Azer: l’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria
La mostra, dal 16 al 23 aprile nella sala Varesevive, documenta la storia straordinaria di un gruppo di suore italiane e la loro tenacia nel portare la pace in una zona di guerra
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Le vie del Signore sono infinite e chi le percorre ha la possibilità di riportare la speranza nelle regioni e nei paesi dilaniati dall’odio e dalla guerra. Quella che vi raccontiamo è una storia emblematica che si svolge in Medio Oriente e ha come protagoniste le monache trappiste di Valserena, in provincia di Pisa, che nel 2005 hanno deciso di incrociare quelle vie per compiere una missione di amore e dedizione nella Siria settentrionale, al confine con il Libano.
AZER
Il viaggio di queste coraggiose religiose è legato al tragico ricordo dei sette monaci trappisti di Tibhirine in Algeria, rapiti e uccisi nel lontano 1996. Sulla scia di questo sacrificio, le quattro suore decidono di trasferirsi ad Azer, una comunità a maggioranza musulmana, con una piccola presenza cristiana rappresentata da circa 500 fedeli. Quello è il luogo dove hanno deciso di piantare le radici della loro fede e della loro missione. Nonostante le avversità, le monache hanno perseverato, supportate dall’abate generale dell’Ordine cistercense della stretta osservanza. Nel 2008, la Croce di Fondazione del monastero beata Maria fons pacis è stata benedetta e solennemente impiantata ad Azer, simbolo tangibile della loro dedizione e della loro speranza.
PONTI DI FRATELLANZA
Tuttavia, il cammino delle religiose non è stato privo di ostacoli. Dal 2011, la Siria è stata sconvolta da una guerra brutale, seguita da calamità naturali e pandemie. Nonostante ciò, le suore sono rimaste salde nel loro impegno, continuando a costruire non solo mura di pietra, ma anche ponti di comprensione e fratellanza tra le fedi. La loro opera ha trasformato Azer in un luogo di accoglienza e preghiera, dove cristiani e musulmani si chiamano reciprocamente “fratelli e sorelle“.
Oggi, su un terreno di dieci ettari, sorge un’oasi di pace e serenità, con una chiesa, un chiostro, un monastero e strutture per l’ospitalità. Grazie al sostegno di organizzazioni benefiche come Banco Building, i lavori sono proseguiti nonostante le avversità, impiegando manodopera locale e adottando soluzioni sostenibili come l’energia solare.
Il luogo è divenuto simbolo dell’amicizia possibile con altre fedi e del sostegno ai cristiani. Anche la popolazione musulmana chiama le monache “le nostre suore”. Preghiera, lavoro e accoglienza scandiscono la loro giornata secondo la Regola benedettina.
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LA MOSTRA A VARESE
Dal 16 al 23 aprile (durante la settimana 10-13 / 16-19, sabato e domenica 10-19 Orario continuato) la Sala esposizioni Varesevive, in via San Francesco d’Assisi a Varese, aprirà le sue porte per ospitare la mostra “Azer: l’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria”. Attraverso un percorso fatto di video, interviste, testi e immagini, i visitatori potranno immergersi nell’avventura delle suore che hanno abbandonato la sicurezza del loro convento toscano per abbracciare una causa più grande: la costruzione di un monastero di clausura ad Azer, una comunità rurale al confine tra Siria e Libano.
La mostra, già acclamata per il suo impatto emotivo al Meeting di Rimini, è stata curata da un gruppo formato da Silvio Pasero, Alberto Mazzucchelli, Andrea Benzoni, Marco Pippione, Alberto Scotti, Silvana Ninivaggi, Tanino Musso e Giusi Corbella.
La mostra “Azer: L’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria” fa parte di una serie di iniziative promosse dal Centro Culturale Massimiliano Kolbe di Varese, che mirano a documentare e promuovere segni di speranza nei Paesi dilaniati dalla guerra e dal conflitto.
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