Omicidio di Carol Maltesi, ergastolo in appello per Davide Fontana
In primo grado Davide Fontana era stato condannato a giugno dello scorso anno a 30 anni di carcere per l'omicidio della ex compagna Carol Maltesi
Ergastolo in appello per Davide Fontana, condannato a giugno dello scorso anno a 30 anni di carcere per l’omicidio, la distruzione e l’occultamento del cadavere della ex compagna e vicina di casa Carol Maltesi, uccisa e fatta a pezzi a gennaio 2022 in una casa di corte in via Melzi a Rescaldina.
Davide Fontana, trasferito la scorsa estate dal carcere di Busto Arsizio all’istituto penitenziario Torre del Gallo di Pavia dopo essere stato aggredito nel sonno dal suo compagno di cella, a fine settembre 2023 era stato ammesso all’istituto della giustizia riparativa dal Tribunale di Busto Arsizio. Il 43enne era stato condannato dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio lo scorso 12 giugno dopo una camera di consiglio fiume durata sette ore, al termine della quale erano state escluse le aggravanti della premeditazione, delle sevizie e dei motivi abietti e futili, equiparando le altri aggravanti (la minorata difesa e la relazione affettiva) alle attenuanti generiche concesse. E le motivazioni della sentenza, depositate dopo soli 30 giorni, avevano scatenato non poche polemiche, rinfocolando quelle già nate subito dopo la lettura del dispositivo.
L’omicidio di Carol Maltesi
Quando è stata uccisa Carol Maltesi si era trasferita da poco meno di un anno a Rescaldina, andando a vivere in quella casa di corte dove poco dopo sarebbe andato ad abitare anche il 44enne, l’uomo che sarebbe diventato il suo carnefice. Lui stesso lunedì 28 marzo 2022, ad oltre due mesi dalla morte della donna, si era presentato dai Carabinieri offrendo informazioni che da subito erano risultate contraddittorie agli occhi degli inquirenti rispetto a quanto emerso fino a quel momento dalle indagini. Sottoposto ad una serie di contestazioni, Fontana aveva finito per confessare l’omicidio e l’occultamento del cadavere, prima conservato in un congelatore appositamente acquistato e poi, una volta fatto a pezzi, gettato in un dirupo di montagna in Valcamonica dopo un primo tentativo di bruciarlo in un barbecue.
Il processo
A fine ottobre, poi, era iniziato il processo di primo grado a suo carico e la Corte d’Assise, dopo aver ascoltato i testimoni, i consulenti e lo stesso imputato, aveva deciso di accogliere la richiesta di perizia psichiatrica che i legali dell’uomo avevano avanzato fin dall’apertura del dibattimento nonostante l’opposizione della Procura e delle parti civili: perizia che aveva messo nero su bianco la capacità di intendere di volere di Davide Fontana, per il quale la Procura aveva poi chiesto l’ergastolo con due anni di isolamento diurno e totale. La difesa, invece, aveva chiesto di escludere le circostanze aggravanti, concedere le attenuanti generiche e applicare all’imputato la pena della reclusione nei minimi previsti dalla legge.
Contro la sentenza che aveva condannato Fontana a 30 anni di carcere aveva presentato ricorso in appello la Procura di Busto Arsizio, ribadendo per il 43enne la richiesta di ergastolo sposata anche dalla Procura generale di Milano; il collegio difensivo del 44enne, composto dagli avvocati Stefano Paloschi e Giulia Ruggeri, aveva invece rinnovato in appello la richiesta di rito abbreviato – già formulata e “bocciata” in udienza preliminare e in primo grado -, per il loro assistito, chiedendo la diminuente del rito.
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