Ecco come è nato il Falò di Sant’Antonio di Varese, la storia di una tradizione

Gianandrea Redaelli, ormai storicoMonello di ultima generazione racconta la storia del falò e dei suoi organizzatori

Falò Sant’Antonio varese

Ne parlava già Giovanni Antonio Adamollo, nel 1619: i monelli della contrada avevano contribuito, a mani nude, a scalzare pietre dalla Motta per portarle, su carretti, fino a San Vittore. Trecento anni dopo, il 17 gennaio 1914, un cronista assai critico nei confronti dei ragazzi della Motta racconta quanto avvenuto la sera prima: “E’ abitudine di ragazzi di andare a raccogliere tutto il legname usato che capita loro sottomano per portarlo sulla piazza ad alimentare il falò, attorno al quale anche ieri sera abbiamo visto una folla di sfaccendati che si divertivano ad osservare l’opera vandalica del fuoco. Perchè qui non è costume, in altri paesi in uso, di portare ciascuno un ceppo del proprio focolare per alimentare il falò: qui invece è l’opera vandalica dei ragazzi che provvede al combustibile.

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Il falò di Sant’Antonio 2023 di Varese 4 di 29

Essi si danno attorno a raccattare legna, là dove la possono trovare a portata di mano; e quando, come avviene di solito, non la trovano, vanno a rubare nelle case gli attrezzi fuori uso, le scale, gli usci rotti, le sedie sgangherate, i tavoli senza gambe, e li portano al fuoco…”.

Oggi come allora altri ragazzi, orgogliosi pronipoti di quei monelli, si fanno carico di ripetere la tradizione, nel solco tracciato dal loro storico presidente, Angelo Monti, “monello” per tutta la vita. I tempi, fortunatamente, hanno addolcito la visione del cronista. Se allora “il falò ardeva abbruciando attrezzi che venivano portati un po’ da tutte le parti, senza il permesso dei loro proprietari, e nessun vigile ha pensato di comparire per frenare un po’ lo zelo eccessivo dei piccoli vandali” oggi i Monelli sono un gruppo organizzato che sovraintende a tutte le fasi della festa. Dalla raccolta della legna, allo stand gastronomico dove vengono cucinate le famose salamelle, alla benedizione degli animali ed al lancio dei palloncini, è tutto frutto del lavoro (è il caso di dirlo, visto che molti di loro prendono uno o due giorni di ferie ogni anno per la sagra) dei ragazzi di contrada. Il più anziano ha più di ottant’anni, il più giovane meno di dieci.

Ci sono alcune famiglie, con due o tre generazioni, e gli “anziani”, in ossequio ad un sano criterio di ricambio generazionale, lasciano spazio (e fatica) ai più giovani. Non è un caso che, da alcuni anni, il “maestro fuochista” sia un giovane ingegnere, figlio di monelli, il cui compito fondamentale è la costruzione di una pira strutturata di bancali, mobili e legname in grado di bruciare alla perfezione. Una bella evoluzione, rispetto al 1914!

Falò di Sant'Antonio 2021 in diretta streaming

Coadiuvato da un team di ingegneri, geometri, semplici manovali, i Monelli cominceranno a costruire martedì mattina. Il frutto della loro fatica sarà cenere entro l’una di notte. Nel frattempo altri ragazzi e ragazze si occuperanno della cucina, preparando salamelle da metà mattina fino a notte fonda. E, se allora “un signore che, rincasando, ha sorpreso quattro ragazzi in casa sua che gli rubavano della legna” e “su questo fatto noi abbiamo già richiamato l’attenzione dell’autorità fin dallo scorso anno, ma si vede che la nostra voce non fu ascoltata” oggi sono proprio le autorità (in testa Sindaco e Prevosto, in rappresentanza del potere temporale e religioso) ad accendere, e ad essere i primi fan, di questa magnifica, secolare tradizione.

Fino alla fine degli anni ’50 il falò di Sant’Antonio era una celebrazione di rione. Le autorità non partecipavano, e a volte osteggiavano. E con ragione! Oltre ai numerosi furti di legna del 1913 e 1914, negli anni ’30 un monello, rattristato dalla poca legna che si era riuscita a raccimolare per il fuoco, pensò bene di rubare una carriola apparentemente abbandonata all’angolo di via Carrobbio.ì

Il proprietario però, accortosi del furto, si lanciò all’inseguimento del ladro, che riuscì a salvarsi solo grazie alla giovane età ed alla sveltezza di gambe. Al proprietario sovrappeso non restò altro che osservare la sua carriola mentre veniva gettata nel fuoco. Più o meno negli stessi anni una donna varesina, appena dopo il tramonto, si sporse dalla sua finestra, al piano terra di via Carrobbio, per chiudere le imposte. Inutilmente, visto che erano state rubate, qualche ora prima, dagli stessi ragazzi di contrada. Con un finale più amaro, invece, fu la storia di quattro monelli che, negli anni ’50, decisero che legna e carriole non bastavano più.

Addocchiarono la porta della latrina dell’Osteria del Popolo, in via Vetera, e all’ora di cena riuscirono a scalzarla dai cardini. Per somma sfortuna, la latrina era occupata dall’ostessa, che li riconobbe. Si diedero alla fuga e riuscirono a buttare la porta nel fuoco, ma vennero poi prontamente pizzicati dai Carabinieri di via Bernardino Luini, presso cui la titolare aveva depositato regolare denuncia. Messi al muro si rifiutarono di parlare. Scena muta, su tutta la linea. Il comandante, dopo aver insistito a lungo e senza aver ottenuto risultato, decise per una punizione esemplare. I quattro vennero accompagnati alla porta, e invogliati ad uscire uno ad uno, con un rigoroso calcio nel didietro. E questa è storia vera…

«La passione per il falò nasce tutta in famiglia – spiega Gianandrea Redaelli, ormai storico monello di ultima generazione – E’ sempre stata tradizione, fin da quando avevo pochi anni, andare la sera del 16 gennaio con il nonno Ernesto (daì sempre amico dei Monelli) a vedere accendere il fuoco. E crescendo, pian piano, la voglia di partecipare in maniera più attiva a questo “rito” si è fatta più forte, finchè, ormai dieci anni fa, ho provato sulle mie spalle cosa significasse veramente essere “uno di quelli del falò”. E’ stato memorabile un fuoco alcuni anni fa, sotto la neve, dopo dieci giorni di maltempo ininterrotto. I bancali erano, nella migliore delle ipotesi, zuppi d’acqua (e quindi pesanti il doppio). Nella peggiore, invece, erano gelati. Ricordo ancora l’espressione incredula della prof Ambrosetti, la mia prof di fisica al liceo, quando, un’ora prima dell’accensione, si sentiva ancora l’acqua gocciolare. “Redaelli, ce la farete ad accenderlo?” chiese. Ma Andrea aveva ben progettato la costruzione, noi ragazzi avevamo seguito le sue disposizioni, le torce avevano acceso la carta come previsto, e con un po’ di fatica extra il fuoco “prese”. E che falò fu!»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 13 Gennaio 2024
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