Il bandito e il portiere

Un boss della mala di New York, un suo scagnozzo giudice di porta in NHL, il coraggio (e l'incoscienza) di un goalie che si fece giustizia da solo. E la scampò bella nella notte di Manhattan

alla balaustra il bandito e il portiere

(d. f.) “Il bandito e il portiere” è la settima puntata della rubrica di Marco Giannatiempo curata dalla redazione sportiva di V2 Media/ VareseNews e dedicata alla cultura dell’hockey su ghiaccio. “Alla balaustra” ha cadenza quindicinale e viene pubblicata il primo e terzo (ed eventualmente quinto) lunedì pomeriggio di ogni mese.

Quando a fine ‘800 un poliziotto viene spedito a Hell’s Kitchen, a New York, c’è sempre e solo un’unica motivazione, quella disciplinare. In quel periodo i quartieri pericolosi a Manhattan sono tanti, ma Hell’s Kitchen lo è di più. Popolato quasi esclusivamente da famiglie di origine irlandese, risse e disordini sono all’ordine del giorno e ci sono strade in cui la polizia preferisce non entrare, perché sarebbe come scendere all’inferno, quello vero.

Proprio in uno di questi sobborghi nasce William Vincent Dwyer, primogenito di una famiglia più povera della media ma non perché il capofamiglia fosse un perdigiorno, tutt’altro. Il motivo è legato al fatto che il padre di William si rifiuta di lavorare per la mafia irlandese, cosa che lo costringe a lavori saltuari e poco retribuiti, tanto da non garantirgli di mettere il pane a tavola tutti i giorni. Situazione di forte disagio, che però non impedisce a William di intraprendere un percorso di studi che il ragazzo insegue da sempre, vista la sua naturale e spiccata propensione alla conoscenza e la sua mente decisamente superiore alla media. Naturalmente non può solo studiare, deve anche lavorare e inizia da giovanissimo: scarica le navi al molo di Chelsea e sul lungomare di New York e arriva, caso più unico che raro, incensurato alla maggiore età.

Ma quel lavoro a William proprio non piace: deve trovare altro e sa che la sua mente perspicace può aiutarlo. Certo è ben conscio che nessuno a New York lo assumerebbe nella propria azienda viste le sue origini, e quindi decide di creare qualcosa di tutto suo. Di sera, mentre sistema gli appunti di scuola, vede gli scaricatori di porto che lavorano con lui cimentarsi nelle scommesse: giocano su tutto, dalle competizioni sportive al colore del camion che sarebbe entrato nel molo per primo al mattino. Hanno pochissimi dollari in tasca ma continuano a giocare, tutte le sere. «È un buon business – pensa – ci si possono fare soldi»: si informa, stringe le amicizie giuste e diventa allibratore. Inizia nell’area portuale dove lavora ma dopo sei mesi il suo business ha già una cinquantina di uomini a libro paga: in poco tempo William fa un mucchio di soldi.

Guadagna tanto, mette da parte somme molto importanti e lo fa mantenendo un profilo tutto sommato basso, perché non vuole destare sospetti. Soprattutto è convinto che, prima o poi, quei soldi serviranno a fare qualcosa di importante, se lo sente.
L’occasione arriva la mattina del 28 ottobre del 1919, quando le prime pagine di tutti i quotidiani locali riportano la notizia del “Volstead Act”, meglio conosciuto come “Proibizionismo”, legge che stabilisce il divieto di fabbricazione, somministrazione ed importazione dei prodotti alcolici, proibendo anche la vendita e il consumo nei bar. Per primo Dwyer ne intuisce l’enorme opportunità di business: l’alcool sarà molto richiesto e lo si potrà vendere con ricavi esorbitanti, ecco l’idea che cercava! Investe la totalità del capitale trasformandosi, di fatto, nel primo gangster contrabbandiere della storia: Al Capone verrà molto dopo.

William organizza tutto in maniera scientifica, crea una rete di corrieri che spostano gli alcoolici prodotti da distillerie clandestine con cui stringe accordi, corrompe politici e polizia per far si che la rete commerciale possa muoversi senza problemi, e forma un piccolo esercito di gangster che convince in modo definitivo gli incorruttibili all’occorenza. In pochi anni diventa l’uomo più ricco e potente di tutti gli Stati Uniti d’America, grazie anche ad una serie di accordi con la mafia italiana, prima Frank Costello, poi Salvatore Lucania, meglio noto come Charles “Lucky” Luciano, figura chiave che contribuisce ad estendere il suo impero in tutta l’America.

“Big Bill Dwyer”, questo il suo soprannome, è temuto almeno quanto rispettato in tutti gli USA. Ha tantissimi soldi e molte passioni, ama lo sport ed in particolare l’hockey su ghiaccio, a tal punto da comprarsi i New York Americans, che giocano in NHL. Ma questa non è la storia di William Vincent Dwyer, il protagonista è Alec Connell, portiere dei Detroit Falcons (gli attuali Red Wings) che suo malgrado rischiò la sua vita a causa di un pugno, sferrato alla persona sbagliata.

È il 13 marzo del 1932 e al Madison Squadre Garden i New York Americans ospitano Detroit in una gara che i locali devono vincere per forza, pena l’esclusione dai play-off, la perdita dei relativi incassi e soprattutto l’umore nero di William che in quella squadra ci ha investito. Per non avere problemi lo stesso “Big Bill” Dwyer mette come giudice di porta un suo caro amico, Harry Piston, in arte “Big Nose Harry” così soprannominato per il prominente naso. Piston però di mestiere fa il gangster per Dwyer.

Harry al Madison ha un compito preciso: accendere la lampada verde – e quindi segnalare che il disco è entrato in porta – alla minima occasione, naturalmente anche se il puck non dovesse varcare la linea. L’occasione arriva sul tiro del difensore degli Americans Red Dutton, che colpisce il palo. È il momento giusto, pensa Harry, che preme il tasto: la luce verde si riflette sul ghiaccio. Connell va su tutte le furie, lancia il bastone e si dirige verso l’arbitro che dopo una breve esitazione allarga le braccia ed annulla il gol.

Scoppia il finimondo: Harry dal suo trespolo si sbraccia gridando che era gol, Connell non ci sta, si avvicina alla rete che divide la pista dalla postazione del giudice e lo colpisce al volto. Il gelo avvolge lo stadio, tutti sanno chi è “Big Nose Harry”, che lavoro fa e chi lo paga. La partita continua, con il portiere cacciato negli spogliatoi, ma prima di fine gara una trentina di agenti di polizia arrivano allo stadio e scortano Connell in hotel a Time Square, raccomandandogli di rimanere in stanza.
Lui, che ignora la situazione, non dà peso alle parole degli agenti; è stato solo un pugno alla fine, e poi a pochi isolati dall’hotel abita un caro amico con cui si trova per fare quatto passi e bere una birra.

L’amico, anche lui ignaro di tutto lo raggiunge e i due si trovano a passeggiare nel cuore della Grande Mela. Passano pochi minuti ed un uomo di circa due metri con una vistosa cicatrice sul viso, ben vestito, scende da un auto che rimane col motore acceso. Ferma i due, si rivolge a Connell e gli fa una domanda molto diretta: «Sei tu il portiere dei Detroit, Alec Connell?». L’amico sorride, sta per iniziare a parlare, ma Alec lo ferma e si prodiga nel miglior intervento della sua carriera, rispondendo che lui non sa chi sia questo Connell, che fa il venditore di scarpe a Prioria nell’Illinois e che a lui l’hockey neppure piace. L’uomo con la cicatrice, un killer di William Vincent Dwyer, si scusa, toglie la mano dall’interno del soprabito e risale sull’auto.

Alec è terrorizzato, torna in hotel e chiama il manager dei Falcons, Jack Adamsche, cha sua volta avverte la polizia che decide per il trasferimento immediato presso la stazione di polizia al Grand Central Terminal, dove passa la notte in cella, il posto più sicuro in città per lui, sino al mattino dopo quando viene scortato sino a Detroit.
Quell’anno i New York Americans non entrarono nei play-off, segnando l’inizio di un periodo di declino per la squadra, curva negativa simile a quella del boss William Vincent Dwyer che qualche anno più tardi perde una grossa causa contro il governo degli Stati Uniti, che sottrae quasi tutto il suo patrimonio. Gli rimangono gli Americans, ma senza soldi è impossibile mantenere una squadra, quindi la NHL ne prende il controllo; Big Bill Dwyer intenta una causa, che vince a patto di sanare i debiti prima di fine stagione. Lo aiuta economicamente l’amico Red Dutton, manager e allenatore della squadra, con un prestito di 20.000 dollari ma Dwyer sa che quei soldi non bastano, e visto che i federali gli sono addosso e non gli consentono operazioni clandestine, decide di giocarsi quei soldi a craps, gioco di dadi. Perde tutto e a fine stagione la NHL si prende i diritti della squadra. Depresso e senza più un dollaro Dwyer si ritira nella sua casa di Belle Harbour, dove morirà poco più che sessantenne.
Il vero protagonista della storia invece, Alec Connell, si riprende subito dallo spavento, torna a giocare già dalla partita successiva, facendosi solo una solenne promessa: quella di non contestare in nessun modo qualsiasi tipo di decisione arbitrale.

ALLA BALAUSTRA: PUNTATE PRECEDENTI

1. La fine di un “goon”
2 . Ghiaccio nero
3. Quei “matti in gabbia”
4. Sessantotto
5. Novantasette per cento
6. Folti baffi neri

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Pubblicato il 08 Aprile 2024
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Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da tacomait

    Bella storia.

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