La pistola dei killer, e la “sfera sociale” così l’inchiesta per le rapine di Brusino Arsizio
I sospettati dei tre colpi che fruttarono una montagna di soldi agirono da professionisti. Ma vennero traditi da piccoli particolari che per gli investigatori diventarono una pista da battere
Il diavolo si nasconde sempre nei dettagli, che siano essi una lacrima tatuata sul viso svelata al momento sbagliato (per chi la vuole nascondere), o il modello particolarissimo di una pistola che gli investigatori più sgamati non faticano a definire “da killer“, o, ancora, nel colore di un casco da motocicletta. Quindi ecco che l’insieme di questi elementi ha rappresentato il bouquet inconfondibile della rapina a mano armata fatta da professionisti che per distrazione o sciatteria si sono lasciati dietro le briciole, come fossero degli Hansel e Gretel di andata e ritorno dalla Svizzera.
Se a rimanere impresso nell’ultima frazione del processo per le tre rapine a Brusino Arsizio – in Svizzera fra il 2017 e il 2018 – sono state le condizioni psicologiche delle vittime, è chiaro che la testimonianza ascoltata in aula da parte di un sovrintendente capo della Mobile di Varese è stato il piatto forte che potrebbe inchiodare alle proprie responsabilità oramai l’unico imputato di questo processo (dopo che il complice, o considerato tale se si crede alle garanzie di legge, si è preso 7 anni con rito abbreviato).
Casco e pistola : “Noi, rapinati ai distributori in Svizzera, abbiamo ancora paura”
L’HONDA WING
Dunque, come parte l’indagine? Come spesso accade, dalle telecamere, che tutto riprendono: due rapine in moto, con uno scooter ripreso nelle fasi di avvicinamento, di ingresso e di allontanamento dal confine svizzero appena varcato per il colpo. Una moto, non proprio un pezzo unico o da collezione, una Honda Silver Wing 600, scooterone che viene immortalato dagli occhi elettronici dei varchi e di una farmacia: si sceglie la carta dell’immatricolazione. Ce ne sono 600 in zona insubria. Si vagliano e scremano i colori, il cerchio si restringe a tre proprietari, uno dei quali, in zona Varese, mette in bella mostra la moto e il casco che le telecamere riprendono. Si analizza insomma quella che viene definita la «sfera sociale» dei sospettati, anche dei semplici fiancheggiatori (sebbene in un troncone di questo processo il proprietario della moto utilizzata per le rapine sia stato assolto dal reato contestatogli).
ZASTAVA M57 (senza il silenziatore)
Ma, come si accennava, anche altri particolari permettono di arrivare a chiudere il cerchio sui sospettati che verranno al termine delle indagini colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere. C’è, nei fotogrammi dei distributori di benzina assaltati, anche il momento in cui uno dei due rapinatori, il 7 aprile 2017, posa una pistola sul bancone. Ma non un’arma qualsiasi. Si tratta di una «Zastava M57», un’arma potente e molto affidabile, per esperti, di provenienza ex esercito jugoslavo e dotata di silenziatore (ma non montato in quel momento) e impiegata, si scoprirà anni dopo, per gambizzare un pusher nei boschi fra Alto Milanese e Varesotto nel corso di una delle guerre tra bande ancora in corso in quelle zone.
DA UNA LACRIMA SUL VISO
Il terzo elemento emerso riguarda poi un fotogramma della rapina del 4 aprile 2018 quando uno dei due rapinatori imbacuccati da testa a piedi si scopre nei punti critici del suo corpo: un tatuaggio sul collo viene immortalato, e soprattutto una lacrima tatuata in faccia, sotto ad un occhio, altro particolare che i poliziotti conoscono e che interpolano con le foto reperibili sulla rete.
IL GIOCO DELLE DUE TARGHE
Un piccolo prontuario sulle rapine, in ultimo, viene offerto anche sulle tecniche di avvicinamento: targhe oscurate con un drappo nero legato a quella dello scooter; per la Cinquecento invece uno stratagemma classico: l’auto viene rubata a Milano (e quindi la targa finisce nell’archivio “Ced interforze”), viene cambiata la targa del mezzo con quella rubata ad un’ignara residente a Bisuschio proprietaria di una Cinquecento a cui viene applicata la targa del veicolo rubato a Milano.
In questo modo si può andare e venire verso il confine svizzero, portare a segno il colpo e spostarsi ancora un poco nella zona di confine senza che gli “alert“ dei varchi lettori targhe si attivino.
Poi, lontano da occhi indiscreti, l’auto è stata data alle fiamme, ma tracce di impronta digitale rimangono sulla targa “sporca” della Cinquecento di Bisuschio e vengono poi rilevate dalla Scientifica.
Da una parte i “ladri” che applicano accorgimenti diabolici prima di entrare in azione per i colpi; dall’altra le “guardie” che sanno il fatto loro (e, oltre alla Polizia di Stato, c’è da menzionare il lavoro altamente professionale della Polizia Locale del Monte Orsa, oltre allo scambio di informazioni in tempo reale coi colleghi della Polizia Cantonale).
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