Perché è così importante continuare a interrogarsi sul post pandemia?
Gli effetti generati dalla pandemia si sentono ancora sul piano economico e sociale, oltre che sanitario. Ne ha parlato alla Liuc un panel di esperti nell'ambito di un progetto di ricerca sostenuto da Fondazione Cariplo
«Le domande rimaste aperte sull’impatto della pandemia sul piano economico, sociale e medico sono ancora tante». La chiusura di Chiara Gigliarano, docente di Statistica economica alla Liuc di Castellanza, al convegno “Nuove povertà e vulnerabilità ai tempi del Covid-19: come la pandemia ha influenzato il benessere degli Italiani”, è un esplicito invito ai tanti ricercatori, docenti universitari e policy maker che hanno partecipato a questo interessante progetto, a continuare a interrogarsi su fenomeni di questa portata, considerato che viviamo in un‘epoca definita di “policrisi”. (Nella foto da destra: Luciano Gualzetti, Amedeo Capetti, Manos Matsaganis, Maria Teresa Monteduro, Massimiliano Pavanello e Antonio Dal Bianco)
LA POVERTÀ INVISIBILE
La sintesi fatta nella tavola rotonda ha evidenziato l’importanza dei dati e delle ricerche presentati nel corso del convegno all’ateneo di Castellanza. «Quando si parla di povertà e disuguaglianze – precisa Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana – ci riferiamo a persone che sono vittime di sistemi più grandi di loro e a volte più grandi anche di noi. Povertà e disuguaglianza, come è emerso bene nelle ricerche presentate, sono fenomeni multidimensionali».
Il Covid -19 ha fatto emergere un tessuto sociale che era già in sofferenza prima dello scoppio della pandemia, soprattutto per quanto riguarda il lavoro. «Per molte di queste persone la fragilità rimane – continua Gualzetti – perché il mercato del lavoro è profondamente cambiato sulla spinta della digitalizzazione».
Il 40% delle persone che si rivolgevano alla Caritas nel 2021 non aveva accesso al Reddito di cittadinanza, pur avendo tutti i requisiti richiesti dalla legge. Insomma, la pandemia ha creato “i sommersi e i salvati” in un contesto dove sarebbe stato meglio avere una misura universalistica e incondizionata. «Vi assicuro – conclude il direttore della Caritas – che questa è la condizione che vivono oggi i lavoratori poveri diventati invisibili».
LA NATURA GLOBALE DELLA CRISI
Durante lo shock pandemico, l’Italia guidava il G20 e lo slogan era: People, planet, prosperity. A ricordarlo è la dottoressa Maria Teresa Monteduro, capo della Direzione studi e Ricerche economico-fiscali presso il Dipartimento delle Finanze (MEF). «Le politiche devono essere orientate senza che nessuno venga lasciato indietro – spiega Monteduro – La natura globale della crisi chiedeva una risposta differenziata perché i paesi si trovavano ad affrontare sfide sociosanitarie in condizioni decisamente asimmetriche e la prosperità era il lascito della presidenza italiana che poneva l’enfasi sulle nuove tecnologie per realizzare un mondo più equo e sostenibile».
Oggi, secondo la studiosa, ci attendono altre sfide a partire dalla cosiddetta twin transition, cioè la transizione digitale e ambientale. «Questa transizione è destinata ad aumentare le disuguaglianze perché non tutti padroneggiano le nuove tecnologie digitali in maniera adeguata e poi c’è l’automazione che determinerà effetti sull’occupazione. L’altro importante driver è la transizione ambientale: l’innesco della crisi generata dalla guerra ha posto la questione dell’autonomia energetica».
I DANNI DELLA DAD
Osservando i giovani, in particolare la generazione Zeta, Manos Matsaganis, professore ordinario di Scienza delle finanze al Politecnico di Milano, apre una riflessione sull’impatto della didattica a distanza (Dad). Il professore cita un articolo apparso sul quotidiano The New York Times in cui si affermava che la didattica a distanza avrebbe azzerato i progressi fatti negli ultimi vent’anni. «Oggi i ragazzi fanno carriera scolastica senza avere imparato le cose di base – sottolinea Matsaganis – e l’autore dell’articolo ha invitato la classe politica a prenderne atto».
Una ricerca della Fondazione Bruno Kessler ha confermato questa ipotesi, parlando di «perdite di apprendimento severissime», un problema che impatterà sulle competenze necessarie per la transizione.
Il professore del Politecnico cita un secondo articolo, pubblicato nel 2020 sul portale la Voce.info a firma di Chiara Saraceno che ha misurato l’impatto della Dad nel Belpaese. «La Saraceno ci dice che un ragazzo su otto tra i 6 e i 17 anni in Italia non ha un computer o un tablet – sottolinea il Matsaganis – Nel Mezzogiorno sono più della metà. Questo significa che da un lato c’erano ragazzi con una camera tutta loro, in una casa piena di libri, che con il loro computer o tablet bene o male riuscivano ad apprendere con la didattica a distanza. Poi c’erano i ragazzi che facevano gli esercizi sul tavolo della cucina usando il cellulare della mamma».
GLI EFFETTI NEUROLOGICI DEL COVID-19
In questa fase è importante indagare sugli effetti della pandemia sulla nostra salute nel lungo periodo. Amedeo Capetti, medico infettivologo all’Ospedale Sacco di Milano, Divisione malattie infettive, coordina il centro Long Covid dello stesso ospedale. «Abbiamo aperto il centro nell’aprile del 2020 – racconta l’infettivologo – a chiunque avesse una sierologia positiva da Covid-19. Abbiamo richiamato tutti i pazienti che avevamo dimesso, constatando che buona parte di questi pazienti recuperava abbastanza bene dal punto di vista respiratorio».
C’era poi una parte dei pazienti che sviluppava sintomi neurologici di cui si sente parlare spesso: la perdita di olfatto e gusto, perdita della memoria e della concentrazione, sintomo che può perdurare oltre i due anni. E poi c’è la stanchezza, il sintomo più frequente è difficile da curare, perché bisogna capire quanto sia psicologico e quanto reale. «Ho visto persone molto dinamiche spegnersi all’interno di questi sintomi» dice Capetti.
A detta del medico, c’è un impatto di cui si parla ancora troppo poco ed è quello relativo al lavoro. «Uno dei primi che si è licenziato nel nostro ospedale – racconta il coordinatore del centro Long-Covid – è stato un infermiere del Pronto Soccorso che non riusciva a ricordare se aveva somministrato la dose di un farmaco».
Di casi ce ne sono stati tanti, ma quelli che hanno fatto più notizia sono quelli riguardanti i lavoratori della ristorazione. «Ho visto cuochi che avendo perso il gusto o avendolo distorto a causa del virus – conclude Capetti – non riuscivano più a lavorare. Fin da subito l’Ordine dei medici di Milano si è adoperato per ottenere un riconoscimento dal punto di vista sociale del problema con misure di sostegno al reddito e invalidità, ma senza esito».
NEL 2018 NASCE POLIS – LOMBARDIA
Ma la strada su questo fronte sembra ancora piuttosto lunga. La risposta a quel bisogno di sostegno al reddito dovrebbe vedere schierato in prima fila il decisore pubblico a livello nazionale e locale. Nel 2018 è nato PoliS-Lombardia, un istituto che nel suo Rapporto del 2023, intitolato “Attrattività è sostenibilità”, legge lo stato del territorio regionale lombardo in ordine agli obiettivi dell’Agenda Onu 2030. «Credo che sia importante interrogarsi sulle dinamiche sociali che interessano la Lombardia – spiega Antonio Dal Bianco, coordinatore senior per progetti di ricerca e formazione dell’istituto – Assistiamo a un aumento delle disuguaglianze dei redditi tra persone e tra territori, e in parte anche un aumento degli indicatori di rischio di povertà nel periodo post covid, che colpisce con più frequenza alcune categorie di persone, mi riferisco soprattutto ai giovani. Una situazione che dovrebbe richiedere maggiore attenzione alla politica anche locale soprattutto nella prospettiva di poter offrire alle nuove generazioni migliori opportunità».
Il cosiddetto new-normal. cioè un nuovo assetto della realtà sociale ed economica, non era poi così scontato come sembrava subito dopo la pandemia. «Il tema vero – dice Del Bianco – è che povertà e disuguaglianza non sono rappresentate nel Prss – Studi e ricerche sui temi prioritari del Programma regionale di sviluppo sostenibile. Sono due temi un po’ negletti, nel senso che ci sono e stanno emergendo ma non sono ancora aggrediti bene dalle politiche locali e regionali».
ABBIAMO DOVUTO RIVEDERE IL NOSTRO MODELLO
Per un ente filantropico, qual è la Fondazione comunitaria del Varesotto, il più grande della provincia Varese, la pandemia ha ridisegnato completamente i confini del suo campo di azione. Massimiliano Pavanello, segretario generale della Fondazione, li definisce «anni strani» che hanno scardinato il modello messo in piedi nei vent’anni precedenti la pandemia. «Eravamo stati abituati – continua Pavanello – a emettere bandi ai quali rispondeva il terzo settore e che noi finanziavamo. Questo schema è letteralmente saltato perché almeno il 70% degli enti del terzo settore di riferimento in quel periodo hanno chiuso i battenti. Che cosa potevamo fare? Potevamo darli alla Caritas perché sapevamo che erano ben spesi».
La Fondazione comunitaria del Varesetto si ritrovava dunque a rispondere ai bisogni generati dal Covid -19, come, ad esempio, l’approvvigionamento di mascherine e la Dad per i ragazzi con la richiesta di device digitali. «Erano situazioni di cui sapevamo poco o nulla. Noi rispondevamo ai bisogni, quando il nostro ruolo aveva sempre avuto l’intermediazione del terzo settore. E noi non eravamo pronti a questo salto. Non basta dire che oriento le mie risorse verso le persone fragili. Bisogna tradurle in politiche operative che mi permettano di arrivare ai soggetti fragili. E questo tipo di tassello che ancora manca».
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