Samhain, le origini celtiche di Halloween
Cesarina Briante racconta gli antichi riti celtici passati poi in parte alla tradizione cristiana, per poi confluire nelle moderne modalità derivate dalla tradizione anglosassone
Falò, zucche illuminate e mascheramenti si ritrovano in una serie di celebrazioni dalle origini antiche e che si inseriscono nell’ideale comune che la cultura celtica ha trasmesso ai nostri avi. Di generazione in generazione questi riti sono sopravvissuti al tempo, al progresso e hanno mantenuto, almeno in parte, i loro tratti di netta matrice precristiana.
Nel caso di Halloween il progresso ha snaturato e mutato la tradizione legata a questo momento di “passaggio”, attribuendole caratteristiche consumistiche legate a una forma di divertimento macabro in cui la morte e il senso del sacro, vengono vissuti, almeno all’apparenza, con leggerezza. Una trasformazione che ha mutato le peculiarità e i significati di questa festività che è poi stata restituita all’Europa così come la conosciamo nei tempi attuali. Alcuni studi hanno identificato le origini dell’attuale festa di Halloween nella ricorrenza celtica di Samhain di cui si è già detto molto nell’articolo dell’anno scorso (qui).
Samhain lo possiamo definire come il capodanno celtico. Molti popoli del passato misuravano il tempo in base alle stagioni e ai cicli della vita contadina, e i Celti d’Irlanda non furono da meno: Samhain segnava il periodo della fine dell’estate e l’inizio dell’inverno, il tempo dell’ultimo raccolto prima dell’inizio della stagione fredda, l’occasione in cui si stipavano le provviste che sarebbero state indispensabili per superare l’inverno. Questo il motivo per cui Samhain rappresentava la festa più importante per i celti, il momento del passaggio, fuori dal tempo, la dualità: freddo-caldo, buio-luce. chiaro-scuro, vita-morte, ed è da questo concetto che prende forma il carattere mortuario della celebrazione di Samhain, che si ritrova nella festività di Halloween dei nostri giorni.
La necessità di dedicare un tempo alla morte, agli antenati, alla riflessione e al silenzio, accomuna tutti i popoli di ogni tempo e luogo. Il momento del grande passaggio è stato vissuto da sempre con timore, con sacralità, e i riti, le celebrazioni, le preghiere e i gesti che accompagnano l’ultimo viaggio hanno lo scopo di esorcizzare la paura, di caricare di fede e speranza il senso di dolore e distacco che si associano alla morte.
Per i nostri antichi avi Samhain non occupava lo spazio di una sola notte, come per molte feste solenni, i festeggiamenti si prolungavano per un ciclo che si concludeva attorno al giorno 11 novembre, che la chiesa avrebbe poi dedicato a San Martino.
Le celebrazione non era improntata sulla tristezza né su un’eccessiva serietà. I Celti affrontavano il concetto di morte con serenità, pur temendo gli spiriti dei nemici, non provavano il terrore della morte, dei cimiteri… la morte, seppur dolorosa, considerata come un viaggio che divide fisicamente chi si ama, si riteneva parte di un ciclo vitale. Un’idea che si è mantenuta fino al medioevo quando i cimiteri si integravano in molte strutture pubbliche: i morti spesso venivano seppelliti negli spazi antistanti le chiese, nelle piazze o esposti negli edifici sacri e nei monasteri. Non di rado era d’uso condividere banchetti, canti e danze nei luoghi di sepoltura.
Le usanze “magiche” e le tradizioni legate a questa festività hanno preso forma e sono sopravvissute al tempo, tra quelle più diffuse le lumere, le zucche illuminate, il mascheramento, i piatti tipici e le usanze contadine che, al pari di oracoli, avevano lo scopo di scoprire i misteri del tempo futuro…
Le zucche scavate sono parte di una tradizione ricca di simbologie: erano i bambini, magari assistiti dai nonni, che si occupavano di incidere le zucche dando loro tratti mostruosi, mentre i semi venivano conservati per la semina dell’anno successivo. Un segno di passaggio del tempo, il susseguirsi degli anni in una sequenza perfetta! In alcune località, con la polpa si usava preparare un dolce o un piatto da lasciare in bella vista, magari sul davanzale della finestra o sul tavolo, per “nutrire le anime”. La zucca vuota trovava poi posizione in un luogo adatto per segnare la via agli spiriti. Una zucca per ogni defunto della famiglia, accompagnata, in molti casi, da uno scritto: una lettera o dei pensieri per comunicare con l’anima di un parente. Un fruscio, un oggetto non più al suo posto, qualcosa di misterioso e impalpabile, erano segno che il defunto aveva trovato la strada, che l’anima aveva accettato l’ospitalità. Il cibo, la tavola e i piatti caratteristici sono il riassunto dei simboli e della storia di questo particolare periodo dell’anno. Il pane, la farina e i cereali, erano alla base dell’alimentazione degli antichi. Nel grano si vedeva l’immagine del Dio che nasce dal grembo della Dea Madre, la Terra, per poi morire così da nutrire uomini e bestie: un sacrificio che permette il perpetuarsi dei cicli e delle esistenze.
Un cerchio di farina veniva fatto attorno alle culle, alle abitazioni, così da proteggere gli abitanti della casa e i neonati da ogni influsso negativo. Nel tempo della morte e dell’oscurità, le donne controllavano i letti e le cassapanche ove si conservavano coperte e piumoni, per verificare non ci fossero i segni di qualche malia. Lane aggrovigliate con piume e fili annodati erano prova evidente di un incanto. Di malefici e possessioni, fantasmi, streghe e folletti, se ne parlava la notte di Ognissanti nelle stalle, dove le famiglie che occupavano gli stalli e le cascine, si ritrovavano.
Gli stalli, enormi cortili con abitazioni e fienili, raccoglievano numerose famiglie. Spesso un portone d’ingresso si apriva su una piccola piazzetta interna da cui dipartivano viuzze, sentieri, in un alternarsi di locali, cascine, balconi e scalette, e che spesso “sbucavano” grazie a un altro portone, alla parte opposta del paese. Per risparmiare, la sera, le famiglie si radunavano, nella stalla dove bastava il respiro degli animali e lo stare assieme, per scaldare l’ambiente. La notte del 31 ottobre, prima di andare a letto, ogni famiglia accendeva il camino e ne osservava il fuoco: se le fiamme rimanevano all’interno del camino, a stretto contatto con la pietra focaia, l’anno sarebbe stato benedetto dalla fortuna. La pietra focaia rappresentava il passaggio con il mondo sotterraneo, le fiamme che ardevano lambendo la pietra focaia venivano considerate come una sorta di protezione dalle entità malefiche.
Il mascherarsi ha, da sempre, lo scopo di vincere le paure, di entrare in contatto con le entità misteriose del mondo invisibile. Travestirsi per ingannare il nemico, in questo caso gli spiriti negativi, tornati sulla terra per una vendetta, serviva a esorcizzarne la paura. In questo modo ci si metteva in contatto con la realtà spirituale delle anime dei trapassati ma anche con le forze della natura. Spesso il travestimento era ottenuto da rami d’edera o rampicanti, stracci o semplicemente pelli e tinture. Ogni epoca e luogo ha dato vita a tradizioni. Le leggende si sono sovrapposte mutando gli usi e i costumi e ormai dell’antica festa di Samhain è rimasto ben poco. Il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, l’evolversi della vita contadina, con il conseguente passaggio all’industrializzazione, le colonizzazioni, hanno cambiato le forme e i significati di questa antica celebrazione che vede le sue radici nel cuore dell’Europa.
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