Pellai: “Vent’anni fa la peggiore punizione per i ragazzi era chiuderli in casa, oggi è staccargli il WiFi”
Le riflessioni dello psicoterapeuta Alberto Pellai nel workshop dedicato a Corpo affettività e sensualità in adolescenza ospitato dai Licei Manzoni di Varese, cui hanno partecipato oltre 120 persone
Se oggi siamo nella più grande crisi dell’adolescenza dal secondo dopoguerra è perché la crescita di bambini e ragazzi è sempre meno agita dal corpo. Come se non bastasse, la costruzione della propria identità ha una nuova dimensione con cui fare i conti: quella vitruale.
Il medico e psicologo dell’età eveolutiva Alberto Pellai ha raccontato come queste nuove coordinate abbiano trasformato i normali compiti educativi in vere e proprie sfide nel workshop Corpo affettività e sensualità in adolescenza ospitato sabato 24 febbraio dall’aula magna dei Licei Manzoni di Varese.
All’evento hanno partecipato oltre 120 persone, tra cui soprattutto professionisti – psicologi, psicomotricisti, educatori, insegnanti – qualche genitore e un’intera classe 5^ del Liceo delle scienze umane.
Il preside Francesco Maieron ha introdotto l’incontro assieme a Roberto Soru, fondatore della Scuola triennale di psicomotricità di Varese promotrice dell’evento, l’assessora Rossella Dimaggio e Isidoro Cioffi, coordinatore del Gruppo di lavoro provinciale per la salute mentale.
IL CORTOCIRCUITO DEL BENESSERE DEGLI ADOLESCENTI
«Vent’anni fa la peggiore punizione per un ragazzo era chiuderlo in casa, oggi è togliergli il WiFi, e magari costringerlo a uscire un’oretta senza dispositivi – ha detto Pellai – Siamo di fronte a un cortocircuito epocale sul benessere in adolescenza perchè fisiologicamente l’adolescenza chiede di stare fuori e con gli altri. L’adolescente a differenza del bambino, non obbedisce ma sviluppa le competenze di autonomia per diventare adulto e lo fa fuori di casa. In ragazzo chiuso in cameretta è come un leone in gabbia: non è il suo habitat. Non è la sua natura. Il Ritiro sociale sempre più diffuso in adolescenza è un problema serio per la costruzione di sè nel diventare adulto».
All’origine di questo cortocircuito il ridimensionamento dell’attività e del ruolo del corpo nella crescita, sin da piccoli. «È stato calcolato che negli anni ’60 i bambini usavano il corpo il 450% in più rispetto ai bambini nati nel 2005. E nel 2005 ancora non c’erano gli smartphone – ha detto Pellai – Questo è un problema anche educativo perché, come diceva Maria Montessori e come dimostrano le neuroscenze, è attraverso l’esperienza e l’agire del corpo nel reale che i bambini imparano. Agire nel virtuale è diverso. Giocare a Fifa e giocare a calcio al campetto non è la stessa cosa». Nell’agire virtuale l’esperienza del corpo è molto limitata, com’è limitata la relazione con l’altro.
«Il diritto al gioco e più in generale i diritti del corpo di bambini e adolescenti sono minacciati da diritti degli adulti» dice Pellai. Succede ovunque, nei cortili trasformati in parcheggio come negli intervalli passati seduti al banco “per non fare confusione e non rischiare che bambini e ragazzi si facciano male a scuola”.
Soprattutto prevalgono i diritti del mercato: «Giocare tre ore e mezza di Fortnite (gioco molto popolare tra i ragazzini, ndr) rilascia nel cervello la stessa quantità di dopamina di una dose di cocaina», afferma Pellai sottolineando rischi e problemi di dipendenza da gioco virtuale.
Al contrario videogiochi che implicano l’uso del corpo come la Wii e Just dance non creano dipendenza «perché dopo 45 minuti si è troppo stanchi per continuare a giocare».
CORPO E IDENTITA’
Anche nella costruzione di sè l’arrivo di un terzo livello di identità, quella virtuale dei profili social, crea nuove sfide: «Lo specchio restituisce il corpo reale e, per la prima volta in adolescenza, quella immagine reale si scontra con l’immagine ideale di sé – spega Pellai – Oggi vediamo in un giorno tanti corpi quanti 70 anni fa se ne vedevano in una vita. E, soprattutto, il 90% di queste immagini rispecchia i canoni del 10% della popolazione e quindi già risolvere la distanza tra identità reale e ideale diventa più complesso».
A questo si aggiunge oggi una terza identità, quella digitale «data da ciò che racconto o invento online – afferma Pellai – Se l’identità virtuale dà più soddisfazioni di quella reale, si inizia a investire di più sul virtuale».
Ma l’identità virtuale è sempre più basata sull’immagine e sempre meno sulla parola: «Basti pensare a come lo spazio per il testo si sia ridotto dai diecimila caratteri di Facebook ai 2mila di Istagram fino alle didascalie di TikTok. E il testo è completamente assente in BeReal», afferma Pellai.
«I ragazzi che si tagliano raccontano che così sentono uscire il dolore dal corpo – aggiunge – Un dolore che non sanno dire perché non hanno le parole per descriverlo. Ma descriverlo, chiacchierando con l’amico del cuore per ore al telefono o in cortile, o scrivendo un diario, è elaborare quel dolore, farlo uscire, dargli un senso. È crescere. Se il dolore non trova la strada della parola per uscire, succede che il corpo diventa luogo dello star male invece di essere casa dello stare bene».
In questo processo anche la pretesa degli adulti che i ragazzi non soffrano o che i figli siano sempre felici, è un ostacolo alla crescita: «Significa togliere il diritto al dolore dell’adolescente. Ogni ragazzo deve sperimentare anche questo. L’adulto non deve avere paura della sofferenza ma essere presente, pronto ad accogliere e rimanere un punto di riferimento sicuro».
LA SESSUALITA’
La pubertà segna la maturazione biologica del corpo «che è molto più veloce della maturità della mente, che arriva attorno ai 20 anni – avverte Pellai – Questo significa che i ragazzini hanno corpi potenzialmente in grado di generare ma non sono pronti a gestire queste potenzialità. L’adulto ha il compito di vigilare che l’approccio alla sessualità sia positivo e rispettoso. E il rispetto passa attraverso l’intimità che si costruisce con la relazione. Se mancano spazi di relazione, la sessualità passa solo attraverso il canale dell’eccitazione, spesso veicolata dalla pornografia, sempre accessibile online a chiunque e che i minori non sono in grado di gestire perché la formazione delle loro menti biologicamente non è completa».
«L’accesso incontrollato di oggi alla pornografia online è ben diverso per quantità e fruizione dai giornalini, o dai film che vent’anni fa i ragazzini guardavano di nascosto – precisa Pellai – È così sempre più ragazzi giovanissimi hanno comportamenti sessuali penalmente rilevanti di cui non si rendono conto perché hanno avuto approccio alla sessualità solo dal canale dell’eccitazione, senza relazione, senza intimità. Sono ragazzi ipereccitati, confusi e diseducati».
«Il problema nell’approccio alla sessualità in generale, incluso l’orientamento sessuale o la disforia di genere, non sta nel fatto che sempre più ragazzi si pongano delle domande, questo è fisiologico. Il problema è dove trovano le risposte – afferma Pellai rispondendo a una domanda – In mancanza di spazi di relazione, con gli adulti e con i pari, succede che la risposta la trovano in internet ed è spesso una risposta pornografica, perciò inadeguata».
SMARTPHONE E LIMITI
All’adulto il compito di insegnare il valore della relazione e porre dei limiti. «In casa mia – racconta Pellai – il cellulare alla fine della terza media e il primo profilo social solo dopo i 16 anni. Poi magari i miei figli sono campioni dei profili fake, non lo saprò mai. L’importante è che l’adulto mantenga la cabina di regia, operi scelte responsabili e consapevoli, mentre i ragazzi imparano a farlo».
Tra le consapevolezze proposte il fatto che il mondo digitale non è uno strumento, ma un ambiente con forte impatto dopaminergico che è difficile controllare, anche per gli adulti, perchè la gratificazione istantanea crea dipendenza: «Il problema non è la tecnologia, ma l’uso personale della tecnologia. I social sono un fattore di rischio non conclamato, come il tabacco negli anni ’70».
Tra la bibliografia consigliata il documentario “The social dilemma”, e i libri “Iperconnessi” (titolo originale “i-gen”) e “Ragazzo mio”.
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