Per raccontare il cambiamento climatico servono competenza, conoscenza ma anche partecipazione
Parlare di "climate change" è di moda ma per una narrazione seria e costruttiva occorre andare in profondità con competenza e capacità di leggere le connessioni
![Glocal 22](https://www.varesenews.it/photogallery_new/images/2023/11/glocal-22-1539746.610x431.jpg)
Parlare di ambiente richiede competenze, conoscenze ma anche etica e partecipazione. In un momento in cui il “climate change” è spesso trend topic e gli eventi sollecitano urgenti prese di posizione, mantenere la barra dritta nel racconto che approfondisce situazioni o storie collegate ai temi ambientali non è semplice.
I giornalisti hanno il compito di aiutare i lettori a interpretare la complessità, accompagnarli nella ricostruzione di condizioni pregresse dove interessi privati o economici intervengono modificando lo sviluppo. L’insegnamento che ci si porta dietro dal panel di Global : “Indagare la crisi climatica: strumenti di inchiesta ambientale per una visione globale” è che il tema “ambiente” richiede preparazione, studio e capacità di interpretare la complessità. Così si prende posizione e si supera la classica posizione di neutralità del cronista, si contribuisce a formare una coscienza pubblica più qualificata.
A introdurre il panel Michele Mancino, vicedirettore di Varesenews, che ha parlato della nuova narrazione giornalistica sul “climate change”, spesso con dialettiche polarizzate su posizioni distinte. È un tema che obbliga i giornalisti a scendere nel dettaglio affrontando tematiche con competenze nuove, superando vecchi modelli di contrapposizione, tipica del sistema, individuando le aree grigie, lasciate appositamente dal legislatore per non prendere posizione, lavorando per creare una coscienza generale più qualificata.
Per fare un buon servizio, dunque, occorrono informazioni e approfondimenti, come ha spiegato Giulio Rubino, co-fondatore di Irpi, un centro di giornalismo investigativo che ha sede in Italia e che fa parte della Global Investigative Journalism Network e di OCCRP Network. Il giornalista ha messo in guardia soprattutto dal lavoro di lobby sotterraneo, come quello che in Unione Europea ha portato alla definizione tassonomica, di ciò che è green, più restrittivo rispetto al passato nonostante la maggior sensibilità popolare e le alte ambizioni di partenza.
Gianluca Liva, giornalista scientifico e uno dei fondatori di RADAR Magazine, collettivo di fotogiornalismo scientifico, ambientale e investigativo ha sottolineato il tema della complessità. Per narrare situazioni particolari occorre utilizzare un registro narrativo divulgativo che riesca a incontrare l’interesse e la comprensione del pubblico. Ma solo la preparazione del singolo giornalista può consentire la semplificazione di temi difficili.
Daniela Sala, fotografa e freelance, ha raccontato del lavoro fatto in Iraq, Siria, Giordania, Libano, Gaza, occupandosi di temi legati alla crisi climatica, migrazione, tratta e sfruttamento lavorativo: « Spesso si parla degli effetti slegati da responsabilità, senza ricostruire la filiera, di solito ben precise, e con responsabilità specifiche. Ben venga l’attenzione alla crisi climatica ma solo approfondimenti qualificati permettono di collegare i fenomeni articolati».
A livello locale, Paolo Mazzucchelli, presidente di Alfa srl, ha sottolineato la necessità di un’informazione chiara e completa per coinvolgere la collettività: « Spesso riceviamo segnalazione dagli utenti. Noi invitiamo la persona e verificare di persona lo stato dell’arte. Negli incontri, alle accuse di schiume in torrenti o specchi d’acqua noi facciamo notare che l’acqua delle docce, delle lavatrici o lavastoviglie finiscono nel depuratore e gli sversamenti sono possibili. Spesso l’inquinamento è frutto dal nostro comportamento. Ogni giorno, nel depuratore si accumula un milione di mozziconi di sigaretta ed è frutto di un atteggiamento superficiale di chi getta a terra il mozzicone che, con le piogge, viene veicolato nei tombini».
Parlare, informare ma soprattutto far comprendere sono alla base di un modo di fare giornalismo di opinione. Da qui la necessità di un tempo di realizzazione che risponda a esigenze di approfondimento e non velocità: « Io preferisco farmi leggere una volta alla settimana e non ogni giorno – ha raccontato Giulio Rubino– Oggi la narrazione ha creato un’ansia sociale tra quanti hanno più di 30 anni».
Serve una visione d’insieme e di lungo periodo. E soprattutto servono fondi, tempo e collaborazioni transfrontaliere. Gli strumenti però ci sono.
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