La grande sfida della Fim Cisl dei Laghi: essere rigenerativi per affrontare le transizioni green e digitale
I metalmeccanici della Cisl hanno dato vita a un consiglio generale vivacissimo ribadendo la loro identità e autonomia. "Siamo un sindacato di prossimità e di comunità che ha una forte vocazione popolare"
Futuro, identità e militanza. È su questi tre concetti che è ruotato l’intero consiglio generale della Fim Cisl dei Laghi che si è tenuto a Como venerdì scorso. Al tavolo dei relatori quattro “padri della patria”: Gianni Italia, ex segretario generale nazionale, Cosmano Spagnolo e Nicola Alberta, ex segretari nazionali, Carlo Spreafico, ex segretario generale della Lombardia, e da remoto Mirko Dolzadelli, attuale segretario generale Fim Lombardia.
L’intento del segretario generale della Fim Cisl dei laghi, Gennaro Aloisio, non era certo quello di fare un amarcord, bensì riportare dal passato esperienze utili alla lettura del presente e alla visione del prossimo futuro. Lo stesso Aloisio, leggendo in apertura dei lavori “lettera a un operaio“, libro datato 1983, ha voluto ribadire l’attualità di alcuni temi del recente passato, a cominciare dall’impatto dell’inflazione, quando è fuori controllo, sul potere d’acquisto dei salari.
E allora come non ricordare il “Patto di san Valentino” del 1984 e il referendum sulla scala mobile, meccanismo per recuperare l’inflazione che all’inizio degli anni Ottanta era molto elevata. «La scala mobile era stata introdotta negli anni ’50 e di fatto anticipava l’inflazione – ha raccontato Gianni Italia – Però si caratterizzava per una crescita dei salari più alta rispetto alla produttività del Paese. Allora si avviò una trattativa molto difficile che proseguì per molti mesi e si concretizzò in una proposta che divise i sindacati, ovvero depotenziare gli scatti di contingenza. La Cisl dell’allora segretario Carniti realizzò un’iniziativa con i lavoratori dell’industria, una scelta difficile che determinò successivamente un ripensamento della Cgil».
L’ITALIA E LE RISTRUTTURAZIONI
L’inflazione è uno dei fenomeni che sta caratterizzando il periodo post-pandemico. I salari perdono potere d’acquisto mettendo in difficoltà i lavoratori e le loro famiglie. Nelle epoche di transizione alcuni effetti dell’economia si acuiscono. Cosmano Spagnolo, nella segreteria nazionale della Fim dal 1985 al 2002, di momenti complicati ne ha vissuti almeno un paio: il terrorismo che caratterizzò gli anni Settanta e la sconfitta del sindacato in Fiat con la marcia silenziosa a Torino nel 1980 dei quarantamila quadri dell’azienda automobilistica. «Erano anni complicati – ha ricordato Spagnolo – e il sindacato oggettivamente non è che aveva capito proprio tutto. Quando negli anni Ottanta lavoravo in fabbrica, in catena di montaggio a Pomigliano D’Arco, si pensava che se si vendevano poche automobili, era per colpa dell’azienda. Dieci anni dopo abbiamo dovuto affrontare pesanti ristrutturazioni nella siderurgia e nell’industria automobilistica con decine di migliaia di tagli all’occupazione. Gestire quella fase fu difficile, ma l’affrontammo con senso di responsabilità sia verso le persone che verso il Paese. Noi siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto ma per governare quello che ci aspetta occorre avere chiaro cosa è successo prima».
LA FIM UNA VERA FRONTIERA
La storia della Fim, a cominciare dalla sua nascita, non è mai stata una storia tranquilla. Le grandi battaglie del sindacato nascono proprio dai metalmeccanici. «Era la frontiera dove si scontravano le due culture più presenti nel mondo sindacale – ha detto Carlo Spreafico, ex segretario generale regionale -, quella social-comunista, fortemente orientata allo scontro, e quella di matrice cattolico-popolare, alla Don Milani tanto per intenderci. La nostra storia arriva da quest’ultima. Le battaglie per affermare la contrattazione articolata provocarono uno sconquasso negli anni Sessanta perché andava contro l’idea che il sindacato era forte se faceva grandi contratti nazionali e non spezzettava la sua azione contrattuale nelle aziende. Con il patto di San Valentino il sindacato ha preteso e ottenuto di essere una forza talmente rappresentativa del Paese, da poter discutere con i governi a prescindere dal loro colore politico».
SENZA RAPPRESENTANZA NON C’È SINDACATO
La rappresentanza è un perno fondamentale del sistema delle relazioni sindacali in Italia. Risale al 1993 l’accordo interconfederale sulle rappresentanze, sulle rsu e sull’assetto della contrattazione. «Ricordo l’assemblea all’Alfa Romeo di Arese alla fine del 1993 per il rinnovo del consiglio di fabbrica – ha raccontato l’ex segretario nazionale Nicola Alberta — In quella fase i Cobas hanno fatto causa ex articolo 28 per attività antisindacale alla Fim, alla Fiom e alla Uilm di Milano. Ci siamo così ritrovati davanti al giudice a difenderci dall’accusa di non voler fare il rinnovo del consiglio di fabbrica. Quando siamo andati nelle fabbriche a spiegare l’accordo del 1993 ci siamo presi una marea di fischi. La Fim quella battaglia l’ha combattuta fino in fondo e se parliamo di rappresentanza sindacale quell’accordo è un passaggio importante, consolidato poi nel 2014 con il testo unico. Ci siamo dati delle regole che permettono di gestire meglio le conflittualità, mantenendo l’identità delle singole organizzazioni. Credo che il sindacato abbia il dovere di operare sempre per un salto di qualità nei rapporti interni».
AVERE UNA PROSPETTIVA
I tanti interventi dei delegati intervenuti al consiglio generale di Como hanno fatto emergere nel sindacato in generale e nella Fim in particolare l’esigenza di rinnovare un patto tra generazioni e mantenere un rapporto dialettico con il confederale nel rispetto della propria autonomia.
Quando si è di fronte a persone che hanno fatto la storia è difficile trovare le parole adatte. Mirko Dolzadelli, attuale segretario di Fim Cisl Lombardia, per le sue conclusioni si è lasciato felicemente ispirare da Franco Battiato e dalla sua “Prospettiva Nevski”: “E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Una frase che ben rappresenta la fatica di chi è abituato a ricercare il senso della sua azione, provando ad andare oltre il contesto e la quotidianità. «La Fim ha sempre avuto dei grandi dirigenti – ha concluso Dolzadelli – persone con una forte connessione con la realtà e con la capacità di costruire solide alleanze dentro il mondo intellettuale. Ma soprattutto di avere avuto migliaia di portatori d’acqua e di idee che hanno reso grande la Fim Cisl: donne e uomini liberi che si schierano dentro gli organismi e cercano con senso critico di portare avanti una linea di forte coerenza con il passato. Anche nella giornata di oggi la Fim ha dimostrato di avere una forte identità che porta con fierezza e una grande empatia perché noi siamo un sindacato di prossimità e di comunità che ha una forte vocazione popolare e non populista. Noi siamo rigenerativi nel senso che sentiamo la necessità di rinnovare il patto con i nostri associati sfidando l’inverno demografico che caratterizza l’Italia. Infine, per avere una prospettiva bisogna affrontare le grandi transizioni, da quella digitale e quella green. Dobbiamo partire da un concetto che può sembrare una blasfemia per un sindacalista e cioè che noi siamo tutti diversi, inserendolo però in una visione collettiva. È uno sforzo enorme che va fatto perché è questo il cambiamento a cui tutti siamo chiamati».
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