periodico cattolico aveva iniziato a pubblicare elenchi con i nomi delle donne che erano state fermate dai carabinieri durante i controlli nelle balere, ignorando invece gli uomini, anche loro identificati.

VADE RETRO CASINÒ
Dal 15 dicembre al giorno del voto, il Luce lanciava ad ogni numero i suoi anatemi contro il referendum. Ben altro tono gli altri giornali. La Cronaca Prealpina, allora gestita dal CLN, si limitava a dare le informazioni per il voto. L’Ordine Nuovo, settimanale del Pci, ignorò l’evento. Solo i socialisti sostennero l’iniziativa con un lungo pezzo sul loro settimanale “Il Nuovo Ideale”. Prima che si tenesse il referendum ci fu una svolta nella giunta. Nella seduta del 29 dicembre, otto giorni prima del voto e quindici giorni dopo la convocazione ufficiale dei capifamiglia alle urne, la giunta votò all’unanimità e inviò al Governo una richiesta per l’apertura della casa da gioco. Il conto economico per gli investimenti necessari al rilancio della città aveva verosimilmente vinto le resistenze dei contrari. Probabilmente le due settimane trascorse dalla convocazione del referendum avevano permesso anche di tastare il polso della città. Un risultato equilibrato tra sì e no avrebbe salvato la faccia a tutti. Invece si era capito che non sarebbe stato così. I varesini accorsero in massa al voto. Era il primo voto libero dopo altre vent’anni.

STRAVINSERO I SÌ
Quasi l’80% dei capifamiglia votò e il voto favorevole alla casa da gioco stravinse. Furono infatti 8282 i voti favorevoli e 1878 i contrari. Per il giornale cattolico Luce i cittadini di Varese, dopo essere scampati ai bombardamenti, cadevano vittime del vizio e della lussuria. Nei commenti catastrofici che continuarono per settimane ormai la morale non aveva più posto in città ma solo l’amore per il vizio e il Dio denaro. Alla fine la casa da gioco non fu aperta. Il governo centrale non accolse la domanda e neppure ascoltò il voto dei cittadini. In quelle settimane molti comuni avevano fatto la stessa richiesta. Nella nostra zona Como, Stresa e Intra. Firenze e Padova tra le grandi città. A tutte le richieste fu dato parere negativo.

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Pubblicato il 30 Ottobre 2023
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