Valerio Bassan: “L’informazione? Tanta e a disposizione di tutti”
L’autore di una delle newsletter italiane più seguite, sul futuro di Internet e l’industria dei media, sarà a Glocal per discutere del calo di fiducia dei lettori nei confronti dei giornali

“Sei sintonizzato su Ellissi, la newsletter che ti aiuta a osservare il mondo della tecnologia e dei media con ottimismo”. Scrive che sta scherzando ma non è del tutto vero: Valerio Bassan è l’autore di una delle newsletter italiane più seguite sul futuro di Internet e l’industria dei media, Ellissi appunto, e le sue analisi trasudano fiducia.(la trovate qui)
Ma Bassan fa tante altre cose: collabora con Il Sole 24 Ore, e ha collaborato con Feltrinelli, Will, Internazionale, Forbes, e dal 2019 è mentor presso la Newmark J-School della City University a New York.
A Glocal verrà a trattare due argomenti centrali che riguardano le “visioni”, tema centrale del festival, e il futuro del giornalismo: come deve cambiare il giornalismo per riconquistare fiducia, lettori e sostenibilità economica (Non ci vogliamo più informare) e il destino, pare piuttosto triste, del Metaverso (Che fine ha fatto il Metaverso nel giornalismo? ).
Qui ci focalizziamo sul primo incontro quello in cui analizzerà, al fianco di altri colleghi e del presidente dell’ordine dei giornalisti della Lombardia Riccardo Sorrentino, la perdita di fiducia dei lettori nei confronti dei media.
Che Valerio sia un ottimista non è solo scritto nella sua newsletter.
«È un tema che mi sta a cuore. Trovare una singola soluzione che risolva il problema è tutt’altro che semplice: l’incontro a Glocal sarà l’occasione per discuterne e ascoltare il punto di vista di quelli che saranno al tavolo con me. Forse sarò un illuso -spiega Bassan – ma cominciamo col dire che non c’è mai stato così tanto giornalismo disponibile per tutti come oggi. Una mole di informazioni, on line e non solo, che non ha precedenti, quindi l’analisi deve partire da qui: non c’è mancanza di interesse nei confronti di quel che accade intorno a noi né, tantomeno, scarseggiano i luoghi in cui informarsi».
Però secondo il Digital News Report 2023 del Reuters Institute for the Study of Journalism, in Italia solo il 34% della popolazione si fida dei media, cos’è successo? Cosa “si è rotto”? «L’analisi è davvero molto complessa. Intanto diciamo che molta responsabilità ce l’hanno i modelli di business. Per molto tempo s’è premiata più la quantità che la qualità. Quella dei click è un sistema di misurazione sbagliato perché giudica l’ampiezza invece della profondità. Il rischio è di favorire le informazioni non verificate. La situazione è migliorata un po’ nei due anni di Covid, quando i giornali sono tornati ad essere punto di riferimento per le persone, ma è durato poco. Ora abbiamo fatto un passo indietro».
«A questo si aggiunge un problema legato alla congiuntura storica -continua Bassan -: viviamo in una crisi permanente, un’emergenza dopo l’altra. Non abbiamo più voglia di negatività, di intristirci e demolarizzarci. Per questo ci rifugiamo nell’informazione più “leggera” o nelle serie tv di Netlitx. Tendiamo ad evitare di affrontare elementi di negatività; abbiamo un’ansia cronica da news che ci spinge via, lontano da ciò che può farci stare male».
In questo “mare magnum” di informazioni, serie o leggere, veicolate dai social, come si riconosce il giornalismo di qualità?
«Non è semplice – risponde Bassan – Per quanto riguarda i giornali digitali ad esempio l’informazione è mediata dagli algoritmi. Gli articoli ci vengono proposti sulla base delle nostre preferenze e ricerche oltre che sul modello di business delle piattaforme, le quali, tra l’altro, ora stanno penalizzando le news perché non riescono a moderare le reazioni che generano. È vero che la rabbia crea engagement, ma la situazione ora è davvero molto delicata».
Quali sono le soluzioni?
«Più che di soluzioni parlerei di contromisure. Occorre innanzitutto ribadire che il giornalismo è un valore fondamentale della nostra società. I social non sono nemici da combattere: innescare un braccio di ferro con le piattaforme non ha senso, è un gioco a perdere, però possiamo eliminare quelle tossine di un modello pubblicitario che alimenta e promuove mostri. E poi diciamolo, non tutti i giornali devono parlare a tutti: scegliamo di avere un rapporto diretto con i lettori, in questo possono venire in aiuto la membership o la subscription.
Per finire serve raccontare “belle esperienze”, occorre inserire nella cultura editoriale l’equilibrio tra le buone notizie e le notizie che raccontano la parte più cruda della vita quotidiana. Insomma dobbiamo pensare a un palinsesto più bilanciato. Ultimo, ma non ultimo, dobbiamo risolvere un problema congiunturale: abbiamo bisogno di un servizio pubblico che informi bene, credibile. E qui c’è molto da lavorare».
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