Il vecchio faggio (omaggio a Joyce)
A Dublino le strade sono pagine di libri da sfogliare e leggere, e lui, Jimmy, ne ha scritte parecchie, nel tempo dei tempi, ed erano bei tempi davvero… e aveva confessato: “Cielo mutevole, non ti puoi fidare. Nemmeno dei dublinesi, e così sono fuggito”.
Il racconto si apre in una mattina di metà giugno. Colazione con fegato e frattaglie. Dublino avvolta in una nebbiolina estiva, inverosimile, e le prime luci dell’alba che dipingono d’oro e di rosso i tetti e le facciate delle case. Le strade si animano lentamente, e il parco diventa un rifugio.
Gli alberi di St. Stephens Green custodiscono storie, e Jimmy arriva al suo faggio. Osserva. Abitudini, sogni e delusioni. Annota ispirazioni. Lì sotto lavora per accrescere la sensibilità del lettore, per elevare la visione di ognuno. Diventerà un simbolo, il faggio di Jimmy, come la giovane donna che di mattina porta il latte a Stephen Dedalus, perché lei è l’Irlanda.
I sentieri si snodano tra laghetti e prati, gli alberi mettono a memoria le avventure di pensieri che si trasformano in realtà. La giornata dello scrittore si dipana in un romanzo sensoriale. Il suono dei passi sui marciapiedi, le grida dei bambini che giocano nel parco, le conversazioni dei vecchi amici, al pub o seduti su una panchina. E ancora. Il gusto dello stufato d’agnello e il profumo che si diffonde nella via e resta nei vestiti, i canti delle ballate celtiche, l’orecchio attento ai suoni e le mani che battono il ritmo. Al tramonto, quando le luci della città si accendono a una a una, Dublino si trasforma in un mosaico di colori e ombre. Il parco si svuota. L’albero di Jimmy rimane lì, solitario, come solitari sono tutti gli scrittori di tutto il mondo. Le vite dei personaggi si intrecciano, Buck Mulligan e Evelyne, Miss Parker e Mrs Mooney. Ci sono anche Mr Bloom e la sua Molly. Lassù, i rami del vecchio faggio parlano col vento.
Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org) – 4. Serie “Alberi e Omaggi”. Il vuoto incombe certamente su tutti coloro che tessono il vento. (James Joyce)
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