Vinicio Capossela e il suo spettacolo “urgente” conquistano Varese
Il cantautore ha fatto tappa al teatro di Varese per una data del tour "Con i tasti che abbiamo", accolto dall'affetto del pubblico: "Grazie, non me lo aspettavo"

Il pubblico di Varese ha accolto Vinicio Capossela con un affetto sincero. «Non me lo aspettavo» dice alle fine della sua esibizione al Teatro di Piazza Repubblica con un bicchiere di vino rosè in mano e davanti ad una platea che lo applaude con entusiasmo. D’altronde con le sue “Tredici canzoni urgenti” e non solo, ha ammaliato, emozionato e divertito il pubblico per oltre un’ora e mezzo di spettacolo. (Foto di Raffaele Della Pace).
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Un cantastorie stravagante, un poeta, un giocoliere delle parole che sul palcoscenico porta uno spettacolo “urgente” (quello del tour “Con i tasti che abbiamo”) per le cose che ha da dire, nato dalla necessità di interpretare e dare voce ai problemi più stringenti del momento storico che stiamo vivendo.
Si presenta sul palco con un elmetto da guerra, ma durante lo spettacolo cambierà cappello, in senso fisico e metaforico, più volte. «Se la politica diventa uno spettacolo incivile, lo spettacolo deve diventare politico e civile», dice al pubblico prima di condurlo in un viaggio capace di unire la follia cinquecentesca al reggae and dub degli anni Novanta, il folk alle ballate popolari e a tutte quelle influenze che costituiscono l’universo musicale delle sue canzoni.
Alle sue spalle la scenografica è essenziale e il gioco di luci riscalda l’atmosfera. Al centro del palcoscenico c’è una grande luna sospesa: «Tranquilli, non ci cadrà in testa», dice per poi guardarla, giocarci, usarla come escamotage per trascinare il pubblico tra miti, eroi e canzoni romantiche. Si siede spesso al pianoforte. Ai tasti bianchi e neri suona, tra le altre, “Parla piano”, una delle ballad più romantiche del suo repertorio. «Rivoluzionare noi stessi è la grande opportunità che ci offre l’amore, ma se non colta, può condurre al gioco di specchi fatto di bugie e solitudine».
Canta “Staffette in bicicletta”, accompagnato dalla voce e dal violoncello di Daniela Savoldi, per ricordare quanto, soprattuto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, la memoria è importante. «Bisogna vigilare», dice.
“La cattiva educazione” parla invece della violenza sulle donne. Più spensierata “Cha cha chaf della pozzanghera”, un elogio alle pozzanghere perché «l’età della responsabilità comincia quando inizi a girarci intorno».
E così via, in una carrellata di canzoni che passa delle immortali “Che cos’è l’amor”, “Marajà” e “L’uomo vivo” (con tutto il teatro in piedi a ballare) fino all’omaggio a Jannacci con “Giovanni telegrafista”: «Ho trovato una canzone di Dente che cita “Da Varese a quel paese”, ma ho pensato di proporvi questo brano di Jannacci che è cresciuto artisticamente qui vicino».
Sul palco con lui Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria, Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra, Raffaele Tiseo al violino, Daniela Savoldi al violoncello, Michele Vignali al sassofono lo seguono senza esitazioni. Fino all’ultimissima immagine che Capossela regala al suo pubblico, quella di San Sebastiano trafitto dai tasti di un pianoforte.

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