In aula a Varese il racconto: “Io violentata dal compagno di mia mamma”
La ragazza ha avuto la forza di denunciare alla polizia. “Mia madre non mi credeva, diceva che ero pazza”. Il racconto all’amica accompagnata in un centro di ascolto
Quelle attenzioni sessuali sempre più forti pretese dal patrigno, il compagno della madre. Dall’esibizione di nudità ai rapporti sessuali completi, in difetto dei quali la minaccia: «Altrimenti la tua vita sarà un inferno». E lei, poco più che bambina, costretta psicologicamente e fisicamente – «è un uomo forte, mi sopraffaceva, non mi permetteva di spostarlo» – a quelle attenzioni morbose per scampare alle quali si inventava lunghissime telefonate con gli amici e le amiche; e alla fine della comunicazione le fughe in bagno, o i tentativi di ripararsi in camera, a provare a dormire dove puntualmente trovava il suo carnefice.
Però quella ragazza ascoltata oggi, martedì, in aula in tribunale dinanzi al Collegio di Varese, il coraggio di uscirne l’ha avuto. È bastato cominciare ad accennarne alla nonna, ad ascoltare i suoi consigli, e poi cogliere la palla al balzo, prendere la parola in un centro di supporto psicologico dove aveva accompagnato un’amica per trovare il coraggio di far uscire dalla bocca parole pesanti come macigni trasformatesi nell’allertamento di un avvocato, nella contestualizzazione dei racconti diventati atto di accusa assai pesante per l’uomo oggi imputato di violenza sessuale aggravata su minore.
Nel processo che dovrà ancor assicurare l’escussione di parecchi testi per arrivare a definire la prova di un’eventuale colpevolezza (che per la legge va sempre letta come presunzione d’innocenza), verrà dunque sentita l’amica con la quale la ragazza decise di parlare, ma la sua stessa madre, quella donna compagna dell’imputato «e che una volta saputo della mia denuncia mi ha parlato prendendomi per pazza, dicendo che non poteva essere vero».
I fatti sarebbero partiti dunque da attenzioni nate dalla richiesta di «coccole» quando la ragazzina era appena adolescente, richieste spacciate per tenerezze ma che subito, inequivocabilmente si trasformarono in qualcosa di estremamente chiaro, evidente, e che ha mandato in tilt la giovane finita ricattata continuamente: «Altrimenti non ti faccio uscire», «non ti faccio più comprare niente da metterti»: non un divertimento, non un vestito se non avesse acconsentito a quelle pratiche. Così, con cadenza settimanale che diventava sempre più frequente, sfruttando i momenti innocui la ragazza rimaneva asola con quell’uomo, fermatosi non a caso – questa la ricostruzione ascoltata oggi in aula – solo durante il periodo del lockdown (la madre era forzatamente a casa dal lavoro), per riprendere subito dopo.
«Provavo a dire che con lui in casa durante l’assenza per lavoro di mia made io non ci volevo più stare. Ma mi venne detto da mia madre di stare tranquilla, che il suo uomo era una brava persona di cui nulla temere».
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