A processo il “documentario-truffa” sulla ‘ndrangheta nel Varesotto. Tutti si dicono vittime
Per la Dda di Milano erano tutti d'accordo, a partire dal defunto giornalista spagnolo Davide Beriain protagonista della serie Clandestino, ad inscenare l'incontro con un latitante in Valganna e una consegna di 5 kg di coca a Milano

Secondo l’accusa erano tutti d’accordo nel truffare Discovery Channel Italia il famoso giornalista spagnolo David Beriain (ucciso nel 2021 in un agguato in Burkina Faso, rivendicato da gruppi vicini ad Al Quaeda), la sua troupe e Giuseppe Iannini, ex-carabiniere finito in disgrazia a causa di una rivelazione di atti d’indagine a favore dell’ex-deputato vicino al clan camorristico dei casalesi, Nicola Cosentino.
Tutti insieme organizzarono e realizzarono nel 2019 una puntata della serie “Clandestino” sulla ‘ndrangheta al nord Italia ambientandola tra la Valmarchirolo, la Valganna e Milano con alcuni “attori” che si sarebbero prestati ad interpretare un sicario, un latitante e un corriere della droga. Tra questi tre attori c’era anche un noto personaggio di Masciago Primo, impegnato politicamente, che da qualche anno si è intestato una battaglia contro lo spaccio nei boschi. Il danno lamentato da Discovery Channel, che si è costituita parte civile, è di oltre 400 mila euro.
Il processo è in corso al Tribunale di Milano davanti alla giudice Luciana Guadagnino della terza sezione penale. Questa mattina sono stati sentiti due dei tre imputati rimanenti (la posizione di Beriain è stata, chiaramente, archiviata) e cioè un operatore della troupe e un collaboratore del team. Entrambi sono stati interrogati dal loro avvocato e dalla pm della Dda Alessandra Cerreti: «Eravamo convinti che le persone con cui ci aveva messo in contatto Iannini fossero davvero degli appartenenti alla famiglia Papalia e che le armi impugnate fossero vere. Il contatto con Iannini ce l’aveva dato il professor Bertrand Monnet che è un’autorità riconosciuta e ha collaborato con Al Jazeera». I due hanno tenuto la stessa linea difensiva spiegando nel particolare come si sono svolte le fasi preparatorie e quelle successive sul campo.
Nella prossima udienza verrà sentito Iannilli, una figura certamente controversa che, però, il suo legale Giuseppe Tuccillo sostiene sia stato, a sua volta, ingannato dai tre personaggi (tutti della zona tra Luino e le valli circostanti, usciti subito dall’indagine): «Dimostreremo l’estraneità del mio assistito. Lui ha agito in buona fede mentre non si è tenuto conto del ruolo dei tre personaggi che hanno dato parecchi elementi a sostegno della loro caratura criminale che corrispondevano a numerose fonti aperte consultate dalla produzione del programma».
Tra i testi sentiti stamattina, infatti, è comparso anche Vittorio Raso, boss della ‘ndrangheta piemontese oggi collaboratore di giustizia il quale era stato tirato in ballo come parente di uno dei tre finti ‘ndranghetisti. Raso ha confermato di essere stato a capo di un grosso traffico internazionale di stupefacenti ma ha smentito di essere parente di uno dei tre.
Una vicenda, quella trattata in questo processo, che ha trasformato qualcosa di molto serio come l’organizzazione malavitosa tra le più potenti al mondo in una specie di commedia in stile Totò Truffa.
Il documentario sulla ‘ndrangheta al nord è un falso. Indagato per truffa noto giornalista spagnolo
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