Il confronto italo-svizzero a Varese, Giorgetti rilancia il Centro federale del ghiaccio
Confronto a tutto campo tra il consigliere svizzero Norman Gobbi e il ministro dell'economia italiano Giancarlo Giorgetti: due modelli diversi di organizzazione pubblica chiamati ad affrontare gli stessi problemi, ognuno con i suoi punti di forza e di debolezza
I lavoratori frontalieri, il centro federale del ghiaccio, l’esigenza di nuove forme di collaborazione transfrontaliera, le vocazioni territoriali. È stato un confronto a tutto campo su due modelli diversi di organizzazione pubblica ma chiamati ad affrontare i medesimi problemi, ognuno con i suoi punti di forza e di debolezza. Italia e Svizzera, il Ministro dell’Economia della Repubblica Italiana Giancarlo Giorgetti da un lato e il Consigliere di Stato della Repubblica del Canton Ticino Norman Gobbi dall’altro.
Hanno parlato alla giornata di lavori che vede schierati i più alti livelli dei rappresentanti istituzionali locali, dal ministro Giorgetti ai parlamentari e consiglieri regionali, sindaci e rappresentanti di Anci e della confederazione elvetica.
Un evento, promosso per il Comitato Europeo delle Regioni da Matteo Bianchi e da Varesenews nell’ambito di Festival Glocal, e patrocinato da ANCI Lombardia, si è svolto a palazzo Estense a Varese.
A moderare il direttore di Varesenews Marco Giovannelli e il punto di partenza non poteva che essere quello del frontalierato: «Ministro, il grande numero di cittadini della nostra provincia lavorano in Svizzera impone di partire da qui. Oggi il tema che tiene banco è quella della discussione di un prelievo fiscale ai frontalieri da destinare alla sanità, ci fa un quadro della situazione?».
Spiega Giorgetti: «Con la Svizzera abbiamo appena raggiunto un accordo fiscale storico frutto di un negoziato lunghissimo e mediazioni assai complesse. Un accordo che ha trovato un ragionevole punto di compromesso con la definizione di vecchio frontaliere e nuovo frontaliere. Il tema più caldo di cui si discute in questi giorni è il fatto che nella legge di bilancio c’è una proposta per chiedere un contributo ai frontalieri sul fronte sanitario. È una proposta che c’è già stata in passato. Io credo che la questione sia semplice: possiamo discutere delle modalità ma il principio è sacrosanto. Siamo di fronte ad un tema cruciale, c’è una seria questione di reperimento del personale sanitario sulle fasce di confine. Abbiamo la necessità di affrontare questa che è un’emergenza, il lavoro nelle zone di confine va reso più attrattivo per trattenere la forza lavoro. Io credo che questo principio sia giusto e circa l’entità e la modalità del prelievo fiscale ne dobbiamo discutere, verrà fatto in sede regionale che ne ha competenza».
Proprio il tema del frontalierato e della sanità ha stimolato la risposta di Norman Gobbi: «Io credo sempre è partendo dal basso che si risolvono i problemi. La risoluzione dell’accordo fiscale è stata chiusa così. Dobbiamo parlarci altrimenti i problemi non si risolvono. Oggi il tema del personale sanitario è un tema che ha superato tutti i confini. Non solo il Canton Ticino. Si attirano manodopera classificata da ovunque. Non accade solo nella regione insubrica ma è un tema internazionale, è un problema globale perché se non si trova personale vanno ridotti i servizi».
«Sentendo parlare Gobbi mi sono reso conto di quanto siano comuni le problematiche sui territori – ha proseguito il ministro Giorgetti -. Abbiamo parlato di sanità ma ci sono tante figure professionali che è diventato impossibile reperire. È una situazione molto difficile che parte anche dal bisogno di trovare nuove vocazioni. Il nostro territorio ha vissuto decenni di splendore industriale con una vocazione radicata nella provincia. Adesso la prima vocazione è lo sbocco sull’economia svizzera. Io credo che una vocazione non sia un atto che si definisce burocraticamente in un ufficio ma bisognosa di impegno e lavoro. Il tema della vocazione turistica legata allo sport è qualcosa su cui dobbiamo ragionare perché è un grande potenziale. È un tema che è stato coltivato da anni, pensiamo ad esempio al canottaggio e alle tante attività organizzate».
Il Centro federale del ghiaccio
Proprio il tema della vocazione sportiva territoriale ha portato nel dibattito la questione del centro federale del ghiaccio e la possibilità che possa essere costruito a Varese, «ministro la sua posizione è che la scelta debba essere quella di Varese?».
«Dirò questo – ha risposto Giorgetti -: se penso alla realtà di Como penso ad altre cose rispetto al centro federale del ghiaccio. Se penso alla concorrenza di Milano penso che abbia un aspetto concorrenziale serio perché la metropoli affascina.Però, se chi decide dove portare il ghiaccio vuole una madre e un padre lo trova qui a Varese. Se vuoi essere uno dei tanti vai da un’altra parte, se vuoi essere coccolato vieni qui a Varese dove il ghiaccio è tradizione e la vocazione sportiva territoriale affermata».
Mobilità e programmazione pubblica
«La svizzera ha un approccio decisionale che garantisce la capacità di una programmazione nettamente più efficiente rispetto all’Italia. Prova ne è la programmazione che riguarda la mobilità. Quando lavoro c’è ancora da fare?» ha chiesto direttore Giovannelli.
Norman Gobbi: «Anche noi abbiamo i nostri problemi e secondo me sono soprattutto problemi che riguardano una frattura tra i territori montani e gli ambiti urbani ma è evidente che riusciamo ad avere una programmazione diversa. Per raggiungere gli obiettivi anche in passato qui nel territorio italiano non abbiamo esitato ad investire, penso alla ferrovia Stabio-Arcisate o adesso nel territorio del Luinese. Lo facciamo perché il miglioramento della viabilità di persone e merci contribuisce a migliorare la vivibilità dei nostri territori. Il Canton Ticino ha una popolazione stabile ma dobbiamo tenere conto dell’insistenza dei lavoratori frontalieri e del crescente turismo, è evidente che ci sia molto lavoro ancora da fare e io credo che ci sia un forte bisogno di collaborazione transfrontaliera, soprattutto in virtù dell’opportunità che l’Italia sta avendo con il PNRR. Ne abbiamo parlato con Giancarlo Giorgetti e crediamo che se si riuscisse a potenziare il nodo sud si farebbe un servizio a tutto il nodo prealpino, tra Lugano e Milano».
Ha risposto Giorgetti: «Dal punto di vista della programmazione il nostro Paese sconta diversi tipi di difficoltà, a partire dall’aspetto finanziario di finanziamento delle opere. Apro una parentesi: se le regole che ci siamo messi a livello europeo penalizzano gli investimenti e li considerano una spesa da limitare, diventa molto difficile realizzare le opere ferroviarie e stradali e competere a livello globale laddove altri paesi possono usare risorse pubbliche e private per la realizzazioni. Quando si muove la Svizzera su questi fronti parte con l’avanzo del bilancio federale, noi partiamo da una montagna di debiti. Il secondo problema è l’instabilità politica. Ognuno che arriva dà la colpa a quelli che lo hanno preceduto. Il tema è che se non hai una struttura forte burocratica che mantenga un quadro programmatorio poi la tua capacità di realizzare opere si perde. Bisogna scegliere le cose su cui puntare e lavorare senza perdersi in mille rivoli. Io penso che questo è lo sforzo che il PNRR ha costretto a fare in una situazione eccezionale. Si è venuta a creare una disponibilità incredibile di risorse che prima non c’erano. Bisognava programmare e realizzare in pochi mesi».
Il ruolo delle comunità
«Oggi sempre più spesso manca un ruolo della comunità, talvolta non si trovano neanche i candidati negli enti locali – ha spiegato il ministro -i. Se manca la comunità manca l’energia. E questa energia viene dal basso. O siamo capaci di ricostruire questo tipo di spinta oppure diventa un grande problema. Così è nell’Unione Europea, io vedo in questo momento una pericolosissima involuzione burocratica. Siamo in una bolla che è incapace di dare risposta a problemi nuovi che si presentano continuamente. Se non riusciamo in qualche modo a ricreare quell’energia diventa difficile affrontare le nuove sfide. Penso a quella della denatalità e demografia. Quando tra vent’anni saremo una società vecchia chi è che ci curerà e assisterà? Chi fa fronte a questa emergenza? Già oggi i nostri enti sono sommersi dalla situazione di affidamento minori e anziani. Non trovano più la rete sociale. Queste problematiche si risolvono solo se ritroviamo uno spirito di comunità. Altrimenti non ci sono finanziamenti o interventi pubblici che tengano».
La diretta dell’incontro
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