Esce il libro del professor Paolo Musso “Ucciderò Dio venerdì”
Arriverà in libreria l'ultima fatica letteraria del docente di Filosofia Teoretica e del Corso Scienza&Fantascienza all'Università dell'Insubria. Un giallo avvincente tra scienza, cosmologia e teologia al CERN di Ginevra
Il titolo del suo ultimo libro, “Ucciderò Dio venerdì”, è certamente un titolo ad effetto. Può in sintesi spiegarci di di cosa parla il libro e il nesso con il titolo?
È la storia di uno scienziato, Stephen Perkins (ispirato in parte a Stephen Hawking), che, inizialmente ateo, grazie all’amicizia con l’astronomo gesuita Joseph Pintormagno arriva ad ammettere che Dio potrebbe esistere. Ma ciò in realtà peggiora le cose, perché Perkins si convince che, se Dio esiste, allora non sta facendo bene il suo mestiere. Matura quindi la decisione, apparentemente folle, di ucciderlo e prendere il suo posto; da qui il titolo del libro. Ma un giorno i suoi amici lo trovano svenuto nel tunnel di LHC e, quando Perkins si riprende, sostiene di essere riuscito ad attraversare la singolarità iniziale del Big Bang, giungendo al cospetto di Dio, sostiene addirittura di averlo sfidato a duello con la pistola, sfida che Dio ha accettato, promettendogli che gli darà una possibilità reale di ucciderlo.
All’inizio gli amici pensano che Perkins abbia avuto un’allucinazione, ma poi, quando guardano i filmati delle telecamere di sicurezza in cui lo si vede sparire e riapparire da quella che sembra proprio una distorsione spazio-temporale, non sanno più cosa pensare: alcuni restano scettici, altri iniziano a preoccuparsi seriamente. E qui emerge la parte più divertente e anche più interessante del libro, cioè l’innaturale alleanza tra il genio della fisica Murray Goodman, ateo, arrogante, grossolano, volgare e maschilista, e l’esperto di sistemi complessi Guy Leclerc, cattolico, conservatore, perbenista e un po’ razionalista, molto apprezzato negli ambienti vaticani per i suoi libri in difesa della compatibilità tra scienza e fede, ma anche frustrato per le continue sconfitte dialettiche che subisce regolarmente nelle discussioni con Goodman. I due si odiano, non solo per le opposte visioni del mondo, ma anche a livello personale; concordano solo nel ritenere che l’eventualità che Perkins possa uccidere Dio, per quanto folle possa sembrare, è troppo grave. Decidono quindi di rapirlo fino a sabato, in modo da eliminare ogni possibile rischio. Perkins, però, riuscirà a scappare e si dirigerà al suo appuntamento con Dio. Non vi dico, ovviamente, come va a finire, lascio a voi l’opportunità di scoprirlo leggendo il libro. Nella narrazione succederanno molte altre cose sorprendenti e soprattutto resterà aperta la domanda, che verrà risolta solo alla fine, se l’esperienza avuta da Perkins nel tunnel di LHC sia stata o no reale.
C’è un autore che l’ha ispirata in modo particolare?
Sì, ma non è un autore di fantascienza: è Gilbert Keith Chesterton. In effetti, neanche il libro si può definire di fantascienza nel senso classico del termine. Io amo dire che si tratta di un giallo alla Padre Brown “in salsa fantascientifica”. Dal punto di vista del linguaggio e dell’organizzazione del racconto, invece, il mio modello è il Jurassic Park di Michael Crichton, l’unico libro altrui che vorrei avere scritto io.
Come è nato il libro?
Non lo so. Ed è strano, perché mi ricordo esattamente come sono nate tutte le altre cose che ho scritto. Di sicuro è stato dopo l’inaugurazione di LHC, che ha un ruolo determinante nel racconto e che ho visitato più volte grazie all’amicizia con Lucio Rossi, autore della prefazione al romanzo. E di sicuro un ruolo chiave l’ha avuto un congresso del 2015, che mi ha permesso di stare al CERN per tre giorni, lasciandomi un ricordo indelebile. Il romanzo vero e proprio è nato allora, ma le idee chiave intorno a cui il libro si è sviluppato c’erano già tutte da parecchio tempo.
Quali sono?
Anzitutto l’idea di uccidere Dio, che, per quanto possa sembrare strana, in realtà è presente in tutti noi. Tutti, in fondo, ogni volta che ci lamentiamo per come vanno le cose nella nostra vita e nel mondo stiamo implicitamente affermando che “Dio non sa fare il suo mestiere” e che noi lo faremmo meglio di lui, il che ha come logica conseguenza che sarebbe meglio per tutti che lo togliessimo di mezzo e prendessimo il suo posto. Ed è anche quello che facciamo in pratica molte volte, pur senza arrivare ad ucciderlo, ma comportandoci di fatto come se non esistesse. In questo senso, come dice a un certo punto Padre Joseph, Perkins non è poi tanto diverso da noi: è solo più coerente. La seconda idea è quella del rapporto tra fede e ragione, in particolare l’idea molto chestertoniana che, contrariamente a ciò che dicono gli anticlericali, i dogmi cristiani non soffocano affatto la ragione, ma piuttosto la liberano, perché le danno alcuni punti fermi su cui appoggiarsi, in modo da non affondare nelle sabbie mobili del dubbio universale (come sta accadendo oggi), permettendole di indagare liberamente tutto il resto. Non a caso, a scoprire la verità sarà proprio Joseph, il quale, essendo l’unico a non preoccuparsi della sfida di Perkins, perché si fida di Dio, è l’unico che riesce a notare un fatto decisivo, che, per quanto ovvio (anzi, proprio perché è ovvio), agli altri invece sfugge. All’inverso, come diceva ancora Chesterton, “il dramma di chi non crede in Dio non è che non crede a nulla, ma che crede a tutto”. È per questo che i più preoccupati che Perkins possa davvero uccidere Dio sono proprio Goodman, che pure non dovrebbe, essendo ateo, e Leclerc, che è cattolico, ma in un modo ideologico che non gli permette di fidarsi realmente di Dio. In effetti, i due (anzi, i tre, perché si alleano anche col giapponese Nagatomo) affermano di voler difendere Dio, ma in realtà lo fanno secondo il loro progetto e non secondo quello di Dio. Alla fine, gli unici che si fidano realmente di Dio sono Joseph e, paradossalmente, proprio Perkins, che odia Dio al punto da volerlo uccidere, ma al tempo stesso riconosce che proprio Dio è l’unico che ha preso sul serio quella idea che era diventata il centro della sua vita, mentre anche i suoi migliori amici lo trattavano da pazzo.
E qui c’è l’ultima idea, che mi è venuta invece da Don Giussani; cioè che solo prendendo sul serio ciò che realmente desideriamo e andandoci al fondo, anche quando può apparire folle e perfino malvagio, possiamo incontrare Dio, perché Dio è il fondo di tutte le cose. Se invece restiamo alla superficie, il nostro rapporto con lui non sarà mai reale, ma solo ideologico. E infatti Perkins alla fine arriverà ad amare Dio non “nonostante” abbia cercato di ucciderlo, ma proprio perché ha cercato di ucciderlo: provandoci sul serio, infatti, capirà che non era ciò che realmente voleva.
Perché ci ha messo tanto a scrivere il libro?
Perché della storia sono stato sicuro appena mi è venuta in mente, ma temevo di non saper creare dei personaggi interessanti, senza i quali neanche la più geniale delle trame può funzionare. Finché un giorno mi sono reso conto che in realtà non dovevo inventare nulla: io ho conosciuto moltissimi scienziati e anche parecchi teologi, così non ho fatto altro che prendere i più interessanti e “mescolarli” un po’ per creare i miei personaggi. E ha funzionato: non solo sono credibili, ma sono anche molto divertenti e questo ne fa uno dei punti di forza del libro.
Il libro, quindi, è anche divertente?
Molto. O almeno io mi sono divertito molto a scriverlo e anche a rileggerlo, il che in genere è un buon segno. Del resto, anche Lucio Rossi si è divertito moltissimo quando mi ha accompagnato in giro per il CERN a ripercorrere tutti i movimenti dei personaggi. Sono convinto che si divertiranno molto anche i lettori.
Ci può fare qualche esempio?
Quello che trovo in assoluto più divertente è il personaggio di Goodman e il suo rapporto con Leclerc. Molto esilarante è anche il dialogo tra Leclerc e il suo avvocato dopo che, per dare retta a Goodman che si è messo nei guai; nonché il dialogo tra il gruppo dei protagonisti e Perkins ubriaco dopo che l’hanno appena tirato fuori dal tunnel di LHC e stanno cercando di capire cosa sia successo. Può sembrare una cosa banale, ma ho lavorato moltissimo per renderlo realistico, cercando anche di dare la sensazione del progressivo miglioramento della sua lucidità (dovuto a un overdose di caffè), che comunque non recupera mai del tutto, mescolata alla apparentemente sconclusionata descrizione del suo colloquio con Dio. Mi sono divertito molto anche a inserire in brevi “camei” molti miei amici e addirittura me stesso, presentati come relatori al congresso del CERN, anche se l’unica persona reale che ha un vero ruolo nel racconto, benché di secondo piano, è Lucio Rossi: glielo dovevo!
Il realismo quasi maniacale è l’altra caratteristica del libro
Sì, soprattutto per quanto riguarda l’ambientazione. Molti racconti e film sono stati ambientati al CERN, ma quasi tutti ne hanno dato un’immagine distorta. Ci tenevo molto a farlo conoscere ai lettori così com’è davvero, perché è un luogo straordinariamente affascinante, e, anche grazie al fondamentale aiuto di Lucio, credo di esserci riuscito. Per mantenermi fedele a questo proposito, a causa della lunga gestazione del libro ho anche dovuto riscrivere diverse pagine per includere gli edifici del nuovo Science Gateway, tra cui il Marchionne Auditorium, che sono stati inaugurati proprio questo 7 ottobre, dei quali quando ho scritto il testo originale esisteva solo un vago progetto. Ma anche per quanto riguarda il racconto ho cercato il più possibile di basarmi sulla scienza reale. Anche quando ho dovuto introdurre per forza un elemento di fantasia, mi sono basato su una teoria, quella della singolarità frattale, che esiste realmente, benché finora non abbia nessuna prova a suo favore e a mio parere sia sbagliata: però esiste e io mi sono limitato a darne una particolare versione che fosse funzionale al racconto.
Lei, quindi, preferisce la fantascienza realistica?
Non necessariamente. Ci sono grandi opere di fantascienza, che anch’io adoro, dove di realistico c’è poco o nulla. Del resto, scrivere un racconto di fantascienza realistico che non sia mortalmente noioso è veramente difficile: questa volta credo d’esserci riuscito, aspetto il parere dei lettori. D’altronde, non dobbiamo mai dimenticare che la fantascienza è innanzitutto un genere narrativo e la sua funzione principale è quella di intrattenerci e divertirci: se poi riesce anche a farci pensare (e spesso lo fa), tanto meglio, ma non è obbligatorio. Quello che davvero non sopporto, però, perché è profondamente diseducativo, è quando si confondono le idee ai lettori, spacciando per vere teorie scientifiche inventate o, peggio ancora, realmente esistenti, ma interpretate scorrettamente. Per questo alla fine del racconto ho voluto aggiungere alcune note in cui spiego cosa è vero e cosa è inventato.
Ha detto “se continuerà”. Ha già altre idee?
Sì, anzi, ho già alcuni racconti praticamente completi, anche se si tratta di storie molto più brevi. Uno, in cui credo molto, è una fiaba di Natale sui dinosauri, che spero di poter pubblicare per l’anno prossimo. Poi ho anche delle idee per racconti molto più lunghi, delle vere e proprie saghe di (almeno) tre libri ciascuna, che in parte ho già iniziato a scrivere. Non so però se riuscirò a finirli, non solo per la lunghezza, ma anche perché mi mancano ancora le idee giuste per alcuni passaggi chiave. Comunque, questo racconto era quello a cui tenevo di più in assoluto e sono strafelice di essere finalmente riuscito a pubblicarlo. Ora speriamo che funzioni, poi per il resto si vedrà…
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