Da Varese parte l’appello all’Iran: “Il premio Sakharov venga restituito alla famiglia Amini”
Pubblichiamo l’appello della consigliera comunale di Varese Helin Yildiz, per restituire il Premio Sakharov 2023 alla famiglia di Jina Mahsa Amini, 22enne uccisa in Iran nel settembre 2022 perché non indossava correttamente l’hijab
Il 12 dicembre il Parlamento europeo ha conferito il Premio Sakharov 2023 al movimento di protesta “Donna, Vita, Libertà” e a Jina Mahsa Amini, la giovane curda-iraniana brutalmente uccisa dalla polizia morale in Iran nel settembre 2022 per aver indossato male il velo. Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero è il massimo riconoscimento che l’Unione europea conferisce ogni anno alle battaglie per i diritti umani. La famiglia di Mahsa Amini non ha potuto partecipare alla premiazione poiché bloccata dalle autorità iraniane all’aeroporto di Teheran, ed è stata rappresentata a Strasburgo dall’avvocato Saleh Nikbakht, che ha portato con sé il messaggio commovente della madre di Mahsa. Un messaggio che, citando la leggendaria eroina Giovanna D’Arco accanto al nome della figlia, ha evidenziato la lotta per la libertà incarnata da entrambe.
La tragica vicenda di Mahsa Amini mi colpisce profondamente in quanto condivido con lei le radici curde, seppur provenienti da due paesi diversi. Oggi lo slogan “Donna, vita, libertà” è entrato nelle nostre case, nei corridoi delle istituzioni, nelle piazze. Si tratta tuttavia dello storico motto del movimento di liberazione delle donne curde da una quarantina d’anni a questa parte, nonché movimento di emancipazione femminile più radicato in Medio Oriente. Nell’angolo di mondo dove si combatte sul corpo delle donne la più feroce delle battaglie, le donne curde hanno scelto di combatterla direttamente loro la battaglia. Nel 2014-2015, liberando madri e sorelle dal giogo sanguinario dell’ISIS in Siria; oggi, contro la dittatura islamica in Iran.
È senza dubbio positivo che questa lotta abbia ottenuto un riconoscimento importante in una piattaforma di così alto livello, quello che però è successo dopo è inaccettabile. Pochi giorni fa, al rientro dell’avvocato Nikbakht dalla Francia, le autorità iraniane hanno confiscato all’aeroporto di Teheran la targa del Premio Sakharov di Mahsa Amini; pare che da allora non vi siano più notizie. Una grave offesa all’Unione europea, nonché l’ennesimo diritto calpestato brutalmente da parte di un regime che, come tutte le altre dittature in Medio Oriente, mantiene il proprio consenso sfruttando le donne e i loro corpi.
Cosa fare, dunque? Lancio un appello con l’hashtag #ReturnTheSakharov a chiunque abbia a cuore i valori democratici europei, e invito tutti a tenere accesi i riflettori e a fare pressione all’ambasciata iraniana in Italia affinché il premio venga restituito alla famiglia Amini. Bisognerebbe discuterne anche nelle istituzioni, a partire dai consigli comunali, e mi auguro che possa essere bipartisan (come già avvenuto in passato con la richiesta di pace nel nostro consiglio).
Se è vero che il Parlamento europeo è la massima espressione della nostra democrazia, allora non possiamo sottovalutare la gravità di quel che è successo. Glielo dobbiamo, perché la storia di Mahsa potrebbe essere la storia di chiunque di noi se solo non fossimo nati nella parte “giusta” del mondo.
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