Duecento anni di storia d’impresa rischiano di trasformarsi in una comoda poltrona

"Vedo giovani che fanno gli impiegati nell’azienda di famiglia" così Mario Canziani, imprenditore e presidente del Gruppo giovani imprenditori di Confapi. Mancanza di identità e assenza di una strategia, che vada oltre la semplice reazione, sono i punti deboli delle pmi del Varesotto

Confapi

Mario Canziani, 41 anni, presidente del Gruppo giovani imprenditori di Confapi Varese, si definisce «uno scienziato». Sicuramente è un imprenditore a cui piace molto studiare per essere protagonista del suo tempo. Seconda generazione nella pmi di famiglia, in meno di dieci anni, cioè da quando ha ricevuto e accettato il testimone dal padre, ha più che raddoppiato il fatturato. La Sapra Elettronica srl oggi fattura 3milioni e 800 mila euro circa con interessanti prospettive di crescita.

Appena affacciatosi alla ribalta della scena imprenditoriale provinciale, durante un convegno a Cassano Magnago – erano gli anni del buio dopo la crisi Lehman Brothers – Canziani, che allora non aveva ancora compiuto 30 anni, si alzò in piedi e disse: «Le aziende piccole come la mia vengono definite “quelle della subfornitura”. Io non mi sento un subfornitore, lavoro nel settore aerospaziale e per me è importante  stabilire delle partnership e partecipare alla stesura dei progetti per portare e ricevere a mia volta valore».

Fare una partnership con colossi del calibro di Leonardo – un tempo Finmeccanica – non è proprio un gioco, ma la Sapra Elettronica srl, nonostante due crisi finanziarie, una pandemia e due guerre, è andata ben oltre l’obiettivo che il giovane Canziani si proponeva agli esordi. 
«La mia era la classica azienda nata negli anni Settanta, fondata da mio padre che lavorava con clienti di prossimità – racconta l’imprenditore – Oggi noi lavoriamo con Stati Uniti e Australia, oltre che con partner europei e in Asia, perché abbiamo cavalcato l’innovazione e lo continuiamo a fare, non fosse altro che ad imporcelo è la continua evoluzione dell’elettronica e del digitale. Oggi ci occupiamo anche di Iot (internet of things, ndr) e machine learning».

Canziani, lei è il presidente del Gruppo giovani imprenditore di Confapi. Avete appena concluso l’assemblea annuale, che cosa è emerso in tema di innovazione?
«Che l’innovazione si declina molto sull’identità. Molte aziende per una questione legata al passato non la comunicano. Questo significa che non sono abituate a pensare strategicamente, a guardare oltre quello che hanno sempre fatto e quindi agiscono per reazione».

Che cosa intende per questione di identità?
«Vuol dire che le nostre pmi hanno un’unica strategia: reagire, perché da sempre abituate a seguire un solo grande cliente. Mentre dovrebbero fermarsi e pensare cosa fare, perché spesso sono aziende che hanno un valore da comunicare e caratteristiche da valorizzare».

Uno studio dell’Università Liuc di Castellanza ha evidenziato in provincia di Varese un calo del fermento imprenditoriale, insomma c’è meno voglia di fare impresa rispetto a un passato molto florido. Lei cosa ne pensa ?
«Il territorio è costituito da un tessuto di pmi abbastanza vecchio come mentalità. Sia ben chiaro, parliamo di aziende che hanno fatto la storia industriale negli anni Settanta, Ottanta e Novanta ma che oggi sono in evidente difficoltà nel rinnovare la spinta di creatività di quegli anni. Durante la nostra assemblea sono usciti aspetti interessanti. Ci sono, ad esempio, aziende piccole che vendono in tutto il mondo e rimangono competitive sui mercati grazie alle loro idee innovative. Sono quelle aziende che al loro interno hanno fatto da tempo un salto culturale. Per molte è ancora un passaggio da iniziare perché pensano che l’innovazione dipenda da un surplus di qualcun altro, o che sia qualcosa di particolare, chessò la fortuna di individuare un prodotto unico. Per avere quella spinta creativa, che è l’unica cosa che garantisce una vita futura all’azienda, devi fare quel salto culturale. Invece le aziende continuano a mantenere un atteggiamento difensivo che non ti permette di vedere le opportunità».

Le imprese hanno perso dunque la visione e con essa anche la fame e la pazienza?
«Quando è fallita, Nokia dominava il mercato mobile. Ebbene il figlio della proprietà all’epoca disse che seppur avessero perso, l’azienda non aveva sbagliato nulla. Duecento anni di storia sono un valore enorme, ma rischiano di essere anche una poltrona comoda. Vedo pochissimi ragazzi che hanno una identità tale per cui possono dirsi imprenditori. Qui ci sono due temi: il primo riguardante il passaggio generazionale, che in teoria dovrebbe favorire il salto culturale, mentre il secondo è legato alla capacità di leadership che va testata sul campo».

Quindi?
«Quindi vedo tanti giovani che fanno i semplici impiegati nell’azienda di famiglia. Questa è la grande differenza con chi ha messo in piedi l’azienda. Il vero passaggio avviene quando un’impresa prende forma da chi la governa. Pensare di scimmiottare quello fatto in passato è un grave errore. L’affermazione “si è sempre fatto così” è l’anticamera della fine. Io e mio padre siamo profondamente diversi e io in azienda ho messo ciò che sono che è qualcosa di unico. Poi bisogna darsi  gli strumenti e soprattutto i tempi per verificare se la visione funziona».

La dimensione aziendale ha un peso nella transizione economica che stiamo vivendo?
«Bisogna essere creativi per affrontarla al meglio».

Mi fa un esempio di creatività relativo alla sua vita da imprenditore?
«Poco tempo fa c’è stata una crisi dei semiconduttori e dei componenti elettronici che ha paralizzato interi settori industriali a cominciare dall’automotive. Erano impossibili da trovare e potevi trovarli solo se avevi una rete di brooker, meglio se cinesi. Per la grossa fabbrica era un problema perché il processo di validazione di un brooker è un’attività complessa, richiede mesi ed è anche troppo oneroso. Invece una piccola azienda come la mia in poco tempo ha risolto il problema attivando proprio una rete di brooker cinesi grazie alla creatività di una mia giovane collaboratrice di 27 anni e di un suo collega di 35. Ora se andassimo a indagare su quale sia l’età media dei responsabili acquisti nelle aziende del Varesotto sono convinto che avrebbero più di 50 anni. E magari, indagando sulle loro caratteristiche, scopriremmo che non conoscono bene l’inglese e non sono in grado di sostenere una conversazione in lingua su una chat. Il resto lo fa la flessibilità delle pmi. Io ai miei collaboratori, anche in questo caso, ho sempre dato delega completa. Il padre educa i figli ma anche i figli devono educare i padri».

(nella foto sopra Mario Canziani il primo da destra consegna l’assegno premio all’azienda vincitrice dell’Innovation tank organizzato dal Gruppo giovani di Confapi a Villa Bossi a Bodio Lomnago lo scorso 12 ottobre 2023)

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 26 Ottobre 2023
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