Imputato a Varese per maltrattamenti, dà della prostituta in aula alla teste amica della moglie
Stesso trattamento rivolto alla compagna al momento dei fatti: “Vai in strada e porta a casa i soldi per le bollette”. Il racconto in aula a Varese della parte offesa riuscita a salvarsi da un gorgo di violenze

Si è salvata da un gorgo di sopraffazione grazie ad un centro antiviolenza di Varese che l’ha assistita anche nella separazione da quell’uomo, suo marito, che non esitava a pronunciare frasi del tenore: «Vai pure a battere in strada, basta che porti a casa i soldi per pagare le bollette».
Una fotografia famigliare devastante, partita da un matrimonio combinato in Marocco dove le sorti della donna vengono gestite dai genitori di lei e da quelli dei parenti dello sposo, che secondo quanto ricostruito durante il processo hanno giocato un ruolo fondamentale quanto intimidatorio nei riguardi della donna vessata.
Un presente che si traduce presto in un inferno fatto di maltrattamenti psicologici che partono da un presupposto: io uomo comando, tu donna stai zitta altrimenti…ti rimando in Marocco/ ti tolgo i bambini ecc ecc. La coppia ha due figli che infatti, come spesso accade in situazioni di forte conflitto coniugale, diventano “armi” di minaccia (“fai come dico o non li vedi più”), e che tra l’altro sono obbligati ad assistere alle intemperanze dell’uomo che urla, grida e vuole a tutti i costi imporre il suo volere.
Risultato: la moglie che scappa e denuncia, i figli, già da minori, seguiti dalla neuro psichiatria infantile (uno dei quali durante una colluttazione sospetta all’interno di casa si spacca entrambe gli incisivi venendo spinto dal padre che poi si scusa), la vita che va a rotoli e finisce nelle aule di tribunale. Il racconto fatto dalla donna è stato particolarmente toccante ed ha evidenziato il suo stato di prostrazione: «La prima volta che mio marito mi ha messo le mani addosso è stata nel 2013. Ero incinta, all’ottavo mese».
Nel corso dell’udienza è stata ascoltata un’amica della parte offesa che ha spiegato come in marito della donna si opponesse anche ad una semplice frequentazione fra le due donne, «una volta ho visto la mia amica con un segno al dito. Era un morso alla mano», ha spiegato la donna che in aula è stata offesa con una parola in arabo («puttana»), pronunciata dall’imputato mentre la testimone parlava e di cui il collegio ha fatto mettere a verbale il contenuto: la donna ascoltata dal Collegio, appunto l’amica della parte offesa, è stata anche lei, nel corso della sua vita coniugale, picchiata e ferita dall’ex marito: «Ho avuto il coraggio di denunciarlo, e allontanarmi da lui. Un uomo che non conosceva altra lingua se non la violenza», ha raccontato a margine dell’udienza, fuori dall’aula di giustizia dove si è soffermata a parlare coi cronisti.
I reati di cui l’imputato è accusato sono «maltrattamenti in famiglia» e «lesioni personali»; la coppia è separata e la donna, costituitasi parte civile è difesa dall’avvocato Marika Pinton.
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