Le banche centrali hanno vinto la battaglia contro l’inflazione e i risparmiatori italiani quella contro il panico
Secondo l'indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani condotta da Intesa Sanpaolo e Centro Studi Einaudi, il picco della restrizione monetaria è chiaramente terminato ed è atteso un tasso medio di inflazione al 2%

«Le famiglie italiane non hanno venduto precipitosamente le loro attività mobiliari e non si sono fatte prendere dal panico. Questo è un elemento positivo in termini di maturità finanziaria delle famiglie, pur in un quadro di bassa alfabetizzazione finanziaria». A rivelarlo è l’indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani condotta da Intesa Sanpaolo e Centro Studi Einaudi.
INFLAZIONE GRANDE PROTAGONISTA
È l’inflazione, con le sue ripercussioni sulle scelte in materia di risparmi, consumi e investimenti, la grande protagonista dell’edizione 2023 dell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani. La sua accelerazione è stata rapida e inattesa: i valori raggiunti nell’ultimo trimestre 2022, superiori al 12 per cento, non si vedevano dai primi anni Ottanta.
La forte reazione delle banche centrali – unita alla stabilizzazione dei prezzi delle materie prime agricole, industriali e, soprattutto, energetiche – ha consentito un progressivo raffreddamento della dinamica inflazionistica. Dopo l’accelerazione del 2022, a partire dalla primavera la crescita dei prezzi ha iniziato a rallentare tanto negli Stati Uniti che nell’area dell’euro, mantenendosi comunque al di sopra dei livelli che avevano caratterizzato i decenni precedenti.
LE BANCHE CENTRALI HANNO VINTO LA LORO BATTAGLIA
D’altronde, il ciclo restrittivo di politica monetaria ha visto salire di ben 5 punti percentuali i tassi ufficiali negli Stati Uniti e di 4 punti quelli dell’Eurozona: il contenimento della domanda interna per beni di consumo e di investimento era un obiettivo ben preciso e dichiarato delle autorità monetarie. Ora il punto centrale è focalizzarsi sulla dinamica di medio termine dell’inflazione e sull’inversione del ciclo di politica monetaria. Le banche centrali hanno vinto la loro battaglia nella lotta all’inflazione. Hanno influenzato la componente domestica dell’inflazione. Hanno evitato second round effect sulla diffusione dell’inflazione e il contenimento della domanda ha calmierato i prezzi delle materie prime energetiche. Nel medio periodo riteniamo che ci saranno spinte dal lato demografico, dalla deglobalizzazione, dalla transizione energetica e dalla riduzione della capacità produttiva cinese che agiranno in senso moderatamente inflazionistico.
UN TASSO MEDIO DI INFLAZIONE AL 2%
Ci attendiamo un tasso medio di inflazione al 2% circa e la fine dei rischi deflattivi. Il picco della restrizione monetaria è chiaramente terminato. La Banca Centrale Europea, in particolare, ha segnalato che il mantenimento del tasso sui depositi (DFR) al 4 per cento per un periodo di tempo abbastanza lungo potrebbe essere sufficiente ad assicurare la convergenza all’obiettivo di inflazione del 2 per cento. Le attese di ribasso dei tassi, oggi pari a 6 riduzioni per un totale di 150 punti base, potrebbero rimanere deluse, alla luce dell’elevato livello di incertezza sulla dinamica dei prezzi e della mancanza di una chiara forward guidance di politica monetaria.
La nostra previsione è che i primi ribassi arriveranno intorno a giugno e saranno limitati a due o tre riduzioni. Le decisioni verranno prese man mano che saranno disponibili le informazioni sui salari e i profitti delle imprese. Il livello di neutralità dei tassi verrà raggiunto solo nel 2025 e si collocherà in prossimità del 2,5%. Con riferimento all’area dell’euro, le stime di Intesa Sanpaolo indicano un rallentamento dell’inflazione al consumo dal 5,4 per cento di fine 2023 al 2,3 per cento nel dicembre del prossimo anno, seguito da una stabilizzazione intorno alla soglia del 2 per cento dall’inizio del 2025.
Per quanto riguarda l’Italia, il dato è visto in calo all’1,8 per cento nel 2024, dal 5,9 per cento dell’anno in corso. Il conflitto israelo-palestinese, esploso ai primi di ottobre, ha introdotto un elemento di incertezza e volatilità: una sua intensificazione, o un’estensione su scala regionale, comporterebbe rischi al rialzo per i prezzi e al ribasso per la crescita. Dopo anni, l’inflazione torna dunque ad essere un elemento con cui le famiglie italiane devono “fare i conti”.
GLI INVESTIMENTI
Spostando l’attenzione agli investimenti, il 33,5 per cento del campione indica la liquidità e le obbligazioni a tasso fisso tra le scelte più opportune in un contesto inflazionistico; il 35 per cento circa ritiene invece meglio investire nel “mattone” e in altri beni rifugio. Confermata la tradizionale prudenza delle famiglie italiane, per cui la sicurezza storicamente rappresenta l’obiettivo primario degli investimenti, emerge dall’Indagine la difficoltà ad orientarsi in uno scenario da tempo non più familiare.
Non è una sorpresa: per oltre trent’anni, con l’ingresso del nostro Paese nell’Unione Monetaria, l’inflazione non è più rientrata tra le preoccupazioni degli italiani: ciò spiega la reazione prudente ed incerta nelle scelte di investimento e di allocazione del risparmio. Appare dunque più che mai attuale il richiamo alla centralità dell’educazione finanziaria, più volte ribadito dall’Indagine nel corso degli anni. Per poter convivere senza danni con l’inflazione, occorre imparare a conoscerla. Molto è già stato fatto, dai privati e dalle istituzioni, per promuovere la formazione in campo economico e finanziario: in effetti, dai dati 2023 emergono segnali di maggior interesse verso questi temi, mentre sale dal 5 all’8,7 per cento la quota di intervistati che dedicano più di un’ora alla settimana per seguire i mercati e gli investimenti.
IL REDDITO REALE
La strada da percorrere, però, è ancora lunga. C’è poi un secondo elemento, che richiede di essere valutato con altrettanta attenzione. Il rialzo dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie italiane: dopo il -1,5 per cento del 2022, la dinamica del reddito reale disponibile è vista ancora lievemente negativa nel 2023 (-0,5 per cento), per recuperare solo nel 2024 grazie al calo atteso dell’inflazione. Benché la flessione dei redditi reali sia stata in parte ammortizzata dalle azioni di sostegno messe in campo dal Governo, in particolare a favore delle fasce più deboli, l’Indagine 2023 rileva una flessione di circa 8 punti percentuali, rispetto alla precedente edizione, dell’indice di sufficienza del reddito, calcolato come differenza tra chi ritiene le proprie entrate “più che sufficienti” o “sufficienti” per le necessità della vita quotidiana e chi le reputa invece “insufficienti” o “del tutto insufficienti”.
I PIÙ FRAGILI SONO SVANTAGGIATI
I valori più bassi dell’indicatore si riscontrano per i più anziani e per la fascia di reddito più bassa, ma anche per i lavoratori meno qualificati e i livelli inferiori di istruzione; restano invece ampiamente sopra la media i laureati, gli imprenditori e i liberi professionisti, i percettori di redditi elevati e i grandi risparmiatori. L’impennata dei prezzi ha dunque peggiorato la distribuzione dei redditi, svantaggiando i più fragili. I recuperi salariali in programma nell’anno in corso e nel 2024, uniti alla decelerazione attesa della dinamica dei prezzi, dovrebbero consentire nel breve termine una ripresa del reddito disponibile reale delle famiglie. Recentemente, il rapporto INAPP ha sottolineato come l’Italia abbia perso 13 posizioni nella graduatoria dei salari reali tra i Paesi OECD. Dal 1992 al 2022, l’incremento salariale in Italia è stato pari ad appena l’1% a fronte del +32,5% della media dei Paesi OCSE. Nel periodo 2019-22 i salari reali hanno continuato a scendere nonostante l’incremento di produttività del lavoro.
CRESCE LA PROFITTABILITÀ DELLE IMPRESE
La profittabilità delle imprese si è peraltro mantenuta buona e in molti casi è cresciuta. Vi sono le condizioni per un aumento dei salari, che costituirebbe un volano importante per sostenere i consumi delle famiglie, il cui potere d’acquisto è compromesso dalla crescita dei prezzi, e per trattenere in Italia le risorse più qualificate. Occorre trovare il giusto mix tra CCNL e politiche salariali a livello d’impresa, per tenere conto della elevata eterogeneità che vi è oggi nelle performance delle imprese in termini di produttività e in generale di competitività. Benché il nostro Paese possa contare su diversi punti di forza – e la capacità di risparmio è sicuramente tra i più rilevanti – ampi miglioramenti appaiono necessari, ad iniziare, ad esempio, dal mercato del lavoro.
TROPPI NEET IN ITALIA
L’incidenza dei giovani che non lavorano né studiano (i cosiddetti Neet) si colloca in Italia poco sotto il 20 per cento, 7 punti in più rispetto alla media europea; siamo ultimi nella classifica europea per tasso di attività femminile. È un peccato, sappiamo che l’Italia può e deve fare molto di più. Allineare alla media europea il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro significherebbe poter disporre di 2,4 milioni di forze di lavoro in più per il Paese; analogamente, un miglioramento nei livelli e nella qualità dell’istruzione produrrebbe effetti positivi in termini di produttività, in grado di limitare le conseguenze negative del calo demografico. Abbiamo di fronte un obiettivo sfidante: creare le condizioni per rendere l’economia italiana più produttiva, inclusiva e resiliente a possibili nuove crisi.
UNA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA
Raggiungere questo traguardo è una responsabilità collettiva. Lo è, innanzitutto, dei policy maker, che devono creare la giusta cornice normativa e infrastrutturale, oltre ad offrire incentivi adeguati. Un ruolo determinante compete tuttavia anche agli intermediari finanziari, alle imprese e alle istituzioni educative, che hanno la possibilità di operare su orizzonti temporali ben più ampi e immuni dai condizionamenti del ciclo elettorale. Solo liberando le potenzialità ancora inespresse del nostro Paese sarà possibile assicurare stabilità alla crescita e garantire la piena partecipazione di tutti alla vita sociale ed economica.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Felice su Rischiano diecimila euro di multa per aver abbandonato rifiuti nei boschi ad Arcisate
UnoAcaso su Posti letto 'raddoppiati' all'ospedale unico Gallarate-Busto: "Una giustificazione insostenibile"
Roberto Morandi su Ancora un incidente in via Forze Armate a Gallarate, investito un ciclista di 13 anni
Berettera su Ancora un incidente in via Forze Armate a Gallarate, investito un ciclista di 13 anni
Domotronix su Le botte a Cugliate Fabiasco per strada, ma senza denuncia, “sono persone da lasciar stare”
lenny54 su La riapertura dell'ufficio postale di Lavena Ponte Tresa slitta ad aprile
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.