Campo dei Fiori, 40 anni di Parco: “Noi laboratorio per la gestione forestale di aree colpite da eventi estremi“
Giuseppe Barra, alla guida dell’ente creato nel 1984, racconta il presente, ma soprattutto il futuro dell’istituzione nata con l'obiettivo di tutelare aree del territorio importanti dal punto di vista naturalistico
Sabato 17 marzo 1984: «Si realizzerà un Parco al campo dei Fiori», titolo del Corriere della sera di un pezzo nel quale si parlava di un progetto che dopo il visto del commissario governativo attendeva il via libera anche del Consiglio regionale. I vantaggi? «Recuperi di aree abbandonate e boschi degradati», potenziamento del turismo con «attrezzature e miglioramento di aree, per esempio per picnic», ma anche «recuperando i vecchi cascinali». Giovedì 29 marzo dello stesso anno, però, sulle stesse pagine la nota che registrava il dissenso per l’entrata del piccolo comune di Bedero Valcuvia nel Parco, per motivi politici, in relazione alla decisione «calata dall’alto».
Come andò a finire lo sappiamo: dici “Parco“ e oggi, dopo l’istituzione nell’84 e l’ampliamento nel 2009 si estende per circa 6.300 ettari sul territorio di 17 comuni e 2 Comunità Montane in Provincia di Varese. Faggio nel versante Nord, castagno, frassino e tigli sotto i 600 metri; boschi che ospitano una discreta varietà di rapaci sia nidificanti (Nibbio bruno, Falco pecchiaiolo, Poiana, Sparviero, Astore, Falco pellegrino) sia in migrazione (Biancone, Falco di palude). Cervi, caprioli, i progetti di conservazione di pipistrelli, e le possibilità di sviluppo economico con le selve castanili. Tutto in un territorio fragile. Esposto ai rischi. I segni si trovano nei due incendi «monstre», nel 2017 e in parte nel 2019 (che toccò i rilievi della Martica e alcune zone alte sopra Brinzio), e lasciati dalla tempesta dell’ottobre 2020 che mise «ko» grandi porzioni di boschi in quota. Graffi lasciati e ancora oggi ben visibili.
Giuseppe Barra è presidente del parco, memoria storica del territorio. E dunque, rispetto al mandato originario dopo i primi 40 anni, a che punto siamo? «Il mandato originario è ampiamente raggiunto e superato», spiega Barra. «I parchi lombardi sono stati istituti con l’obiettivo di tutelare aree del territorio importanti dal punto di vista naturalistico, legate al sistema fluviale, alle zone montane e prealpine, ad ambiti agricoli metropolitani, per preservarle da uno sviluppo infrastrutture ed insediativo. Grazie al lavoro fatto dagli Enti Parco in questi 40 anni, ed all’evoluzione del ruolo e del modo in cui gestiscono il territorio che gli è affidato, non solo è stato conservato e valorizzato il capitale naturale che caratterizza queste aree, ma si è lavorato per rendere sostenibili e positive le attività che l’uomo svolge in questi territori. E tutti quanti oggi siamo consapevoli di quanto sia importante, non solo per il benessere del pianeta, ma anche per il nostro, garantire che questi sistemi naturali si mantengano in salute, e che l’uomo possa fruire di questi ambienti senza costituire una minaccia, ma al contrario prendendosene cura. È questa nuova consapevolezza che ha portato all’ampliamento del territorio del parco su richiesta delle comunità locali, e porta sempre più gente a vivere l’esperienza della scoperta e conoscenza della natura, e del benessere psico-fisico che l’ambiente naturale è in grado di donare, grazie a parchi come il Parco del Campo dei Fiori, a pochi chilometri da un capoluogo di provincia all’interno di un territorio densamente urbanizzato».
A questo punto viene da chiedersi quali siano le prospettive per il futuro? E le nuove sfide? «La prospettiva più significativa sta nella riforma della legge sui parchi scritta da Regione Lombardia. Che prevede che i parchi siano i soggetti cui è affidato il compito di occuparsi della tutela e della valorizzazione dei sistemi naturali del territorio anche al di fuori dei propri confini. Riconoscendo un patrimonio di conoscenza e di competenza che può essere messo al servizio delle politiche regionali e delle aspettative delle comunità locali per promuovere e diffondere quelle buone prassi che portano a conservare natura ed ambiente e consegnarlo in una condizione migliore alle future generazioni. È con questo spirito che stiamo cooperando con le amministrazioni e le comunità locali, anche sulle aree dei “Plis della Bevera” e del “Golfo della Quassa”».
Quali sono i principali progetti sui quali state lavorando? «Abbiamo diversi fronti aperti. Ma una delle aree che ci vedono maggiormente impegnati è quella relativa alla parte sommitale del Campo dei fiori, pesantemente colpito dal l’incendio e dalla tempesta di vento che ha abbattuto migliaia di alberi. Quest’area rappresenta un laboratorio territoriale importante per sperimentare modelli di gestione forestale, su aree fortemente colpite da eventi naturali estremi. Siamo nel cuore del parco naturale, ed è un’area di particolare valore paesaggistico ed iconografico. Sostituire l’abetaia che ha caratterizzato quest’area dagli inizi del ‘900, e trarne i giusti insegnamenti per affrontare correttamente questo tema anche su altre aree del Varesotto, e della montagna prealpina, è certamente una delle sfide più importanti che il parco si è trovato ad affrontare. Lo stiamo facendo con l’aiuto di tanti esperti, dell’Università, con il sostegno di Regione, di Enti come fondazione Cariplo, e con alcune associazioni private che promuovono progetti legati alla riforestazione, e soprattutto con l’associazione fondiaria delle valle delle sorgenti, nata dal grande impegno e senso civico dei Luvinatesi, fortemente colpiti dall’incendio del Campo dei fiori, e che presto interesserà anche i territori degli altri comuni del versante sud del Campo dei fiori con l’obiettivo di tornare a prendersi cura attivamente dei boschi, prevalentemente di proprietà privata, con azioni generali che possano riqualificare l’intero territorio del versante per tutte le peculiarità, naturalistiche, paesaggistiche, turistiche, di tutela ecologica ed idrogeologico, che gli sono proprie».
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